per capirci

GIACOMO 1, 2-4

Fratelli, considerate come motivo di gaudio perfetto le diverse prove alle quali voi potete essere esposti, sapendo che la fede messa
alla prova produce la pazienza. E' necessario però che la pazienza compia perfettamente l'opera sua, affinché voi siate pure perfetti ed
integri, senza mancare in niente.(Giacomo 1; 2-4)

Emmanuel

mercoledì 28 dicembre 2011

I nostri piani per il futuro


2012
Introduzione

Un nuovo e promettente anno sta per cominciare: quali sono i vostri progetti per ilfuturo? Qualcuno disse: "Tutti dovremmo preoccuparci del futuro, dal momento che dobbiamo passarvi il resto della vita", e poi, come disse un altro:"Il futuro è qualcosa che ciascuno di noi raggiunge alla velocità di 60 minuti all'ora, qualunque cosa faccia e chiunque sia". Quali sono i vostri progetti per l'anno che verrà? Nella vostra mente ora vi sono forse aspettative per qualcosa che vi siete proposti per il vostro lavoro, per la vostra famiglia, per la vostra casa, o per le vostre vacanze... Anch'io ho tante cose che mi piacerebbe fare, ma sono molto esitante nel programmarle. Una volta qualcuno mi ha detto: "Nella mia vita è andato tutto diversamente da ciò che mi ero proposto di fare", e questo è spesso vero per tanti. Dovremmo allora non fare più progetti e lasciare fatalisticamente "che vada tutto come deve andare"? Ma non genererebbe tutti questo, immobilismo? Dovremmo forse andare a consultare maghi ed oroscopi, magari con l'aiuto di ingannevoli quanto ridicoli "pendolini"? E poi quanta incertezza c'è in molti sul nostro futuro personale e collettivo, quanta apprensione, preoccupazione, paura!  Dobbiamo considerare il tempo della nostra vita in modo equilibrato e saggio e chi altri se non Dio ci può dare questa saggezza soprattutto quando nella Sua paterna provvidenza ha voluto racchiudere tutta la sapienza di cui noi abbiamo bisogno in un libro che non ha mai ingannato né deluso qualcuno: la Bibbia.
Ed è proprio in una porzione della Bibbia che noi troviamo le seguenti indicazioni su un particolare aspetto dell'uso avveduto che noi dobbiamo fare del tempo. Si trova nella lettera dell'apostolo Giacomo.
"...e ora a voi, che dite: 'Oggi o domani andremo nella tal città, e vi dimoreremo un anno, commerceremo e guadagneremo' mentre non sapete ciò che accadrà l'indomani. Cos'è infatti la vostra vita? In verità essa è un vapore che appare per un po' di tempo e poi svanisce. Dovreste invece dire: 'Se piace al Signore e se saremo in vita, noi faremo questo o quello. Voi vi vantate invece nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è cattivo. Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato" (Gm. 4:13- 17).

I. Contare sul futuro da noi pianificato è follia
ignoto

Il primo insegnamento che questo testo ci dà è che contare su un futuro da noi pianificato è pura follia. Il solo fatto che l'uomo, fragile e debole com'è, possa orgogliosamente supporre di poter programmare il proprio futuro dimenticandosi di Dio, è per l'apostolo Giacomo così assurdo e ridicolo da non valerne quasi la pena di parlarne. Vi sono molti che vivono come se fossero immortali! Giacomo dice solo: E ora a voi che... E ora passiamo a voi che tanto vi vantate di fare così bei progetti per il futuro, per voi ho solo due parole... Siete matti! Siete incoscienti!

1. Tutto a nostra disposizione? In che cosa si manifesta questa follia? Davanti all'apostolo Giacomo vi sono persone che pensano di far  conto molto sul loro futuro. Che cosa dicono in realtà? Pensavano evidentemente che tutto fosse a loro disposizione. Dicevano: 'Oggi o domani andremo nella tal città, e vi dimoreremo un anno, commerceremo e guadagneremo'. Non è folle, però, supporre di poter fare quel che uno vuole, e che tutto si risolverà proprio come uno desidera e che può proporre e disporre, senza nemmeno chiederne il consenso a Dio? Forse siamo noi che governiamo la nostra vita? Non c'è dopo tutto forse Qualcuno che dispone delle cose al di sopra di noi? Molti vivono come se Dio non esistesse, ma dovranno ben presto ricredersi.

2. Tutto in funzione delle cose di questo mondo? Notate poi come queste persone, se da una parte pensavano che ogni cosa fosse a loro disposizione, usavano ogni cosa solo in funzione di questo mondo, come se questo mondo per loro fosse tutto quello che esiste. Dicevano: 'Oggi o domani andremo in quella città e ci fermeremo un anno: faremo affari e guadagneremo molti soldi'. Il loro primo ed ultimo pensiero erano le cose materiali, la loro unica ambizione era l'incremento dei loro beni e la soddisfazione che questi avrebbero loro dato. Quanti vivono in questo modo anche oggi!

3. Tutto in dipendenza dalle proprie forze? Tutto ciò che questa gente diceva di voler fare era in funzione soltanto delle proprie forze. Dicevano: noi, noi, noi... Non passava neppure loro dalla mente di cercare nei loro progetti la benedizione divina, l'approvazione e l'aiuto dell'Altissimo. Quanti sono occhi ancora così, quanti che non cercano il consiglio di Dio, quanti che orgogliosamente disprezzano o dimenticano del tutto, come dice la Bibbia, "la peste che vaga nelle tenebre... la freccia che vola di giorno" fintanto che non sono improvvisamente sopraffatti da eterna rovina!

4. Tutto è certo? E poi è evidente che per queste persone tutto sembrava certo. 'Oggi o domani andremo nella tal città': come facevano a sapere che vi sarebbero andati? 'Commerceremo e guadagneremo': erano forse loro a stabilire l'andamento del mercato? Sarebbe stata completamente esclusa una caduta dei prezzi? Oh no, guardavano il futuro con certezza incrollabile, come se fossero immortali, 'vi dimoreremo un anno...'.

5. Tutto un gioco d'azzardo? Molti dicono che tutto è un azzardo. Il gioco d'azzardo può essere forse eccitante, ma sempre dietro l'angolo c'è la completa rovina! E' follia contare su ciò che potrebbe mai venire, rischiare tutto su un futuro incerto. Che cosa sappiamo del domani? Inoltre la nostra vita è breve e fragile, essa non è che un vapore. Il vapore può essere magnifico da guardare, specialmente al tramonto, dopo un po' però quei magnifici vapori e quel bel panorama svanisce con il sole.

II. Ignorare il futuro è un fatto
incertezza

Un secondo insegnamento che questo testo ci dà è che l'ignoranza del futuro è un dato di fatto ed è meglio che rimanga tale, dice: "non sapete ciò che accadrà l'indomani". Franz Kafka disse: "Lascia dormire il futuro come merita. Se lo svegli prima del tempo, si ottiene un presente assonnato". Non possiamo dire se verrà carico di malattia oppure di salute, di prosperità oppure di avversità. Il domani può segnare la fine della nostra vita, persino la fine di questo mondo! Dice il salmista: "I nostri giorni... sono come un sogno, sono come l'erba che verdeggia la mattina... la sera è falciata e dissecca". Possiamo appena renderci conto che siamo vivi che già tutta ciò che passiamo in questo mondo finisce.

1. Solo Dio conosce il futuro, e ha il diritto di conoscerlo. Per Lui tutte le cose sono presenti: non c'è passato e futuro ai suoi occhi che tutto vedono. Egli è l'eterno IO SONO. Solo Lui sa quello che avverrà domani. L'intero svolgimento della storia sta davanti a Lui come una libro aperto. Noi non lo conosciamo, ma Lui lo conosce dal principio alla fine, perché l'ha Egli stesso pianificato. Per noi ci sono due sole certezze per il futuro: Che Dio lo conosce e che noi lo ignoriamo!

2. Non dovremmo cercare di investigarlo. E' pericoloso ed empio cercare di sollevare anche solo l'angolo del velo che ci nasconde le cose del futuro, anzi, Dio stesso nella Bibbia ci proibisce di consultare indovini, oroscopi e maghi. "Non rivolgetevi ai medium e ai maghi, non consultateli, per non contaminarvi per mezzo loro"e ancora: "Se vi si dice: Consultate i medium e i maghi, che sussurrano e bisbigliano, rispondete: Non deve un popolo consultare il suo Dio". Questo attira su di noi l'ira di Dio perché chi si lascia condizionare dalle parole ingannevoli degli indovini in realtà si sottomette al potere stesso di Satana, che è bugiardo ed omicida, e che in questo modo ci vuol fare del male, spesso irreparabile. Per questo dobbiamo rifiutare con disgusto pendolini, oroscopi, predizioni, magia ecc. Chiunque si è lasciato ingannare da tutto questo ne ha avuto sempre danno. Se qualcuno si è già lasciato condizionare da tutto questo riconosca che è opera di Satana, chieda a Dio perdono per averlo fatto, e non si lasci più prendere in questa trappola. Un proverbio dice: Troppa curiosità spinge un uccello in rete.
Il cristiano consulta il Dio vero e vivente ed investiga le Scritture che sono la Sua unica parola, la quale dobbiamo conoscere sempre di più. E nemmeno deve confidare nelle sue "premonizioni" e dire "E' chiaro... posso predire che...". Non cercate mai di profetizzare: il futuro appartiene solo a Dio.

3. Ignorare il futuro è meglio. Esso deve rimanere nascosto per il nostro bene. In che modo vivremmo se sapessimo la data esatta della nostra morte, o che qualcosa ci capiti ad un dato momento? Non sarebbe più vita quella. E' meglio non sapere, così valorizzare appieno il presente. Se qualcuno pretende di conoscere la nostra sorte è solo un truffatore. Il libro del nostro destino faremmo bene a non aprirlo mai e a metterlo via. E' sufficiente che Dio conosca il futuro. Sapere non è sempre sapienza. E' saggio colui che non cerca di sapere ciò che Dio non ha voluto rivelare. Solo qui possiamo dire "beata ignoranza", perché sapere questo si rivelerebbe solo una maledizione!

4. Ignorare il futuro ci ridimensiona. Noi spesso pensiamo di essere tanto intelligenti! E facciamo calcoli che riteniamo senza dubbio corretti! Disponiamo ogni cosa per bene, e poi Dio, con un solo dito, frantuma tutte le nostre certezze, ci toglie magari quell'amico su cui tanto speravamo, o cambia le circostanze della nostra vita, e allora tutti i nostri propositi vanno in fumo. Spesso è bene per noi che Dio ridimensioni un po' la nostra arroganza, anche perché noi non prendiamo tutto per scontato ciò che abbiamo. Spesso una disgrazia ci fa aprire gli occhi sulla nostra vita e ci dà importanti lezioni. Noi non sappiamo nulla di certo!

5. Questo ci rammenta della fragilità e della brevità della vita. L'incertezza del futuro ci fa avere una visione sobria di noi stessi. Non saremo qui per molto, e anche se vivessimo fino a tarda età non sarebbe ancora molto. Che fragile è la nostra presa sul mondo, in un momento può essere tutto finito!
Siamo contenti di non sapere quando i nostri amici moriranno, siamo riconoscenti di non sapere quando noi ce ne dovremo andare da questo mondo. Che bene ci farebbe il saperlo? Quelli che ora hanno paura della morte, ne sarebbero ancora più terrorizzati, quelli a cui non importa di niente e di nessuno lo farebbero ancora di più. Se sapessimo di vivere ancora vent'anni potremmo dire: "Beh, ne posso sprecare ancora 19". Dovremmo essere riconoscenti di non conoscere il futuro!

III. Tenere conto di Dio per quanto riguarda il futuro è vera sapienza

bibbia
Ecco così che il nostro testo ci indirizza alla vera sapienza e afferma: "Dovreste invece dire: 'Se piace al Signore e se saremo in vita, noi faremo questo o quello". Dire sempre in ogni circostanza "Dio volendo" può essere un'abitudine del parlare, ma non dovremmo vergognarci di sembrare "troppo religiosi" a dirlo, perché questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento. Dobbiamo, per tutto ciò che riguarda il nostro futuro, tenere sempre Dio in considerazione, perché c'è:

1. Una volontà divina che governa ogni cosa. Nulla accade senza che Dio l'abbia determinato e decretato; anche le cose piccole nella vita non gli sfuggono. Gesù disse:"Neanche un passero cade a terra senza il volere del Padre vostro, e quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati". Lo stesso numero dei nostri capelli... Ogni cosa è regolata da Lui e ha un posto determinato nei propositi di Dio, nulla accade che Egli non permetta. Lo dice anche il proverbio: "Non si muove foglia che Dio non voglia". Questo per noi è difficile capire: Dio rimane buono, santo, e giusto e conserva il controllo di ogni cosa. Dobbiamo sottometterci con fiducia a questo mistero. Qualunque siano i nostri proponimenti c'è sempre una Potenza più grande che dobbiamo tenere in considerazione, un proposito onnipotente, davanti al quale dobbiamo inchinarci, e dire "Farò questo Dio volendo...". C'è inoltre:

2. Una volontà divina che non dovremmo mai violare. Molti propositi di Dio ci rimangono nascosti, eppure Dio si è compiaciuto di rivelarci innumerevoli misteri della Sua volontà. Dove li troviamo? Nella Bibbia: è solo là che possiamo avere piena luce su tante cose. Nella lettera agli Efesini sta scritto: "Egli ci ha fatto conoscere il mistero della Sua volontà, secondo il suo beneplacito, che Egli aveva determinato in Sé stesso". Nella Bibbia troviamo la specifica volontà di Dio per innumerevoli aspetti della nostra vita. Noi non dovremmo mai prendere alcuna decisione senza domandarci prima se la Parola di Dio nella Bibbia ha qualcosa da dirci. Posso senz'altro dire "Farò questo, o farò quello", ma che cosa dice la volontà rivelata di Dio a questo riguardo? E soprattutto: quali sarebbero le conseguenze previste se lo facessi? Ma c'è pure:

3. Una volontà provvidenziale di Dio che dovremmo sempre consultare. Quando nella tua vita arrivi ad un bivio e devi prendere o una direzione o l'altra, e sei perplesso, dobbiamo inginocchiarci, alzare i nostri occhi verso il cielo e chiedere che Dio ci mostri la via. E quando ci prefiggiamo qualcosa -e dobbiamo senz'altro farci dei proponimenti perché il popolo di Dio non deve essere imprevidente- dovremmo sempre dire, o intendere anche senza dirlo: "Tutti i miei piani devono attendere fintanto che Dio non mi mostrerà una porta aperta. Se Dio lo permette, lo farò, e se non lo vorrà, mi fermerò e non farò nulla. La mia forza consisterà proprio nel rimanere fermo fintanto che il Maestro non desideri che io mi muova."Infine c'è:

4. Una volontà di fondo che dovremmo sempre cercare di adempiere. E' la volontà di Dio che il Suo popolo venga salvato e giunga alla conoscenza della verità. Dobbiamo tenere conto che i nostri proponimenti siano in sintonia con il grande proposito di Dio per l'umanità. Quello che faccio è alla gloria di Dio e serve alla salvezza delle anime? Quello che faccio promuove e testimonia la verità e il mio Salvatore e Signore Gesù Cristo. Gesù avrebbe voluto vedersi risparmiata la croce, ma disse: "Però non la mia, ma la Tua volontà, o Padre, si compia".

IV. Vantarsi del futuro è male

arroganza

Il nostro testo poi dice: "Voi vi vantate invece nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è cattivo". Non mi voglio fermare molto su questo punto, ma notate brevemente alcuni modi in cui si può vantare del futuro. C'è chi dice:

1. "Lo farò, ho deciso...". E' possibile dire "Ho deciso questo, e nessuno al mondo mi potrà far cambiare idea!" e allora ride, e si vanta della sua forza di volontà, ma questo è pura arroganza, ma la Parola di Dio dice a questo riguardo: "ogni vanto di questo genere è cattivo". Dio lo potrebbe smentire.

2. "Lo farò, la cosa è certa..." dice un altro, e quando gli suggeriamo le difficoltà nel dir così, egli risponde: "Ma va, non mi raccontare la vecchia storia che l'uomo propone, ma Dio dispone... io propongo e io ne dispongo. Non vedo difficoltà nell'adempiere a questo mio proposito. Avrò successo". e poi ride e si rallegra nella sua follia. "ogni vanto di questo genere è cattivo".

3. "Lo posso fare, me ne sento competente..." dice un terzo. Non dovrebbe essere così precipitoso nel parlare: "ogni vanto di questo genere è cattivo". Sebbene dica "Posso affrontare qualunque cosa", io farei bene attenzione al posto suo a dirlo...

4. "Lo farò quando avrò molti soldi..." ecco il diverso tono in cui parla magari un giovane. Ha progettato cosa fare quando avrà successo, e io spero sinceramente che abbia successo. Ora fatica, e un giorno se la riderà di tutto e di tutti... Sarà vero? Attenzione "ogni vanto di questo genere è cattivo".

V. Valorizzare il presente è nostro dovere

evangelizzare

Ed ecco infine l'ultimo ed il più pratico dei pensieri di questo testo: "Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato". Significa che chi sa ciò che dovrebbe fare e non lo fa subito, per lui diventa peccato.

1. E' peccato rimandare l'obbedienza all'Evangelo. L'Evangelo ci comanda di ravvederci dai nostri peccati e di riporre la nostra fede nel Salvatore Gesù Cristo, il quale è il solo che ti possa dare salvezza e vita eterna presso Dio. Se sappiamo questo dobbiamo farlo subito, senza rimandare. Domani sarebbe irreparabilmente troppo tardi.

2. E' peccato trascurare i normali doveri della vita. Dobbiamo svolgere fedelmente il nostro lavoro, occuparci diligentemente della nostra famiglia, compiere i nostri doveri verso noi stessi, gli altri, e Dio. Se sappiamo di doverlo fare e non lo facciamo, potremmo causare a noi stessi ed agli altri danni irreparabili.

3. Mai lasciare nulla in sospeso che potrebbe sovraccaricare altri. Un famoso predicatore disse: "Non vado mai a letto fintanto che non abbia messo a posto persino i miei guanti. Se morissi questa stessa notte, non vorrei che qualcuno dicesse: Ma dove ha messo i guanti?" Ecco come dovrebbe vivere un cristiano, dovrebbe avere ogni cosa a posto anche un paio di guanti. Dobbiamo non lasciare mai nulla in sospeso! Infine:

4. E' peccato non fare ciò che si sa di poter fare. Possiamo fare molto di buono nella nostra vita. Se c'è qualcuno qui oggi che nella cui mente Dio ha posto qualcosa di buono che potrebbe essere fatto, lo faccia senza esitazione, senza rimandare. "Ma non è stato mai fatto prima!". Qualcuno però deve pur essere il primo, e perché non dovresti essere il primo se sai che è una cosa buona e Dio te lo ha messo nel cuore ad opera dello Spirito Santo? Le opportunità di fare il bene possono ben presto svanire.

Conclusioni
2011

Un anno che finisce e un'altro che inizia ci rammenta che noi dovremmo avere una visione equilibrata del tempo che abbiamo a disposizione e una sapiente gestione della nostra vita:
Pianificare il nostro futuro senza tenere conto di Dio è davvero "fare i conti senza l'oste" ed è sintomo di grande stupidità, come pure cattivo ed insensato è vantarsi del futuro che noi pianifichiamo. Il futuro appartiene a Dio e non dovremmo cercare di conoscerlo anzitempo pena solo essere ingannati e danneggiati.
Sapienza significa riconoscere la sovranità di Dio sulla nostra vita, investigare la Sua volontà rivelata, chiederGli consiglio in ogni cosa e considerare sempre i progetti complessivi che Dio si propone nella storia. Sapienza è valorizzare il presente compiendo nella vita e senza ritardo ciò che Dio ci richiede.

C'è sempre un futuro sereno di benedizione per chi si affida docilmente a Dio vivendo ogni istante della sua vita nella Sua prospettiva ed in armonia con la Sua volontà rivelata. Se facciamo così saremo liberati dall'ansia e della preoccupazione e non avremo di certo  bisogno di oroscopi e di indovini. Il cristiano ha molto di meglio!

domenica 25 dicembre 2011

Il Mistero più grande



Non c'è da stupirsi se le persone riflessive trovano che l'Evangelo di Gesù Cristo sia difficile da credersi, perché la realtà di cui si occupa va al di là della comprensione umana. Ma è triste il fatto che tanti rendono la fede ancor più ardua di quanto sia in realtà, trovando delle difficoltà nei punti sbagliati.
Prendiamo l'espiazione ad esempio. Molti hanno problemi a riguardo. Come si fa a credere, essi chiedono, che la morte di Gesù di Nazaret - un uomo solo, che spirò su una forca romana - fece piazza pulita dei peccati di tanti? Come può quella morte avere una valenza oggi per il perdono di Dio dei nostri peccati?
Oppure, prendiamo la risurrezione, che pare essere un vera pietra d'inciampo per molti. Come si può credere, essi domandano, che Gesù risuscitò fisicamente dai morti? D'accordo, è difficile negare che la tomba fosse vuota - ma non è ancor più difficile credere che Gesù ne uscì con una vita corporale eterna? Non è più facile dar credito a teorie tipo un temporaneo ritorno alla vita dopo una perdita di sensi o il trafugamento del corpo, anziché alla dottrina cristiana della risurrezione?
O ancora, prendiamo la nascita verginale, che fra i protestanti di questo secolo è stata ampiamente negata, la gente chiede come si fa a credere a una simile anomalia biologica.
Oppure prendiamo i miracoli riportati negli Evangeli; sono in molti a trovare delle difficoltà in questo aspetto. Ammesso, dicono, che Gesù abbia operato delle guarigioni (di fronte all'evidenza dei fatti è difficile dubitarne, e in ogni modo la storia ha conosciuto altri guaritori), come si può però credere che Egli abbia camminato sull'acqua, o dato da mangiare a cinquemila persone, o risuscitato dei morti? Storie del genere sono certamente a dir poco incredibili. A causa di questi e altri simili problemi, molte menti ai margini della fede si sentono oggi profondamente perplesse.




DIO INCARNATO


In realtà, la vera difficoltà, il mistero supremo che l'Evangelo ci presenta, non si trova affatto in queste cose accennate sopra. Risiede, non nel messaggio di espiazione del tradizionale "venerdì santo" né nel messaggio di risurrezione del giorno di Pasqua, ma piuttosto nel messaggio natalizio dell'incarnazione. La dichiarazione cristiana veramente sconvolgente è che Gesù di Nazareth era Dio fattosi uomo — che la seconda persona della Divinità divenne "il secondo uomo" (I Corinzi 15:47), determinando il destino umano, il secondo capostipite rappresentativo della razza, e che Egli rivestì l'umanità senza perdere la deità, così che Gesù di Nazareth era veramente e completamente divino nella stessa misura in cui era umano.
Ecco due misteri in uno: la pluralità delle persone all'interno dell'unità di Dio, e l'unione della divinità e dell'umanità nella persona di Gesù. È qui, in ciò che avvenne in quel primo Natale, che risiedono le profondità più abissali e insondabili della rivelazione cristiana.
"E la Parola divenne carne" (Giovanni 1:14); Dio divenne uomo; il Figlio di Dio diventò un ebreo; l'Onnipotente apparve sulla terra sotto le spoglie di un bimbo umano indifeso, incapace di fare altro che stare coricato, sgranare gli occhi, agitarsi e far sentire la propria voce; un neonato bisognoso di essere nutrito, cambiato, ammaestrato come un qualsiasi altro bambino. E in questo non c'erano né illusione né inganno: l'infanzia del Figlio di Dio fu una realtà. Più ci si pensa, più la cosa diventa sconvolgente.
Ecco la vera "pietra d'inciampo" del Cristianesimo. È qui che hanno fallito ebrei, musulmani, unitariani (o anti-trinitariani), testimoni di Geova, e molti di coloro che provano le difficoltà succitate (vale a dire, la nascita verginale, i miracoli, l'espiazione e la risurrezione). È dalla miscredenza o da una fede come minimo inadeguata intorno all' incarnazione che di solito sorgono difficoltà anche su altri punti del racconto evangelico.
Ma una volta che l'incarnazione è capita come una realtà, queste altre difficoltà scompaiono. Se Gesù non fosse stato altro che un uomo fuori del comune e particolarmente pio, la difficoltà a credere in ciò che il Nuovo Testamento ci dice della Sua vita incredibile e delle Sue opere straordinarie sarebbe davvero enorme.
Ma se Gesù era effettivamente la Parola eterna, l'agente del Padre nella creazione, "mediante il quale ha pure creato l'universo" (Ebrei 1:2), non c'è da stupirsi se nuovi atti di potenza creativa contrassegnarono la Sua venuta su questa terra, la Sua vita su di essa, e la Sua uscita da essa. Non è cosa strana che Egli, l'autore della vita, risorgesse dai morti. Se Gesù era effettivamente Dio Figlio, è ben più sorprendente il fatto che Egli dovesse morire, piuttosto che risuscitare. E' un vero mistero! L'immortale muore...
E se l'immortale Figlio di Dio accettò davvero di gustare la morte, non è strano che tale morte avesse un significato di salvezza per una razza destinata alla perdizione. Una volta ammessa la divinità di Gesù, diventa irragionevole trovare difficoltà in una di queste cose; c'è una coerenza completa, tutto combacia perfettamente. L'incarnazione è di per sé un mistero insondabile, ma dà un senso a tutto il resto che è contenuto nel Nuovo Testamento.


CHI È QUESTO BAMBINO?

Gli Evangeli di Matteo e Luca ci dicono abbastanza dettagliatamente come il Figlio di Dio venne in questo mondo. Egli nacque fuori da alberghi in un oscuro paesino della Giudea nei giorni gloriosi dell'Impero Romano. Di solito la storia riceve qualche abbellimento quando la si racconta a Natale; in realtà, è piuttosto terribile e crudele. Il motivo per cui Gesù nacque fuori dell'albergo è che esso era pieno, e nessuno era disposto a offrire un letto a una donna partoriente; così, Maria fu costretta a far nascere il bambino in una stalla e a deporlo in una mangiatoia. La storia è narrata spassionatamente e senza commenti, ma nessun lettore attento può fare a meno di rabbrividire di fronte alla descrizione d'insensibilità e di degradazione che essa tratteggia.
Tuttavia, gli Evangelisti non riferiscono il racconto per trarne degli insegnamenti morali. Per loro, il punto centrale di questa storia non consiste nelle circostanze della nascita (se si eccettua il fatto che, essendo avvenuta a Betleem, essa adempì la profezia, vedi Matteo 2:1-6), ma è piuttosto nell'identità del neonato.
A questo riguardo, il Nuovo Testamento ci comunica due pensieri. Li abbiamo già accennati, ora esaminiamoli più dettagliatamente.

1. Il bimbo nato a Betleem era Dio

Più precisamente, per usare il linguaggio biblico, Egli era il Figlio di Dio, o, come regolarmente ne parla la teologia cristiana, Dio Figlio. Il Figlio, si noti, non un Figlio: Giovanni, per accertarsi che i suoi lettori capiscano l'unicità di Gesù, afferma per ben quattro volte nei primi tre capitoli del suo Evangelo che Egli era l'unigenito o l'unico Figlio di Dio (vedi Giovanni 1:14,18; 3:16,18). Di conseguenza, la Chiesa cristiana fa questa confessione: "Credo in Dio Padre... e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore".
Un momento, l'affermazione che Gesù è il Figlio di Dio significa forse che in realtà vi sono due dèi? Il Cristianesimo è dunque politeistico, come sostengono ebrei e maomettani? O forse l'espressione "Figlio di Dio" implica che Gesù, benché in una categoria tutta Sua fra gli esseri creati, non fosse personalmente divino nello stesso senso del Padre? Nella chiesa primitiva, gli ariani erano di questo ultimo avviso; ai giorni nostri, gli unitariani, i Testimoni di Geova e altri ancora sono sulla stessa linea. Ma è giusto? Che cosa intende dire veramente la Bibbia quando chiama Gesù il Figlio di Dio?
Queste domande hanno suscitato delle perplessità in alcuni, ma il Nuovo Testamento non ci lascia nel dubbio per quanto riguarda le risposte da dare. A livello di principio, queste domande furono tutte poste e risolte dall'apostolo Giovanni nel prologo del suo Evangelo. Egli scriveva, a quanto pare, per lettori di estrazione tanto ebraica quanto greca. E Giovanni ci dice che "queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Figlio di Dio, e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome" (Giovanni 20:31). Per tutto l'Evangelo, l'apostolo presenta Gesù come Figlio di Dio.
Tuttavia, Giovanni sapeva che l'espressione "Figlio di Dio" era danneggiata da associazioni fuorvianti nella mente dei suoi lettori. La teologia ebraica l'adoperava come appellativo per l'atteso Messia (umano). La mitologia greca parlava di molti "figli di dèi", ovvero super-uomini nati dall'unione fra un dio e una donna. In nessuno dei due casi l'espressione comunicava l'idea di deità personale; anzi, la escludevano entrambi. Giovanni voleva essere certo che, quando scriveva di Gesù come Figlio di Dio, non sarebbe stato capito (o mal capito) in questi due sensi, e voleva che fosse chiaro fin dall'inizio che la condizione di Figlio che Gesù reclamava, e che i cristiani gli attribuivano, era proprio una questione di deità personale e nulla di meno.
Osserviamo quanto accurata e convincente sia la spiegazione di questo tema da parte di Giovanni. Nelle prime frasi del suo Vangelo egli non usa il termine "Figlio", ma parla innanzi tutto di “Parola”. Non c'era pericolo che nascessero dei malintesi; i lettori dell'Antico Testamento avrebbero còlto subito il riferimento. La Parola di Dio nell'Antico Testamento è la Sua espressione creativa, la Sua potenza in azione, che adempie il Suo disegno. L'Antico Testamento descriveva la Parola di Dio, cioè l'effettiva dichiarazione del Suo proposito, come avente potenza in sé stessa per realizzare la cosa determinata. Genesi 1 ci dice come all'atto della creazione Dio disse: "Sia... e... fu" (Genesi 1:3). "I cieli furono fatti dalla parola del Signore... Egli parlò, e la cosa fu" (Salmo 33:6,9). La Parola di Dio è dunque Dio all'opera.
Giovanni riprende questa figura e procede dicendoci sette cose intorno alla Parola divina.
  1. "Nel principio era la Parola" (v. 1). Ecco l'eternità della Parola. Non ebbe un inizio; quando altre cose ebbero inizio, la Parola era.
  2. "La Parola era con Dio" (v. 1). Ecco la personalità della Parola. La potenza che adempie i disegni di Dio è la potenza di un essere personale distinto, che sta in un eterno rapporto di attiva comunione con Dio (questo è il significato della frase).
  1. "E la Parola era Dio" (v. 1). Qui abbiamo la deità della Parola. Benché distinta personalmente dal Padre, la Parola non è una creatura; è di per Sé divina, come il Padre è divino. Il mistero che questo versetto ci pone davanti è dunque il mistero delle distinzio-ni personali all'interno dell'unità della Divinità.
  2. "Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei" (v. 3). Qui la Parola crea, in quanto agente del Padre in ogni atto creativo operato dal Padre. Tutto ciò che fu creato, fu creato per mezzo di lei. (Ecco, a proposito, un'ulteriore prova che la Parola creatrice non appartiene alla categoria delle cose create, come non vi appartiene il Padre).
  3. "In lei era la vita" (v. 4). Ecco la Parola che dà vita. Non c'è vita fisica nel regno delle cose create, se non in, e tramite, lei. Abbiamo qui la risposta biblica al problema dell'origine e della continuità della vita, in tutte le sue forme: la vita è data e mantenuta dalla Parola. Le cose create non hanno vita in sé stesse, ma hanno vita nella Parola, la seconda persona della Divinità.
  4. "E la vita era la luce degli uomini" (v. 4). Qui abbiamo la Parola che rivela. Nel dare la vita, essa dà anche la luce; cioè, ogni essere umano riceve delle indicazioni di Dio dal fatto stesso di essere vivo nel mondo di Dio, e ciò, oltre al fatto di essere vivo, è dovuto all'opera della Parola
  5. "E la Parola è diventata carne" (v. 14). Qui la Parola è incarnata. Il neonato nella mangiatoia di Betleem era l'eterna Parola di Dio.
E ora, dopo averci mostrato chi e che cosa è la Parola (cioè, una Persona divina, autrice di tutte le cose), Giovanni ne dà un'identificazione. La Parola, egli dice, fu rivelata attraverso l'incarnazione come Figlio di Dio. "E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre" (v. 14). L'identificazione è confermata dal v. 18: "L'unigenito Figliuolo, che è nel seno del Padre..." (Versione Riveduta). Così, Giovanni stabilisce il punto a cui mirava fin dall'inizio: ora ha reso ben chiaro ciò che vuol dire chiamare Gesù il Figlio di Dio. Il Figlio di Dio è la Parola di Dio; noi intendiamo che cosa sia la Parola; bene, ecco che cos'è il Figlio. Questo è il messaggio del Prologo.
Perciò, quando la Bibbia proclama Gesù come Figlio di Dio, l'affermazione è intesa come un'asserzione della Sua distinta, personale deità. Il messaggio del Natale poggia sul fatto sconvolgente che il bambino nella mangiatoia era Dio. Ma questa non è che la metà della storia.

2. Il bimbo nato a Betleem era Dio fatto uomo

La Parola era diventata carne: un vero bimbo umano. Egli non aveva cessato di essere Dio; non era meno Dio di quanto lo fosse prima; ma aveva cominciato a essere uomo.
Egli ora non era Dio meno alcuni elementi della Sua deità, bensì Dio più tutto ciò che aveva fatto proprio, rivestendosi dell'umanità. Colui che aveva creato l'uomo imparava adesso che cosa si prova a essere uomini. Colui che aveva creato l'angelo che poi divenne il diavolo, si trovava ora nella condizione — inevitabile — di essere tentato dal diavolo; e la perfezione della Sua vita umana fu raggiunta soltanto mediante il conflitto con il diavolo. La Lettera agli Ebrei, guardando a Lui nella Sua gloria dopo l'ascensione, trae grande consolazione da questo fatto. "Egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa... Infatti, poiché egli stesso ha sofferto la tentazione, può venire in aiuto di quelli che sono nella prova... Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli stesso è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia e così essere soccorsi al momento opportuno" (Ebrei 2:17e seguenti; 4:15 e seguenti).
Il mistero dell'incarnazione è insondabile. Non possiamo spiegarlo; possiamo soltanto formularlo. E forse non è mai stato espresso tanto bene quanto nelle parole del Credo Atanasiano: "Il nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è ugualmente Dio e uomo... perfettamente Dio e perfettamente uomo... Benché egli sia Dio e anche uomo, è un Cristo solo, non due. Egli è uno, tuttavia, non per mezzo di una conversione in carne della sua deità, ma piuttosto attraverso l'assunzione della sua forma umana". La nostra mente non può andare oltre. Quel che vediamo nella mangiatoia è, per usare le parole di C. Wesley: Our God contracted to a span; incomprehensibly made man (Il nostro Dio ridotto a una spanna, incomprensibilmente fatto uomo).
"Incomprehensibly", cioè, incomprensibilmente: faremo bene a ricordarci di questo, evitando speculazioni e adorando con gioia.


NATO PER MORIRE

Che cosa pensare dell'incarnazione? Il Nuovo Testamento c'incoraggia ad adorare Dio per l'amore dimostrato nel farsi uomo. Questo fu infatti un grande atto di condiscenden-za e auto-umiliazione. "Colui che per natura era sempre stato Dio", scrive Paolo, "non si aggrappò alle Sue prerogative di essere uguale a Dio, ma si spogliò di tutti i Suoi privilegi, acconsentendo a essere schiavo per natura e nascendo come un comune mortale. E, diventato uomo, umiliò Sé stesso vivendo in assoluta obbedienza, fino alla morte e alla morte di croce come un criminale" (Filippesi 2:6 e seguenti - parafrasi). E tutto questo, per la nostra salvezza.
Il significato cruciale della culla di Betleem risiede nella sua collocazione all'interno delle tappe che condussero il Figlio di Dio alla croce sul Calvario, e non riusciremo a capirlo finché non lo considereremo in questo contesto. Il testo chiave nel Nuovo Testamento per interpretare l'incarnazione non è, quindi, la semplice affermazione contenuta in Giovanni 1:14 "La Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo tra di noi", ma è piuttosto l'asserzione più esauriente di II Corinzi 8:9 "Infatti voi conoscete la grazia del nostro Signore Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per amor vostro, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventar ricchi".


RESO INFERIORE A DIO?

Qui, però, dobbiamo fare una pausa per esaminare un uso diverso che alcuni fanno dei testi paolini che abbiamo citato prima. In Filippesi 2:7 nella parafrasi di prima "si spogliò di tutti i Suoi privilegi" oppure secondo altre traduzioni "si privò di ogni reputazio-ne" oppure "annichilì sé stesso", come nelle versioni italiane Diodati e Riveduta o "spogliò sé stesso" della Nuova Riveduta vuol dire letteralmente "si svuotò". Questa espressione, si chiede, accanto all'affermazione di II Corinzi 8:9, secondo cui Gesù "si è fatto povero", non getta forse un po' di ombra sulla natura dell'incarnazione stessa? Non implica che, nel Suo farsi uomo, era compresa una certa diminuzione della deità del Figlio?
Questa è la cosiddetta "teoria della kénosis"; kénosis è un termine greco, che significa "svuotamento". L'idea che sta dietro questa teoria in tutte le sue forme è che, per poter essere completamente umano, il Figlio dovette rinunciare ad alcune delle Sue qualità divine, altrimenti non avrebbe potuto partecipare all'esperienza di essere limitato nello spazio, nel tempo, nella conoscenza e nella consapevolezza, il che è essenziale per una vita veramente umana.
La teoria è stata formulata in modi diversi.
Alcuni hanno asserito che il Figlio si spogliò soltanto dei Suoi attributi "metafisici" (onnipotenza, onnipresenza, onniscienza), conservando quelli "morali" (giustizia, santità, veracità, amore).
Altri hanno sostenuto che, nel farsi uomo, Egli rinunciò a tutti i suoi poteri specificamente divini e anche alla Sua autocoscienza divina (che, poi, ri-acquisì nel corso della Sua esistenza terrena).
In Inghilterra, chi per primo accennò alla "teoria della kénosis" fu il vescovo Gore nel 1889, ma la "teoria della kénosis" non durerà. Prima di tutto, perché è una speculazione alla quale i testi presi a sostegno non sono sufficienti a supportarla: quando Paolo parla del Figlio che spogliò Sé stesso e si fece povero, risulta dal contesto che si tratta di una deposizione, ma non dei poteri e degli attributi divini, bensì della gloria e della dignità divine, "la gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse" - dirà Gesù nella famosa “preghiera sacerdotale” in Giovanni 17:5. Le versioni di Filippesi 2:7 che figurano in varie traduzioni sono quindi interpretazioni corrette del pensiero di Paolo e non c'è appoggio scritturale all'idea del Figlio che rinuncia a un qualche aspetto della Sua deità.
Il Nuovo Testamento è chiaro ed enfatico nel sottolineare l'onnipotenza, l'onnipresenza e l'onniscienza del Cristo risorto (Matteo 28:18,20; Giovanni 21:17; Efesini 4:10).
Inoltre, Cristo dichiarò in termini esaurienti e categorici che tutto il Suo insegnamento era da Dio, e che Egli era il messaggero di Suo Padre. "La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato... Dico queste cose come il Padre mi ha insegnato... Io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato Lui quello che devo dire... Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me" (Giovanni 7:16; 8:28; 12:49,50).
È vero anche che la conoscenza di Gesù delle cose umane e divine era talvolta limitata, infatti in alcune occasioni Egli chiese delle informazioni del tipo "Chi mi ha toccato le vesti?... Quanti pani avete?" (Marco 5:30; 6:38) e dichiarò d'ignorare, alla pari degli angeli, il giorno stabilito per il Suo ritorno (Marco 13:32). Ma in altre circostanze mani-festò una conoscenza soprannaturale. Egli conosceva il torbido passato della donna samaritana (Giovanni 4:17e seguenti). Sapeva che quando Pietro sarebbe andato a pescare, il primo pesce catturato avrebbe avuto una moneta in bocca (Matteo 17:27). Sapeva pure, senza che nessuno Lo avesse informato, che Lazzaro era morto (Giovanni 11:11-13). Similmente, di tanto in tanto mostrò di possedere una potenza soprannatura-le operando miracoli di guarigione, sfamando le folle, risuscitando i morti.
L'impressione che gli Evangeli dànno di Gesù non è che Egli fosse interamente spoglio di conoscenza e di potenza divine, ma piuttosto che attingesse da entrambe in maniera saltuaria, accontentandosi di non farlo per gran parte del tempo. In altri termini, l'impressione che se ne ricava è, non tanto quella di una deità ridotta, quanto piuttosto di capacità divine volutamente non usate.
Come considerare questo "contenersi" di Gesù? Certamente, nei termini della verità a cui l'Evangelo di Giovanni dà molta importanza: la completa sottomissione del Figlio alla volontà del Padre. Sappiamo bene che negli Evangeli il Figlio appare come una persona divina non indipendente, ma dipendente, una persona che pensa e agisce soltanto e interamente secondo le direttive del Padre. "Il Figlio non può da sé stesso far cosa alcuna... Io non posso far nulla da me stesso" (Giovanni 5:19 e 30), "Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato" (Giovanni 6:38), "Non faccio nulla da me... faccio sempre le cose che Gli piacciono" (Giovanni 8:28,29).


EGLI SI È FATTO POVERO

Ora capiamo che cosa volle dire per il Figlio di Dio spogliare Sé stesso e farsi povero.
Significò accantonamento della gloria (la vera "kénosis"); volontaria limitazione di potenza; accettazione di privazioni, isolamento, maltrattamenti, astio e incomprensioni; e, da ultimo, una morte che comportava un'angoscia - più spirituale che fisica - tale che la sua mente, al solo pensiero, ne era quasi sopraffatta (vedi Luca 12:50 e il racconto del Getsemani).
Significò amore fino all'estremo per uomini per nulla amabili, affinché, “mediante la sua povertà, [essi potessero] diventar ricchi”. Il messaggio del Natale è che c'è speranza per un'umanità rovinata - una speranza di perdono, di pace con Dio, di gloria - perché, secondo la volontà del Padre, Gesù Cristo si fece povero e nacque in una stalla, per essere appeso a una croce trent'anni dopo.
È il messaggio più meraviglioso che il mondo abbia mai udito, o mai udrà.
Noi parliamo con facilità dello "spirito del Natale", raramente intendendo qualcosa di più di una letizia sentimentale a livello familiare. Ma ciò che abbiamo detto mette in chiaro che la suddetta espressione dovrebbe in realtà convogliare una straordinaria densità di significato. Dovrebbe voler dire la riproduzione, all'interno di vite umane, del carattere di Colui che, per amor nostro, si fece povero in quel primo Natale. E lo spirito stesso del Natale dovrebbe essere il segno di ogni cristiano, tutto l'anno.
Lo spirito del Natale è lo spirito di quelli che, come il loro Maestro, vivono la loro intera esistenza sul principio di farsi poveri - di spendere e di essere spesi - per arricchire i loro simili, dando tempo, fatiche, cure e interessamento, per fare del bene agli altri - e non soltanto agli amici - in qualunque modo si renda necessario.

Tratto da: 

giovedì 22 dicembre 2011

NATALE: tradizioni o fede?




Viviamo in un mondo corrotto e malvagio, nel quale c’è iniquità senza limiti; non c’è più freno al male, e noi cristiani siamo chiamati a essere santi, perché il Padre nostro, il Dio onnipotente, è santo. In mezzo a tanta iniquità, abbiamo un gran bisogno di luce, di verità, di fondamenta solide. Dice il Signore: «Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove» (II Corinzi, 5:17), dunque noi che abbiamo accettato il Cristo siamo delle nuove creature in Gesù. Per lui abbiamo rinunciato alla nostra vecchia vita, al vecchio modo di vivere e di ragionare e in noi ogni cosa è diventata nuova. «Questa è opera del Signore, è cosa meravigliosa agli occhi nostri» (Salmi, 118:23).  Questa è una vita veramente degna di essere vissuta, ed è straordinaria; ma non è alla portata delle capacità umane: è la vita di Dio in noi, vissuta per mezzo della fede. Dio ci esorta a vivere la nuova vita, che non è più condizionata dalle tradizioni degli uomini, alle quali eravamo legati e nelle quali vivevamo come tutti gli altri. Adesso non abbiamo più necessità né motivo di vivere quel tipo di vita, perché Gesù vive in noi, ed è diventato la nostra vita. Ora siamo liberi! Gesù è morto e risorto per dare a noi la libertà: la libertà da tutti i peccati, dalle convenzioni sociali e dalle tradizioni umane che condizionano gli uomini, travisano la parola di Dio, la Verità, causando gravi danni. La fine dell’anno è un periodo di festeggiamenti di vario genere. È bene che noi consideriamo queste feste alla luce della Parola di Dio, perché “la verità vi farà liberi” dice Gesù (Giovanni, 8:32). Conoscere la verità è l’unico modo che ci permette di essere veramente liberi dai condizionamenti eretici e pagani. La vita nel Signore Gesù è meravigliosamente bella, una vita di gioia, una vita di pace, ma deve essere anche una vita senza compromessi, una vita pura, perché il Signore chiede un cuore puro. Ogni cuore puro, cioè il cuore di ogni credente nato di nuovo, desidera sicuramente conoscere la volontà di Dio e anche farla, perché sa che questa è la parte e la benedizione che Dio gli ha assegnata.

IL NATALE 

natività

Il “Natale” è la festa che secondo la tradizione religiosa si celebra il 25 dicembre e commemora la nascita di Gesù. Prima di entrare nell’argomento, vediamo nella Sacra Scrittura come viene descritta la nascita di Gesù. «In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero. Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città. Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto; ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. In quella stessa regione c’erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge. (...) Quando gli angeli se ne furono andati verso il cielo, i pastori dicevano tra di loro: “Andiamo fino a Betlemme e vediamo ciò che è avvenuto, e che il Signore ci ha fatto sapere”. Andarono in fretta, e 2 trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Luca, 2:1-8 e 15-16). Come si può notare, la nascita del Signore Gesù è descritta con grande semplicità. Altra questione: non si conosce la data reale della sua nascita. Per convenzione la si festeggia il 25 dicembre, anche se ormai praticamente tutti sono concordi sul fatto che Gesù non è nato in quella data. Il 25 dicembre cadeva però la festa pagana del solstizio d’inverno, una ricorrenza importante per gli antichi romani, che in quel giorno celebravano la festa del dio Sole. Una festa molto radicata, di quelle particolarmente sentite dal popolo. Quando, nel IV secolo, l’Imperatore romano Costantino impose il Cristianesimo come religione di stato, si dovettero abolire le varie feste pagane; chiaramente, però, non era possibile eliminare improvvisamente tradizioni secolari. E allora si decise di mantenere la festa, tramutando semplicemente il suo nome e il suo significato: al popolo non interessava tanto il significato della festività, purché gli venisse concesso di far festa. Così nacque il “Natale”. Quanti festeggiano quel giorno perché credono che è veramente nato Gesù? Oggi come allora, quello che conta è trovare un motivo per banchettare e divertirsi! Il 25 dicembre è cambiato il nome della festa, ma a ben guardare lo spirito è rimasto sempre quello pagano. Non sono questioni banali, ma cose molto serie, perché il Natale - cioè la nascita del nostro Signore - è avvenuta veramente: ma Gesù non è rimasto bambino, dopo la nascita ci sono state anche la morte e la resurrezione. Per un credente, la vera festa della natività del Signore Gesù è il momento in cui si converte: il momento in cui egli lo accetta nel proprio cuore che, come il luogo in cui Gesù è venuto al mondo, è proprio una stalla, nella quale è necessario che il Signore faccia una grande pulizia. Gesù Cristo si è calato così in basso da venire ad abitare nei nostri cuori; sta scritto che quando è nato Gesù, gli angeli del cielo hanno fatto festa. Anche quando qualcuno accetta Gesù - e cioè quando Gesù nasce nel suo cuore -, c’è grande festa per gli angeli nei cieli (Luca, 15:10). Quando qualcuno accetta per fede Gesù nel proprio cuore c’è, sì, luce: ma non è quella delle lampadine intermittenti, è la luce dello Spirito di Dio che si cala in lui, è la gloria di Dio che scende su lui. Ed è una grande festa: una festa che non finisce, una festa continua, eterna. Possiamo ben dire che noi festeggiamo la nascita di Gesù. Dal giorno che lo abbiamo accettato, c’è festa perenne nei nostri cuori! Anche nelle difficoltà, anche nella sofferenza, c’è festa; perché i travagli che affrontiamo su questa terra sono limitati nel tempo, e finiranno presto, mentre il premio e la gioia che Dio ci ha riservato nel cielo sono eterni. Guardando quindi in alto, quelli che sono “nati di nuovo”, non sentono più la necessità di abbassare lo sguardo su ciò che deve scomparire, ma tengono gli occhi puntati al cielo, e in questa maniera possono festeggiare. A volte capita che qualcuno chieda: «Qual è il giorno del festeggiamento della nascita di Gesù per te?» La risposta è: «Oggi! Perché dal giorno in cui abbiamo accettato Gesù nella nostra vita, noi siamo entrati nel giorno eterno, siamo entrati nell’Oggi che non finisce mai, che è Gesù». Però non è vero che noi Cristiani non festeggiamo la nascita del Signore: festeggiamo eccome! Certo, lo facciamo in un altro modo, e perciò non veniamo travolti da ciò che accade intorno a noi, dalla frenesia da cui la gente viene presa in questo periodo: tutti corrono, e sono tesi, angosciati, preoccupati, impegnati a fare compere, preparare regali, doni, a programmare ricchi pranzi, festeggiamenti... C’è uno spirito dietro a tutto questo, e a volte si è fatto chiamare lo spirito del “Natale”. Ma, badate bene, non è lo spirito di Dio, perché Dio non ha comandato tutto questo, né ci chiede di farlo. Indubbiamente tutti noi che abbiamo accettato Gesù nel nostro cuore abbiamo comunque una gran libertà: «Uno stima un giorno più d’un altro; l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente» (Romani, 14:5). Così, chi per festeggiare tiene particolarmente a un giorno, lo fa per il Signore: quindi se qualcuno desidera consacrare una giornata per lodare Dio, in particolare per qualche ricorrenza spirituale, lo faccia pure! Gloria a Dio! Dio guarda al cuore e non alle apparenze. Anche se, per parte nostra, non abbiamo più necessità di restare vincolati alle tradizioni o a particolari ricorrenze, perché Dio ci ha liberato da ogni condizionamento terreno e ci ha donato la sua pace. 

IL PRESEPE 

presepe
Parliamo ora del Presepe, tradizione collegata al festeggiamento del Natale. Il Presepe nasce dall’intento di fare qualche cosa di buono, dal desiderio di rappresentare gli avvenimenti, i fatti della nascita di Gesù. Ma questo uso è stato introdotto da Francesco d’Assisi appena intorno al tredicesimo secolo, e quindi ben 1200 anni dopo la nascita di Gesù. Perciò parecchio tempo dopo i fatti in questione! Dio non ha mai insegnato nulla del genere. Scrive l’apostolo Giovanni: «Iddio è spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità» (Giovanni, 4:24).Noi non abbiamo nessuna necessità di rappresentarci gli avvenimenti: dobbiamo realizzarli interiormente, farli diventare parte integrante della nostra vita. Non devono rimanere festeggiamenti esteriori! Devono essere parte di noi, in Gesù noi li viviamo, e nel giorno che abbiamo accettato Gesù questa è diventata la nostra vita. Sì, la nostra vita: e non il festeggiamento di un giorno e basta, o peggio, una semplice manifestazione esteriore. Per il resto, queste raffigurazioni sono solo vanità, perché Dio è spirito! Leggendo della nascita di Gesù, abbiamo visto che il Signore è venuto a nascere in una stalla; potrebbe essere stata anche una grotta, di certo era un ricovero per gli animali. Non abbiamo però letto di nessun animale: e vorrei ben vedere quale scellerato genitore metterebbe un figlio neonato davanti al muso di un bue o di un asino! Questa è un’altra fantasia senza fondamento.Essa si trova continuamente riproposta nel presepe e intende raffigurare molte cose che dovrebbero ricondursi a questa nascita, ma che poi in ogni luogo raffigurano semplicemente tradizioni locali. Quindi, si può dire che nel presepio risulta una nascita di Gesù che cambia a seconda dei luoghi. Dio, invece, non cambia a seconda delle località; Dio è lo stesso: ieri, oggi e in eterno; ed è in tutti i luoghi. Dio non cambia, Dio è “Colui che è”, e gloria a Dio per questo, perché così abbiamo un punto di riferimento preciso, fermo, che non muta secondo le circostanze e secondo i secoli, le usanze o le convenienze, come fa la religione. Dio è eterno, stabile, è una realtà sulla quale possiamo contare, che non cambierà dall’oggi al domani, o secondo le voglie degli uomini; è per questo che possiamo appoggiarci su Dio senza timore di essere confusi. È meraviglioso appoggiarsi su Dio! Ma Dio è spirito, e coloro che l’adorano è necessario che l’adorino “in spirito”, senza immagini (Giovanni 4:24). D’altronde, perché si imbastiscono queste rappresentazioni se poi non hanno da servire? Molti, per giustificare questi usi, affermano: “È solamente per ricordare il giorno e l’avvenimento, ma non hanno una importanza spirituale”. E allora, se non sono importanti, a cosa servono? Perché si dovrebbero continuare? No, non è vero che non significano niente! Questi usi hanno il loro significato spirituale, anche se si vuole far credere che non è vero. Questi usi si tramandano con un certo spirito, e incidono sullo spirito delle persone che li praticano! Nel testo dei dieci comandamenti è scritto: «Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso» (Esodo, 20:4-5). Non farti immagini sacre! Tu sei stato fatto all’immagine di Dio, lascia dunque che Dio continui ad ammodellarti, non fare ciò che gradisci tu! Lascia che Dio faccia il bene attraverso di te e non fare da te, perché in quel caso non sarà più la volontà di Dio, ma la tua volontà, o la volontà di qualcun altro, comunque non più la volontà di Dio. E visto che l’unica santa e giusta volontà è la volontà di Dio, allora è bene che segui questo insegnamento: non ti fare scultura o immagine alcuna come dimostrazione di cose spirituali, perché le cose spirituali non le puoi rappresentare. Non le puoi rappresentare, certo: ma le puoi realizzare! È questo che abbiamo necessità di fare: realizzare Gesù Cristo in noi, le verità spirituali, le realtà celesti! «Siccome non vedeste alcuna figura il giorno che il Signore vi parlò in Horeb dal fuoco, badate bene a voi stessi, affinché non vi corrompiate e vi facciate qualche scultura, la rappresentazione di qualche idolo, la figura di un uomo o di una donna (...) affinché (...) tu non ti senta attratto a prostrarti davanti a quelle cose e a offrire loro un culto» (Deuteronomio, 4:15-16 e 19). Quando Dio si è manifestato agli uomini, nel giorno che ha parlato a Mosè sul monte Horeb, nel pruno ardente, non si è vista alcuna figura. Si è sentita la voce, e ancora oggi Dio parla a chi ascolta con il cuore; ma si è solamente “udito”, non si è “vista” nessuna figura. Fateci caso: perché questo? Perché l’uomo non abbia a cadere in inganno. Dio ci conosce, sa quanto siamo fragili, come siamo portati a materializzare tutto, a farci delle rappresentazioni che possiamo toccare con le nostre mani. Ma Dio non vuole questo. In questa maniera, infatti, noi sviliamo Dio! Come possiamo pensare di rappresentare in qualche maniera Dio e le realtà celesti? Mosè, uomo di Dio, non ha visto figure di uomini, né di donne, né di nessun altra specie quando Dio si è manifestato, e neanche oggi Dio si manifesta in per mezzo di figure. Dio parla al cuore, per mezzo dello Spirito. Ogni volta, inevitabilmente, avviene che l’uomo parte con dei buoni propositi, ma dove va a finire? Finisce ogni volta per inchinarsi davanti a queste cose. Cioè, poco a poco, inavvertitamente, queste rappresentazioni diventano sacre. Ecco il guaio: la debolezza umana è sempre stata questa! I pagani che vivevano intorno a Israele praticavano cose simili. E noi uomini “moderni” non siamo cambiati: in tutte le epoche siamo sempre gli stessi, con le stesse debolezze, con gli stessi desideri. I popoli facevano queste cose, e Dio ha detto di non farle, perché facendole si cade nel laccio del diavolo e, facendo come fanno tutti gli altri, anche noi cristiani diventiamo dei pagani. È questo il pericolo: diventare anche noi dei pagani, eretici, idolatri: ossia, dopo aver incominciato per lo spirito, finire per la carne! Capite bene che è un pericolo grave, sul quale Dio ci mette in guardia, insegnandoci e mostrandoci la Via. Ogni cuore sincero non ha problemi ad applicare il suo insegnamento; anzi, questo è il suo desiderio, la sua gioia, la sua necessità, la sua allegrezza! 

L’ALBERO DI NATALE 

albero di natale
Altra tradizione particolarmente sentita è quella dell’albero di Natale. Adornare un abete, cospargerlo di neve finta, farlo brillare con tante lampadine, dà un senso di allegrezza, di festa. Tutto vero: ma Dio è lungimirante, e ci rivela i pericoli che non si vedono. Dio desidera che noi comprendiamo che queste tradizioni sono espressione di realtà spirituali, realtà che non si riesce a vedere con gli occhi né a comprendere con il ragionamento. La tradizione dell’albero di Natale fu importata dai paesi del Nord. Le popolazioni nordiche, pagane, adornavano gli abeti per un rito magico di propiziazione, perché il nuovo ciclo annuale della natura fosse loro favorevole. Il pino e l’abete erano alberi dedicati a un demone. Qualcuno forse direbbe un dio, ma in realtà si tratta di un demonio, un idolo pagano. Questa tradizione natalizia fu introdotta per prima in Germania, e appena nel 1611: quindi, in tempi non tanto lontani. E prima, dov’era? Cosa succedeva prima? Allora a rigor di logica per più di un migliaio d’anni, visto che queste cose non si facevano, il festeggiamento era incompleto? Satana gioca sulle debolezze umane, e come ha tentato Gesù stesso, continua a farlo tanto più con noi, introducendosi dove trova uno spiraglio. E non gli serve nemmeno tanto; basta che vediamo quanto gli è servito per far cadere Eva e Adamo: una parola. Non è servito nient’altro se non che lei prestasse attenzione al ragionamento di Satana: il diavolo non ha chiesto nient’altro. Il risultato è stato la catastrofe dell’umanità. Satana sicuramente non dice: “Guarda che sono il diavolo, con le corna, con la coda, con gli zoccoli”! Viene invece come un angelo di luce (II Corinzi, 11:14), come un ragionamento buono, una bugia a fin di bene, una magia bianca, una favola per rallegrare i bambini, perché la loro fantasia venga stimolata creativamente, ecc.; questo è il metodo con cui Satana entra! Si sente dire in più occasioni: “Lo facciamo per i bambini, per rendere allegra la festa!” E’ invece quella dei bambini è solo una scusa: sono i grandi ad aver bisogno e a trovare divertimento in tutto questo. Questa tradizione tanto innocente, si diceva, sotto sotto ha una radice velenosa: ci sono dei legami di spiriti immondi, demoni che provocano e agiscono perché queste cose vengano introdotte nella realtà cristiana. È possibile amalgamare il santo con il profano? È possibile per noi vivere due vite differenti in una sola volta? E’ possibile servire due padroni? No, non è possibile.

BABBO NATALE 

babbo natale
Nell’ambito di questi festeggiamenti troviamo un’altra figura di fantasia: Babbo Natale. In altre parti del mondo lo chiamano Santa Klaus o “Nonno gelo”; tutti seguono le stesse forme, coloro che lo chiamano San Nicolò, Babbo Natale o Santa Klaus: le stesse vesti, le stesse pratiche, gli stessi festeggiamenti, i doni per i bambini, lo stesso alone magico. Anche questa tradizione non è cristiana, anch’essa ha origini nordiche, ed è di recente introduzione. Questo personaggio da favola, con slitta volante, renne, doni per i bambini buoni eccetera, è completa espressione della tradizione pagana. Lo vediamo vestito con paramenti religiosi, ma non ha alcuna attinenza con la nascita del nostro Signore Gesù e con la Sacra Scrittura. Infatti «Gesù disse loro: Ben profetò Isaia di voi ipocriti, com’è scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini» (Marco, 7:6-7). Questi costumi e queste tradizioni sono solo apparenza. Tutto ciò non ha nulla in comune con la nascita di Gesù. Noi abbiamo bisogno di una sola persona: Gesù. Abbiamo necessità di vivere Gesù, di immergerci giorno dopo giorno in lui, di vivere la sua vita partecipando a ciò che lui è, perché “Egli è colui che è”, e noi abbiamo necessità di partecipare a questa eternità, non a rappresentazioni teatrali. Dio non ha mai insegnato cose simili, anzi ci mette in guardia: guardatevi dalle tradizioni degli uomini, io non le ho comandate!  

LA BEFANA 

befana

Un’altra tradizione legata a questo periodo di “feste” consumistiche è quella della Befana. Il termine corretto è Epifania, letteralmente “apparizione, o manifestazione”, di Gesù, si intende, ai magi d’Oriente, e quindi al mondo. Anche questa ricorrenza è stata degradata dalla tradizione secolare a una rappresentazione pagana. Il soggetto dell’evento è passato dall’adorazione dei re magi all’arrivo della Befana, una strega, impersonata da una vecchietta, brutta, gobba, con la scopa, ecc., che vola - anche lei - e porta regali per i bambini! Fateci caso: anche Babbo Natale è per i bambini. Si vuole far credere che i bambini ne hanno un gran bisogno. Ma questo invece è un tentativo di corruzione della purezza e della semplicità dei bambini. Gesù ha detto: «Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro» (Luca, 18:16). Sono gli adulti, con la loro mente sofisticata (corrotta), a inquinare la purezza dei bambini con queste tradizioni. I nostri figli non hanno bisogno di queste panzane! Hanno bisogno che parliamo loro di Gesù Cristo, della Verità, che leggiamo loro la parola di Dio, che raccontiamo loro quello che Dio insegna: la nascita di Gesù, i suoi miracoli, le sue parabole, la sua crocifissione e la sua risurrezione. Loro hanno bisogno di conoscere Gesù, il suo amore, la sua potenza salvifica. Hanno bisogno di conoscere la grandezza di Dio, del Dio che ha liberato Israele dalla schiavitù d’Egitto, che lo ha tirato fuori dalla deportazione di Babilonia; di cosa è accaduto attraverso il suo servo Mosè, il suo servo Davide, i profeti; hanno bisogno di conoscere come ha operato e opera per mezzo dei suoi apostoli e dei suoi servi. Di questi racconti biblici i nostri figli hanno bisogno! Perché questo è pane, acqua, vita! I bambini, i figli che Dio ci ha dato, hanno bisogno di conoscere la Parola di Dio, non di queste rappresentazioni magico-pagane. I bambini hanno bisogno di purezza, luce, verità, e soltanto in Gesù possono trovarle; noi adulti abbiamo in amministrazione la loro educazione. Siamo noi genitori che abbiamo la responsabilità davanti a Dio di dare loro del cibo sano e non inquinato o avvelenato. La befana, questo personaggio fiabesco, frutto della fantasia popolare, sorto peraltro appena nel Medioevo - e quindi in un’epoca abbastanza recente -, non trova alcun riscontro nella parola di Dio: quindi è totalmente pagano e diabolico. Nella Bibbia non si trova traccia della Befana, come del resto di Babbo Natale.  

SIATE SANTI 

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«Insegna al fanciullo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà» (Proverbi, 22:6). Di questo hanno bisogno i nostri figli! Insegniamo loro questa condotta! «Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai» (Giosuè, 1:8). Questo libro (la Bibbia) insegna ai tuoi figli, questo libro metti in pratica, e non dare loro immondizia pagana! «Quando sarai entrato nel paese che il Signore, il tuo Dio, ti dà, non imparerai a imitare le pratiche abominevoli di quelle nazioni» (Deuteronomio, 18:9). Non imitare queste pratiche pagane, sono abominevoli agli occhi di Dio, sono impurità della gente del paese che vive intorno a te, non imparare queste cose da loro, medita sulla parola di Dio giorno e notte, e purificati! «...Affinché essi non v’insegnino a imitare tutte le pratiche abominevoli che fanno per i loro dèi, e voi non pecchiate contro il Signore, Dio vostro» (Deuteronomio, 20:18). Dio ci mostra la strada giusta, ci insegna la Via: non seguite ciò che fa la gente intorno a voi, non vi lasciate trasportare. A volte non è facile, ma Gesù ci ha avvertito che la porta è stretta e la via è angusta. Il Signore avverte che sarà salvato soltanto chi avrà resistito fino alla fine, senza scendere a compromessi, restando fermo nella verità, costi quel che costi. Chi non è disposto a pagare tutto quello che è necessario, anche il prezzo della propria vita (quanto più qualsiasi amicizia, parentela, proprietà o altro), vuol dire che non ama Dio sopra ogni cosa: Dio invece ci chiama proprio a questo, ad amarlo sopra ogni cosa, e quindi a restare fedeli a lui, senza badare a ciò che potrà accadere. Da quando il Signore Gesù dimora nel tuo cuore, hai la vita eterna, questa è la promessa di Dio. Non vuoi rinunciare a ogni altra cosa per ottenere questo? Dio ti chiede proprio questo. Non è detto che sarà facile: però è necessario. E se tu sei deciso a seguire il Signore Gesù nel suo insegnamento e sei determinato a fare così come lui ti insegna, allora sarà lui a provvedere il necessario per farti riuscire, perché colui che è con te è più forte di colui che è tuo avversario. Non ti preoccupare, sarà il Signore a provvedere perché tu riesca a farlo: in te però ci deve essere la determinazione di volerlo fare a ogni costo. Poi non sarà la tua forza a farti riuscire, ma sarà Dio che opererà in tuo favore, perché tu hai lui e quello che fai lo fai per essere fedele a lui. «Questo dunque io dico e attesto nel Signore, che non vi conduciate più come si conducono i pagani nella vanità dei loro pensieri, con l’intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio» (Efesini, 4:17-18). Non comportatevi più come gli inconvertiti, come coloro che ancora non hanno accettato Gesù nel loro cuore, coloro che vivono intorno a voi, e dei quali dovete essere la luce, il punto di riferimento, l’esempio, perché anche loro hanno bisogno della verità. Voi avete la verità. Non conducetevi più come gli altri, perché altrimenti loro non vedranno più niente di speciale in voi, anche voi sarete tenebre come loro. Ma se siete in Cristo e rimanete nella Verità, voi brillerete, sarete differenti, e loro vedranno in voi la Verità. Sarà così che avranno l’occasione di potersi convertire, di ricevere la testimonianza, di poter anche loro ricevere la vita eterna. Ma voi dovete essere luce. Perciò siate fedeli, voi siete nuove creature. Continuando a leggere, troviamo scritto: «Ma quant’è a voi, non è così che avete imparato a conoscere Cristo (...), avete imparato, per quanto concerne la vostra condotta di prima, a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente, e a rivestire l’uomo nuovo che è creato all’immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità» (Efesini, 4:20 e 22-24). Ecco la verità: la strada è questa, voi credenti avete imparato, voi avete ricevuto. Non comportatevi più come i pagani, rivestite l’uomo nuovo e vivete la nuova vita riflettendo l’immagine di Dio. Non più tradizioni pagane. Non vi lasciate trascinare come piccoli fanciulli dietro a menzogne diaboliche. Gesù, che avete accettato, è la verità, voi avete la verità nel vostro cuore, non avete più necessità di menzogne, anzi, avete proprio necessità di liberarvi dalle menzogne che questo mondo corrotto vi offre. «Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati. Camminate nell’amore, come anche Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio, quale profumo di odore soave (...) Nessuno vi seduca con vani ragionamenti: poiché è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. Non siate dunque loro compagni; perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce (...) esaminando che cosa sia gradito al Signore. E non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele» (Efesini, 5:1- 2, 6-8, 10-11). Questo è ciò che Iddio offre a coloro che gli appartengono. «E Colui che siede sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Poi mi disse: Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere» (Apocalisse, 21:5). Ogni cosa è stata resa nuova nella vostra vita dal giorno in cui avete accettato Gesù Cristo. Vivete questa nuova vita che è Cristo Gesù. Avete rinunciato alla vostra vita, l’avete rifiutata? Avete necessità di fare proprio questo. Gesù è la nuova vita: la vostra non è più la vita di prima, è una nuova vita, che si rinnova giorno dopo giorno, momento dopo momento, seguendolo. Non desiderate le cose che vi stanno attorno, siate benedizione e fonte di arricchimento per quelli che vi stanno attorno. 

ciao

per tutti coloro che mi vogliono bene un invito a riflettere

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