per capirci

GIACOMO 1, 2-4

Fratelli, considerate come motivo di gaudio perfetto le diverse prove alle quali voi potete essere esposti, sapendo che la fede messa
alla prova produce la pazienza. E' necessario però che la pazienza compia perfettamente l'opera sua, affinché voi siate pure perfetti ed
integri, senza mancare in niente.(Giacomo 1; 2-4)

Emmanuel

venerdì 15 febbraio 2013

La via larga dell'inferno



L’inferno è un luogo ben definito

Il luogo o condizione inferno racchiude diversi concetti biblici che, seppur descritti con termini diversi nelle lingue ebraica e greca, hanno in comune un predominante concetto, che è quello dell'esistenza di una realtà, dopo la cessazione dell'esistenza dell'uomo sulla terra, di condizione eterna, lontana da Dio e nella sofferenza. D'altronde, la creazione di Dio, il Suo l'impegno per la realizzazione della salvezza dell'umanità, con la necessità della nascita, della morte e risurrezione di Cristo, sarebbero state inopportune in una realtà dove non ci sarebbe una punizione eterna e dove alla fine tutto sarebbe tornato nel nulla assoluto o nella eterna scomparsa dell'uomo malvagio e peccatore, tutte cose, queste, che ci portano alla deviazione totale dall'insegnamento di Cristo e completamente fuori dal cristianesimo.
La dottrina dell'inferno è, insieme alle altre, un insegnamento importantissimo, per cui negando la sua esistenza saremo costretti a rifiutare le altre che sono ad essa collegate. Tutte le dottrine e gli insegnamenti fondamentali di Cristo sono vitali per il credente, sono come i raggi di una ruota, per cui venendone a mancare uno, viene compromessa la funzionalità della ruota stessa.
I termini che riscontriamo nelle lingue bibliche sono:
  • Abyssos (gr.) cioè "abisso", "inferi", in particolare "prigione per i demoni" dei passi di Luca 8:31 e Apocalisse 9:1; un significato simile è attribuito a "tartaros" di 2 Pietro 2:4;
  • Sceol (ebr.) ovvero Ades (gr.), comunemente chiamato "inferno" e "soggiorno dei morti", ed è il luogo provvisorio ed intermedio di soggiorno dell'anima della persona deceduta sino alla resurrezione finale. Lì Gesù è andato ad annunciare il Vangelo agli spiriti dei morti (1 Pietro 3:19, 4:6), ed è pure da lì che, quando è salito nel cielo, ha liberato molti che erano prigionieri, portandoli con se (Efesini 4:8). Quindi Sceol o Ades, adesso, dopo la resurrezione di Gesù, è la condizione e il luogo dove vanno le anime di coloro che saranno giudicate econdannate da Dio ed è tutt'ora un luogo in cui si soffre;
  • Geenna (gr.) è l'inferno finale di fuoco e zolfo, o "stagno ardente di fuoco e zolfo" di Apocalisse 20:10 e 20:15. E' il termine tradotto in greco dall'Aramaico di "gehinnam", cioè valle di Hinnom, a sud di Gerusalemme, dove al tempo del dominio cananeo venivano eseguiti sacrifici di bambini tramite roghi. Quando Gesù parla di questo luogo non si riferisce al luogo geografico, ma a quello che esso rappresenta, cioè il luogo della punizione.
L'inferno, una angosciosa realtà
dottrina
I passi della Bibbia che ci parlano di queste realtà, dunque,  non ci vogliono trasmettere dei concetti puramente simbolici, come vogliono credere quelli che rifiutano il sano insegnamento di Cristo per abbracciare le tesi dell'annichilimento e del condizionalismo, ma ci descrivono delle realtà presenti e future.
La Geenna, o lo Stagno di Fuoco e di Zolfo è veramente un luogo in cui si soffre. Infatti, dice ancora la Parola, "lì sarà il pianto e lo stridor di denti".
L'indicazione perentoria dei dolori nello Sceol o nella Geenna, non si possono paragonare a un'estinzione o annientamento dell'esistenza, come molti credono. Se l'uomo fosse veramente annientato all'atto della morte terrena sarebbero superflui e incomprensibili i riferimenti al "fuoco eterno" o "inestinguibile", al "verme che non muore" e alle relative sofferenze.
Da nessuna parte della Sacra Scrittura si trova una chiara prova del fatto che questo "fuoco" rappresenta un atto unico di annientamento che dà termine all'esistenza dell'individuo, mentre invece si denota la sua eterna durata.
Per descrivere la realtà della punizione, della sofferenza e della lontananza eterna da Dio, la Bibbia utilizza costantemente concetti che richiamano orrore, dolore e sofferenze.
L'insegnamento biblico sull'inferno è oggi forse una delle dottrine più trascurate. Quando si parla oggi di inferno, infatti, si viene generalmente messi in ridicolo, come se tutta la faccenda dell'inferno fosse così antiquata che solo gli ingenui e gli sprovveduti potrebbero ancora credere all'esistenza di un luogo simile.
Queste reazioni non ci sorprendono più di quel tanto: l'uomo naturale, infatti, non sopporta l'idea di dover essere responsabile di sé stesso davanti a Dio, perché ama il peccato e non ha alcuna intenzione di abbandonarlo. La mente carnale allora scaglierà obiezione dopo obiezione contro l'idea dell'inferno, perché rifiuta di affrontarne la realtà. Molti vivono pensando che se solo continueranno ad ignorare una certa difficoltà abbastanza a lungo, essa svanisca da sola. Persino alcuni leader religiosi conservatori si sono messi ad attaccare l'idea dell'inferno! 
Che propongano però pure tutti gli argomenti che vogliono: le frivole obiezioni degli sciocchi non riusciranno ad eliminare l'inferno! 
Nel mezzo di tutto questo schiamazzo per negare l'esistenza dell'inferno, coloro che credono che la Bibbia abbia ragione sono chiamati ad alzarsi per parlare chiaramente e con fermezza. Quando parlerete del giusto terrore che deve incutere l'inferno, forse sarà la cosa più importante che avrete potuto fare in questa vita. «...chiunque ode il suono della tromba e non fa caso all'avvertimento, se la spada viene e lo porta via, il suo sangue sarà sul suo capo» (Ezechiele 33:4). Vi prego, vi esorto vivamente di prendere il tempo necessario per leggere questo studio fino alla fine. 
Perché mai uno dovrebbe interessarsi così tanto dell'inferno? Perché dovremmo usare del nostro tempo prezioso per leggere qualcosa sull'inferno? Ci sono diverse ragioni per cui questo può essere vantaggioso: 
  1. Udire dell'angosciosa realtà dell'inferno come di una reale possibilità potrebbe essere un salutare shock per la vostra coscienza e farvi aprire gli occhi sulle false sicurezze che troppo spesso si coltivano.
  2. Udire dell'inferno può essere un salutare deterrente dal commettere ciò che a Dio dispiace. Sia le persone religiose che quelle irreligiose possono essere dissuase molto efficacemente dal peccare quando si rammenta loro regolarmente della reale possibilità dell'inferno.
  3. Udire delle angosciose sofferenze dell'inferno come di una reale possibilità può essere molto utile per coloro che si illudono di essere salvati supponendo di essere credenti in Cristo e nei fatti dell'Evangelo mentre in realtà non lo sono e sono avviati loro malgrado proprio là dove essi certo non vorrebbero finire.
  4. Predicare la dottrina dell'inferno è utile sia per i credenti che per i non credenti.
Perché la gente oggi sembra non aver più paura dell'inferno? Si, perché oggi pare esservi una diffusa indifferenza ed incredulità a questo riguardo, e la possiamo trovare fra le file sia di quelli che vanno in chiesa e di quelli che non ci vanno.
La gente sembra non temere più l'inferno. Perché? Un uomo non ha paura di un leone quando questo è solo dipinto sulla parete perché è solo un'immagine. Egli sa che non si tratta di un leone vero. Ma se invece fosse da solo nella giungla e si trovasse faccia a faccia con un minaccioso leone ringhiante, ne sarebbe terrorizzato. L'umana coscienza è proprio come quell'uomo che vede un leone dipinto. Udiamo dalla Bibbia dell'inferno. Sappiamo che il Signore Gesù ne aveva parlato e forse di più di qualunque altro argomento! Allora perché molti oggi non credono all'inferno come di una reale possibilità? Perché non ne sentono parlare abbastanza, perché non studiano quello che la Scrittura dice sull'inferno. Non è tanto quello che udiamo a conformare ciò in cui noi crediamo, ma pure ciò che non udiamo conforma il nostro sistema di credenze. È solo lo Spirito di Dio che può incuterci il giusto e necessario terrore dell'inferno e presentarcelo in modo tale da rendercene attenti. La dottrina dell'inferno è stata usata da Dio per la conversione dei peccatori molto più spesso di quanto si creda e molto di più di qualsiasi altra dottrina. 

La necessità dell'inferno
punizione
La maggior parte di coloro che oggi si prendono gioco di questa dottrina lo fanno probabilmente per diverse ragioni. Forse la principale è la pertinacia di voler seguire solo quello che a loro meglio aggrada senza avere il pensiero di dover subire conseguenze per le loro azioni. Essi non vogliono udire che ciò che essi fanno è sbagliato, essi non vogliono udire che saranno puniti per i loro peccati.
Quante volte, poi, si odono al riguardo rimostranze di questo genere: "...ma non vi sembra che un tormento eterno all'inferno sia incompatibile con un Dio misericordioso ed amorevole? Come potrebbe un Dio che è amore destinare qualcuno all'inferno per sempre?". Queste domande però, nascono da un equivoco di fondo sul carattere di Dio e sulla natura del peccato. 
Perché è necessario l'inferno? Esaminiamone diverse ragioni:

1) La malvagità del peccato e la santità di Dio 

La difficoltà che molti hanno nel comprendere la necessità dell'inferno può essere posta in relazione ad una comprensione incompleta ed inadeguata da una parte di quanto sia veramente riprovevole ed aberrante il peccato, e dall'altra di quanto sia glorioso Dio. Non vediamo quanto anche il più piccolo peccato possa essere deplorevole agli occhi di Dio né riusciamo a comprendere la santità di Dio, la Sua giustizia e la Sua ira. Se considerassimo il peccato come il più grande male del mondo, se ci rendessimo conto che esso è un vergognoso insulto e un dispregio della sovranità di Dio su di noi, un empio scherno nei Suoi riguardi, un agitarGli davanti il nostro pugno ed uno sputo in faccia, cominceremmo a comprendere un poco di come possa apparire il peccato ai Suoi occhi. Ogni qual volta noi pecchiamo, eleviamo nel nostro cuore noi stessi oppure una nostra pietosa voglia come se Gli fosse una divinità rivale. Il peccato respinge il Creatore nella Sua stessa essenza e dignità divina per porre al Suo posto una creatura.
Se solo potessimo comprendere la santità divina e che cosa significa essere santo, puro, perfetto, retto e incontaminato dal sia pur minimo peccato, avremmo un'idea migliore sul perché Dio odi tanto il peccato. L'assoluta santità non può tollerare il minimo peccato. "Tu hai gli occhi troppo puri per vedere il male e non puoi guardare l'iniquità" (Ha. 1:13). Se solo potessimo capire la gloriosa santità e purezza di Dio, come pure maggiormente la natura abominevole del peccato, allora non avremmo problemi con l'assoluta necessità dell'inferno.
"Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente malato; chi lo può conoscere?". Il cuore umano è malato, il cuore umano è malvagio, il cuore umano è ingannevole. E' la corruzione del cuore umano a fare in modo che noi inganniamo noi stessi sulla perversità del peccato e su molte altre cose.

2) La natura infinita di Dio 

Cercare di comprendere che cosa sia in realtà il peccato, significa guardarlo dal punto di vista di Dio. Dio è un essere infinito ed eterno. Ogni atto di peccato viene commesso contro un Dio infinito e santo. In ogni atto di peccato noi spodestiamo Dio e mettiamo noi stessi sul trono: in ogni peccato è questa la questione decisiva. "la volontà di chi sarà compiuta: quella di Dio o quella dell'uomo?". Ora l'uomo, con il peccato pone la sua propria volontà al di sopra di quella di Dio, e così dà un calcio a Dio e lo pone sotto i suoi piedi. Un singolo atto peccaminoso commesso contro un Dio santo ed infinito, merita un castigo dal carattere infinito. E' un male infinito offendere un Dio infinito anche una sola volta. 

3) La giustizia divina

Anche un solo peccato contro Dio richiede che Dio difenda il Suo nome e la Sua giustizia punendolo tanto severamente quanto merita. Dio può difendere la Sua giustizia, e lo farà. Egli promette di farlo in Romani 12:19laddove dice: " Non fate le vostre vendette, cari miei, ma lasciate posto all'ira di Dio, perché sta scritto: «A me la vendetta, io renderò la retribuzione, dice il Signore»".
Uno dei più grandi predicatori in assoluto, Jonathan Edwards, scrisse: "La gloria di Dio è il bene più alto; è lo scopo principale della creazione; è di importanza maggiore di qualunque altra cosa. Ecco però un modo in cui Dio glorificherà sé stesso glorificando la Sua giustizia: nell'eterna distruzione degli empi. Là Egli apparirà come giusto sovrano del mondo. La giustizia retributiva di Dio apparirà stretta, esatta, terribile, e quindi gloriosa".

Una descrizione dell'inferno
pena
L'inferno è una fornace di fuoco inestinguibile, un luogo di castigo eterno, dove le sue vittime vengono tormentate sia nel corpo che nella mente secondo la loro natura peccaminosa, secondo i peccati che di fatto si sono commessi e la misura di luce spirituale loro accordata e respinta. L'inferno è un luogo dal quale Dio ha ritirato la Sua misericordia e la Sua bontà, dove l'ira di Dio viene rivelata come un fuoco terrificante e consumante e dove gli uomini vivranno con le loro concupiscenze insoddisfatte nei secoli dei secoli. In Matteo 13:47-50 il Signore Gesù racconta una parabola al riguardo del Giudizio. Nei versetti 49 e 50 il Signore descrive così  il destino degli empi:“Così avverrà alla fine del mondo, gli angeli verranno e separeranno i malvagi dai giusti; e li getteranno nella fornace del fuoco. Lì sarà pianto e stridor dei denti”. Nell'esaminare queste parole del Signore Gesù dovremmo dapprima notare che l'inferno viene qui descritto come una fornace di fuoco. La fornace di Nabucodonosor era stata riscaldata sette volte più del normale e viene descritta come “una fornace di fuoco ardente” (Daniele 3:23). Giovanni Battista parlava di “fuoco inestinguibile” e Apocalisse descrive l'inferno come “uno stagno di fuoco che arde con zolfo” (Apocalisse 19:20). Potete veramente immaginare l'orrore a cui fanno riferimento queste parole? Immaginate ogni parte del vostro corpo in fiamme allo stesso tempo, in modo tale che ogni fibra del vostro corpo senta l'intenso tormento di essere bruciato. Quanto a lungo potreste sopportare un simile castigo? Cristo ci dice che ci sarà “pianto e stridor di denti”. I perduti gemeranno e i loro denti strideranno dal dover sopportare il più intenso dolore e sofferenza che mai abbiano dovuto affrontare, mentre le fiamme consumano e costantemente bruciano ogni parte del loro corpo. E non ci sarà sollievo alcuno.
Jonathan Edwards descrive con un’immagine terribile ciò che sarà il fuoco dell'inferno: "Alcuni di voi forse avranno già visto degli edifici in fiamme. Immaginate voi stessi nel più bel mezzo di un simile incendio a combattere inutilmente con le fiamme. Avete mai visto un ragno o qualche altro fastidioso insetto gettato nel mezzo di un intenso fuoco, ed avete osservato come subito cede alla forza delle fiamme? Non c'è alcuna dura lotta, alcun combattimento contro le fiamme, nessuna forza che possa essere opposta al calore per sfuggirne; immediatamente si tende e vi si abbandona, e il fuoco ne prende possesso, e subito diventa incandescente. Ecco un'immagine limitata di ciò che sarete all'inferno, a meno che non vi ravvediate e non troviate rifugio in Cristo. Per incoraggiare voi stessi di poter essere in qualche modo capaci a sopportare i tormenti dell'inferno ...è come se un verme che stesse per essere gettato in una fornace ardente tendesse i muscoli e cercasse di fortificarsi e di prepararsi per combattere le fiamme".
L'inferno viene pure descritto come un luogo di tenebre 

Il Signore ci parla di quell'ospite trovato senza vestito di nozze e che era stato gettato "nelle tenebre di fuori" (Matteo 22:13). Giuda scrive di coloro che dimorano nell'inferno: «stelle erranti a cui è riservata la caligine delle tenebre infernali per sempre» (Giuda 13)
Christopher Love nella sua opera Hell's Terror dice: "le tenebre sono terribili, e gli uomini temono più le tenebre che la luce; l'inferno è dunque presentato con un'espressione così terribile affinché il cuore degli uomini tremi; non solo dunque le tenebre, ma la caligine delle tenebre".

In Isaia 30:33 l'inferno è paragonato al Tophet 

Il Tophet era il luogo dove i Giudei idolatri sacrificavano i loro bambini al Dio pagano Moloc gettandoli nel fuoco. Da quel luogo venivano emesse giorno e notte grida terrificanti, come pure, giorno e notte, dall'inferno si udivano grida, gemiti e lamenti. 
Isaia parla del "soffio dell'Eterno" come di un "torrente di zolfo" che accende l'inferno. Vi sono dunque ampie evidenze dalle Scritture che Dio stesso sarà il fuoco dell'inferno. Ebrei 12:29 dice: «perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante»Gli empi sulla terra danzano di gioia quando odono predicatori che parlano dell'amore e della misericordia di Dio, ma essi non ne saranno i beneficiari, se prima non si ravvedono. Per loro Dio sarà come un fuoco consumante. Ebrei 10:30,31 ci ammonisce così: "Noi infatti conosciamo colui che ha detto: «A me appartiene la vendetta, io darò la retribuzione» dice il Signore. E altrove: «Il Signore giudicherà il suo popolo»".E' cosa spaventevole cadere nelle mani del Dio vivente. E' cosa spaventevole e terribile cadere nelle mani del Dio vivente! Peccatore, tu non potrai sfuggire all'inferno. Dio sarà il tuo inferno e la Sua ira ti consumerà e ti sarà riversata addosso per tutta la Sua esistenza. «Chi conosce la forza della tua ira e il tuo furore secondo il timore che ti è dovuto?». E' proprio perché Dio stesso sarà il fuoco dell'inferno che le parole non potranno mai esprimere adeguatamente il terrore dei dannati all'inferno. "Non c'è motivo di sperare che i predicatori riescano a presentare questo argomento oltre a ciò che è in realtà, che non sia poi così terribile come si vuole far credere, che i predicatori esagerino un po'... Abbiamo piuttosto ragione per supporre che quand'anche avessimo detto tutto il possibile, tutto ciò non sia ancora che un'immagine inadeguata".

In Luca 16:19-26 Cristo ci parla di due uomini 

Uno di loro era ricco (è conosciuto tradizionalmente come "il ricco Epulone") e l'altro era un mendicante (Lazzaro), Entrambi erano morti. Il mendicante venne subito portato dagli angeli in cielo, mentre il ricco andò all'inferno. Il ricco non era finito all'inferno perché fosse ricco, né il mendicante era andato in paradiso semplicemente perché fosse povero. Il Signore ci mostra questo contrasto per insegnarci che le nostre circostanze possono mutare radicalmente una volta che passiamo nella dimensione dell'eternità. Non dobbiamo ingannarci sul fatto che dopotutto Egli ci abbia trattato bene quaggiù perchè dopo la morte potrà fare molto diversamente. L'eterno luogo di dimora di questi due uomini era il risultato della condizione del loro cuore davanti a Dio qui sulla terra. Lazzaro era un vero seguace di Dio, il ricco Epulone no. Notiamo attentamente ciò che le Scritture ci dicono su Epulone e sulla sua condizione, perché da questo apprenderemo molto al riguardo dell'inferno. 
versetti 23 e 24 ci dicono che Epulone si trovava "tra i tormenti nell'inferno". Che significa essere tra i tormenti? Questi tormenti si riferiscono ai tormenti del corpo come pure a quelli dell'anima. Come abbiamo visto sarà il corpo ad essere tormentato in una fornace di fuoco. Ogni parte del corpo soffrirà il dolore di quel fuoco. Chi soffre di acuti dolori di stomaco, soltanto per quei dolori può essere in grande agonia, ma questo dolore sarà ancora più acuto. La morte per cancro può talvolta causare estremo dolore per il corpo, ma il dolore dell'inferno sarà ancora più grande. Se il vostro corpo fosse afflitto da molte diverse e dolorose malattie allo stesso tempo, sareste ancora lontani dall'immaginare come potrebbe essere il dolore dei dannati all'inferno. 

All'inferno anche la coscienza sarà tormentata

La coscienza è esattamente quel "verme che non muore" di cui parlano le Scritture (Marco 9:48; Isaia 66:24). Ad Epulone viene detto che "ricordati... che durante la tua vita...". Si sarà tormentati da intenso dolore, ma si sarà pure tormentati dalle proprie memorie. Ricorderemo di aver sentito parlare dell'inferno e di essercene fatti beffa.Ricorderemo che qualcuno ci aveva pure messi in guardia e ci aveva esortato al ravvedimento, oppure che accettare le benedizioni del paradiso senza sottomettersi a Cristo sarebbe stato comunque un perdere la salvezza, ma non vi avevamo prestato fede. Saremo tormentati dal vedere a distanza le glorie del paradiso (come Epulone era pur in grado di fare) e dal sapere che mai e poi mai potremo raggiungerle. Saremo tormentati da desideri e da concupiscenze insoddisfatte (Epulone non era in grado di ricevere neanche una goccia d'acqua fresca sulla lingua). Saremo tormentati dal sapere che dall'inferno non potremo più sfuggire (ad Epulone vien detto che"coloro che vorrebbero da qui passare a voi non possono"). Saremo tormentati dalle grida, dai gemiti e dalle maledizioni dei dannati intorno a noi. I tormenti più estremi che un uomo possa avere sulla terra non sono che una puntura d'ape comparate ai tormenti dell'inferno. 
Jonathan Edwards nel suo sermone: Il futuro castigo dei malvagi parla di come gli uomini non saranno in grado di trovare neanche il più piccolo sollievo nell'inferno: "...né essi saranno in grado di trovare il minimo sollievo all'inferno. Laggiù non troveranno il minimo riposo, nemmeno un angolino che possa essere considerato più fresco del resto per prendere un po' di fiato, nemmeno il minimo allentarsi di questo estremo tormento. In quel luogo di tormento non saranno mai in grado di trovare un torrente o una fontana fresca; no, neanche una goccia d'acqua per rinfrescare la loro lingua. Non troveranno nessuno che possa loro dare un po' di conforto, o far loro il minimo bene. Non troveranno alcun luogo dove possano fermarsi un attimo per riposare e prendere respiro, perché saranno tormentati con il fuoco e con lo zolfo; e non avranno riposo, né giorno né notte".

L'eternità dell'inferno
eternità
L'aspetto più terrificante di tutti a proposito dell'inferno è la sua durata. L'inferno durerà per sempre. Potresti immaginare l'eternità? Nessuna formula matematica od equazione la può spiegare. La vostra mente non può concepire l'eternità, ciononostante essa è reale. Soltanto questo aspetto dell'inferno dovrebbe far si che tutti invocassero di esserne liberati ravvedendosi dei loro peccati. Non dovrebbe sorprendere che scettici di ogni tempo abbiano attaccato la natura eterna dell'inferno, sostituendovi dottrine come quella dell'annullamento dei malvagi. Verifichiamo però le Scritture per comprendere la natura eterna dell'inferno e cerchiamo di meglio comprendere l'eternità.«Allora il diavolo che le ha sedotte sarà gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono la bestia ed il falso profeta: e saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli» (Apocalisse 20:10). Questo versetto da solo basterebbe per indicarci la durata dell'inferno. L'inferno è "nei secoli dei secoli". Potrebbe forse essere usata un'espressione più forte e più chiara di questa? Se lo Spirito Santo voleva comunicarci la natura eterna dell'inferno, che altro meglio se non l'espressione "nei secoli dei secoli" avrebbe potuto usare? La Scrittura non presenta alcuna espressione più alta di "nei secoli dei secoli" per comunicarci l'idea di eternità, perché è la stessa frase usata per indicare l'eternità di Dio stesso, come in Apocalisse 4:9 «colui che vive nei secoli dei secoli». Forse che qualcuno dubita che Dio vivrà per ogni eternità? Come possiamo allora dubitare che l'inferno non duri per tutta l'eternità, quando la stessa espressione viene usata per entrambi?
"Possiamo solo comprendere una parte di questo argomento, ma per aiutare a comprendere, immaginate voi stessi gettati in una fornace ardente, dove il vostro dolore sia molto ma molto più grande di quando vi provocate accidentalmente un'ustione. Immaginate che il vostro corpo vi debba giacere per un quarto d'ora, avvolto dalle fiamme, e per tutto il tempo voi abbiate piena coscienza; che orrore sentireste nel dovere entrare in una simile fornace! e quanto lungo vi sembrerebbe quel quarto d'ora! E dopo aver sopportato quel fuoco per un minuto, quando insopportabile per voi sapere che davanti a voi vi sono altri quattordici minuti! Che effetto però avrebbe per la vostra anima, se voi sapeste di dover passare in quella fornace, in quei terribili tormenti, ...ventiquattr'ore, ...un'intero anno, ...mille anni!? E che effetto vi farebbe sapere che in quel luogo dovreste stare per sempre, nei secoli dei secoli? Dopo milioni d'anni il vostro tormento ancora non sarebbe alla fine, perché di là non sarete mai più liberati! Il vostro tormento all'inferno, però, è estremamente più grande di quanto questa o altre illustrazioni lo potrebbero rappresentare!"
Cristo, nel descrivere il grande giorno del giudizio, parla della separazione fra i salvati ed i perduti con queste espressioni: «E questi andranno nelle pene eterne, e i giusti nella vita eterna» (Matteo 25:46). C'è forse qualcuno disposto a negare che il paradiso duri per sempre? Forse che un giorno verrà a finire la beatitudine dei giusti nel cielo? Certamente no. Qui però la stessa parola greca usata per parlare della vita eterna dei giusti viene pure usata per descrivere l'eternità del castigo per i reprobi. L'inferno durerà fintanto che durerà il paradiso. 
All'inferno gli uomini desidereranno non essere mai nati! Charles Haddon Spurgeon disse: "Nell'inferno non c'è speranza alcuna. Là non c'è nemmeno la speranza di morire, o la speranza di essere annientati. Là vi sono persone perdute, perdute nei secoli dei secoli! Su ogni catena dell'inferno c'è scritto "per sempre". Sopra la loro testa i dannati leggono "per sempre". I loro occhi sono molestati e il loro cuore è tormentato al solo pensiero che sarà "per sempre". Oh se solo questa sera io potessi dirvi che un giorno l'inferno terminasse, e che tutti i reprobi potranno un giorno essere ricuperati, ci sarebbe un'espressione di giubilo all'inferno al solo pensiero. Così però non è, è "per sempre" che essi sono cacciati nelle tenebre di fuori"
Christopher Love usa un'illustrazione per aiutarci a comprendere che cosa sia l'eternità: "Supponete che tutte le montagne della terra fossero montagne di sabbia, e venisse aggiunta montagna dopo montagna fino a raggiungere il cielo, e che un uccellino una volta ogni mille anni prendesse un granello della sabbia di questa montagna, ci vorrebbe un numero d'anni inconcepibile prima che questa massa di sabbia fosse consumata, eppure questo sarebbe pur sempre un tempo a termine, e sarebbe comunque incoraggiante per un uomo sapere che l'inferno non durasse più di quel tempo; questa è però la miseria dell'uomo nell'inferno: egli vi dovrà restare senza nemmeno la speranza di uscirne dopo un milione d'anni; i suoi tormenti infatti dureranno per l'eternità, saranno senza fine, perché il Dio che così lo danna è eterno"

Perchè l'inferno è eterno?

Abbiamo già considerato la necessità dell'inferno e perché vi debba essere un luogo come l'inferno. Ora considereremo perché non solo l'inferno debba esistere, ma perché debba esistere eternamente. Perché è necessario che l'inferno sia eterno? A questa domanda si possono dare diverse risposte e le considereremo sommariamente. 
La prima ragione è quella menzionata da Christopher Love nel brano or ora citato. Il Dio che danna gli esseri umani è un Dio eterno. "L'eternità dell'inferno si fonda in ultima analisi sull'eternità di Dio". La Parola di Dio è eterna? La natura di Dio è eterna? La Scrittura ci dice: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi, e in eterno»(Ebrei 13:8), «la sua giustizia dura in eterno» (Salmo 111:3)«la parola del Signore rimane in eterno» (1 Pietro 1:25). Se la Parola di Dio è eterna, se Dio stesso è eterno, perché non dovrebbe la Sua ira essere pure un'ira eterna? Come Essere eternamente esistente, tutti gli attributi di Dio sono eterni ed immutabili; l'inferno, quindi, come espressione dell'ira di Dio, deve essere eterno.
La seconda è che l'inferno deve essere eterno perché la giustizia di Dio non potrebbe mai essere soddisfatta da unapunizione parziale del peccatore non importa quanto essa durasse. Cristo lo rende chiaro quando Egli parla di mettersi d'accordo per via con l'accusatore prima ancora di giungere in tribunale, altrimenti, se si viene gettati in prigione «Io ti dico che non ne uscirai, finché tu abbia pagato fino all'ultimo spicciolo» (Lu. 12:59). L'essere umano non può fare nulla per ripagare i suoi peccati, non importa quanto verrà castigato all'inferno, non importa per quanto tempo, esso non potrà mai espiare completamente la sua pena. E' impossibile, e quindi l'inferno deve essere eterno. 
In terzo luogo, l'inferno deve essere eterno perché le Scritture ci dicono che il verme che rode le umane coscienze non morirà mai. «Il loro verme non morirà» (Isaia 66:24). Se il verme non muore mai, allora anche coloro che saranno tormentati da quel verme non moriranno mai. 
Infine, l'inferno sarà eterno perché anche all'inferno gli uomini continueranno a peccare. Là aumenteranno sempre di più la loro colpa. L'inferno è un luogo dove i reprobi malediranno Dio e malediranno sé stessi, e urleranno e con linguaggio blasfemo verso i loro simili che li circonderanno. Gli uomini malvagi aumenteranno il reciproco tormento accusandosi, biasimandosi e condannandosi l'un l'altro. All'inferno gli uomini non si pentiranno perché il carattere del peccatore laggiù non cambierà più. Rimarranno ancora peccatori, peccheranno per l'eternità, e quindi Dio li castigherà eternamente. 

Un'esortazione a credenti e a non credenti
perdersi
I profeti dell'Antico Testamento ripetutamente ci ammoniscono del pericolo di finire all'inferno: «Chi di noi potrà dimorare con il fuoco divorante? Chi di noi potrà dimorare con le fiamme eterne?» (Isaia 33:14)«Chi può resistere davanti alla sua indignazione e chi può sopportare l'ardore della sua ira? Il suo furore è riversato come fuoco e le rocce sono da lui frantumate» (Naum 1:6). Peccatore, sei tu così arrogante da pensare di potere sopportare l'ira che Dio verserà su di te a piene mani? Potrai magari pensare che l'inferno non sia poi così caldo e che tu lo possa benissimo sopportare. Se credi questo sei molto più di un folle. I terrori dell'inferno fanno tremare persino i diavoli e tu sei così folle da rimanervi indifferente o da prendere queste cose alla leggera? Non pensare che solo perché tu vai in Chiesa o credi in Dio o credi intellettualmente alle verità del cristianesimo, tu possa sfuggire all'inferno. La maggioranza di coloro che frequenta la Chiesa tutte le settimane andrà all'inferno. Thomas Shepard, pastore e fondatore dell'università di Harvard, scrisse: “Coloro che professano formalmente la religione e tutti coloro che solo in apparenza sono evangelici, hanno qualcosa come la fede, qualcosa come la contrizione, qualcosa come il ravvedimento, qualcosa come dei buoni desideri, ma non sono che forma senza sostanza: essi ingannano pure se stessi e gli altri... la maggior parte di coloro che vivono nella Chiesa periranno”.
A.W. Pink disse:“Voi che professate di essere cristiani, ma non leggete molto la Bibbia e pregate poco, come pensate di sfuggire alla dannazione dell'inferno? Voi che non vi angustiate troppo per i piccoli peccati o non date molto peso ai vostri pensieri vani e sporchi: siete pronti ad andare all'inferno? Voi che credete che il regno di Dio consista in una professione verbale di Cristo o che credete solo intellettualmente che Cristo sia morto per i vostri peccati, ma che non siete particolarmente interessati ad una vita santa e pia, voi che non vi date molto pensiero di Dio durante la settimana: siete pronti a sopportare i tormenti dell'inferno, giorno e notte, nei secoli dei secoli? Fareste meglio a darvi pensiero di questo, perché se queste cose sono vere di voi, allora vi siete incamminati direttamente verso l'inferno, a meno che non ve ne ravvediate. Non ingannate voi stessi!. Il cristianesimo non consiste in parole o in affermazioni pie o semplicemente in una credenza intellettuale, ma in un nuovo cuore ed in una nuova vita dedicata a non peccare e ad operare per la gloria di Dio. Se il vostro cuore e la vostra vita non sono stati trasformati da Dio, siete ancora nei vostri peccati. Se voi sapete di vivere nella disubbidienza alla parola di Dio e questo non ve ne importa più di quel tanto, non avete alcun diritto di presumere che andrete in paradiso: siete in realtà incamminati verso l'inferno! Ravvedetevi di tutti i vostri peccati, volgetevi a Gesù Cristo, arrendetevi a Lui come Signore. Ascoltate queste parole di Cristo:«Parimenti, se il tuo occhio ti è occasione di peccato, cavalo, e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita avendo un occhio solo che, avendone due, essere gettato nella Geenna del fuoco» (Mt. 18:9). Nulla di meno che la completa rinuncia a sé stessi, l'abbandono dell'idolo che abbiamo più caro, la ripulsa di quell'atteggiamento peccaminoso che spesso nutriamo, rappresentato figurativamente dal taglio della mano o dall'estrazione dell'occhio, è ciò che Egli esige da ciascuno che voglia avere autentica comunione con Dio. Ricordate però, la difficoltà implicata nel rinunciare a tutto per Cristo, non è nulla rispetto a ciò che significa passare l'eternità all'inferno! ".
Potete voi immaginare l'eternità? Fermatevi ora un momento e immaginare come possa essere, essere tormentati incessantemente, per sempre, senza fine. Non vi spaventa questo? Mai un momento di requie. Mai nemmeno una goccia d'acqua per rinfrescare la vostra gola bruciante. Pensate ancora a quanto lunga sia l'eternità. Cercate di immaginarla: giorno e notte, per i secoli dei secoli, bruciati come un ragno nel forno. Urla, grida, maledizioni, maledire il giorno in cui si è nati, ed essere maledetti da demoni ed anime dannate intorno a voi per sempre. Ricordando, per sempre ricordando come eravate stati pur avvertiti sulla terra, ed avere sempre ignorato questi avvertimenti: soddisfatti di voi stessi e ingannati da voi stessi che tutto andasse bene per voi.
Io non credo che qualcuno debba giungere alla fede solo per paura dell'inferno, ma credo che faremmo bene a temere l'inferno, tanto da cominciare a cercare Dio con tutto il nostro cuore e da implorare Cristo di aver misericordia di noi. Uomini e donne camminano sull'orlo dell'inferno e stanno per cascarvi giù, e ciononostante sono completamente inconsapevoli del rischio che corrono. Se udire dell'inferno può far considerare a qualcuno altrimenti insensato le verità eterne, allora predicare dell'inferno è senza dubbio prezioso. E' meglio vedere l'inferno oggi mentre si è in vita, ed esserne terrorizzati, che doverne far esperienza diretta, e per sempre, una volta morti. 
Io non vorrei però che voi aveste più paura dell'inferno che del peccato. Il vostro vero nemico è il peccato. Il peccato è peggio dell'inferno perché è stato il peccato a dare origine all'inferno. Sareste pronti ad andare all'inferno per tutta l'eternità solo per godere un poco di piacere illecito qui sulla terra? Fuggite dal peccato! Fuggite dal vivere solo per voi stessi e gettatevi nelle braccia di Cristo Gesù! Quando morrete sarà troppo tardi. Ogni opportunità di ravvedersi termina alla morte
Questa dottrina risulta utile non solo per gli empi, ma anche per i credenti. La dottrina dell'inferno dovrebbe suscitare in loro un maggiore timore di Dio. Un santo timore di Dio giova in molti modi.. Colui che nel suo cuore ha un santo timore di Dio rispetterà maggiormente i comandamenti di Dio. Chi veramente ha timore di Dio non avrà timore dell'uomo e sarà pronto a dispiacere all'uomo piuttosto che dispiacere a Dio (Isaia 8:12,13). Questa dottrina dovrebbe aumentare la vostra fedeltà e gioia in Gesù Cristo, perché è merito Suo se siete stati liberati dai tormenti dell'inferno: non dovreste per questo amare maggiormente Gesù, Colui che ha portato su di Sé l'ira di Dio sulla croce affinché voi aveste potuto esserne liberati? 
La dottrina dell'inferno dovrebbe promuovere in noi un maggior timore di peccare. Dovrebbe portarci a farci temere persino i peccati più piccoli, e a stare attenti a confessare e ad abbandonare i peccati commessi sia nel cuore che nella vita. Che la dottrina dell'inferno ci tenga lontano da tutto ciò che è peccato. 
La dottrina dell'inferno dovrebbe aiutare i credenti ad essere pazienti nelle afflizioni esterne e temporanee che possono sopraggiungere loro. Non importa quanto grandi siano le afflizioni che possiate avere in questo mondo, esse sono ben poca cosa in confronto ai tormenti dell'inferno dai quali il Signore ha liberato coloro che amano Dio. Potete anche avere grandi tormenti durante la vostra vita quaggiù, ma ricordate che essi sono solo temporanei e siete stati liberati dal più grande di tutti i tormenti, affinché possiate rallegrarvi anche in tempi di afflizione. 
Questa dottrina è utile per motivarvi a comunicare ad altri il messaggio di Cristo. Eryl Davies scrisse nel suo libroL'ira di Dio"L'eternità delle sofferenze dell'inferno dovrebbe renderci più zelanti e desiderosi di parlare a tutti di Colui che è in grado di salvarli. Esitiamo forse a parlare di queste solenni verità? Forse che il pensiero stesso dell'inferno ci dispiace? Ricordate che Dio verrà glorificato anche attraverso le sofferenze eterne degli increduli nell'inferno. La sua lesa Maestà sarà vendicata... Ad essere supremo nei propositi di Dio nell'elezione e nella riprovazione degli uomini è la Sua propria gloria, e l'inferno pure glorificherà la giustizia, il potere, e l'ira di Dio per tutta l'eternità. Nel contempo è nostra responsabilità pregare ed operare per la salvezza dei peccatori prima che un tale orribile castigo abbia ragione di loro" 

Conclusione
pena eterna
Ora voglio dirvi alcune parole solo mie, accettare l'insegnamento sull'inferno e descriverlo, non significa gioire ed essere felici per le molte anime che vanno in quel luogo di tormento. Nella Bibbia sta scritto che Dio non si compiace nel peccatore che perisce, ma desidera che ogni persona giunga alla conoscenza della verità per poter capire a chi deve, se la ha, la sua salvezza. Purtroppo dobbiamo costatare che per ignoranza o per negligenza, e comunque per libera scelta, molte persone vivono la propria vita vicino alla religione ma lontano da Dio.  
Anche io mi associo al sentimento di Dio, e voglio dirvi che il solo scopo di questo articolo è quello di servire come monito ed avvertimento per coloro che consapevoli o inconsapevoli sono sulla strada che li porta all'inferno.
La strada che conduce all'inferno è prima di tutto una strada (trascorrere la vita) senza la Salvezza che Cristo offre e senza Dio; è la strada del peccato e delle concupiscenze, della realizzazione dei propri desideri ad ogni costo, della politica corrotta, della religione formale, della scienza senza Dio, delle filosofie e delle dottrine ingannatrici, della disobbedienza e dell'egoismo.
Gesù ha detto: "...due sono le vie: una stretta ed angusta che porta alla vita, e pochi sono quelli che la prendono; l'altra larga e spaziosa che porta alla perdizione, e molti sono quelli che vi si incamminano" (Matteo 7:13-14).
Il sacrificio di Cristo è servito per addossare le nostre colpe a Lui, che le ha scontate in nostra vece sulla croce, ignorare e rifiutare questo significa rifiutare l'Unica salvezza data da Dio per quella pena eterna che sarà l'inferno. Noi non sappiamo quanti sono i giorni che Dio ci ha assegnati, oggi potrebbe essere l'ultimo e morire senza aver chiesto perdono a Dio e aver invocato la Sua grazia e la Sua salvezza, avrà conseguenze eterne. La nostra morte fisica non segnerà la nostra fine totale, perchè senza Dio, le conseguenze saranno l'inferno e lì nessuno morrà nonostante possa chiederlo a gran voce. Ricordiamo le parole di Dio in Ezechiele 22:20 e 31: "Come si raduna argento, bronzo, ferro, piombo e stagno in mezzo alla fornace e si soffia su di essi il fuoco per fonderli, così nella mia ira e nel mio furore vi radunerò, vi metterò là e vi fonderò........ Perciò io riverserò su di loro la mia indignazione, li consumerò col fuoco della mia ira e farò ricadere sul loro capo la loro condotta», dice il Signore, l'Eterno.".
Se non vi pentite e non vi rifugiate al più presto in Gesù Cristo, il quale è la nostra unica speranza, maledirete Dio per sempre e sarete tormentati  nell'orribile consapevolezza della Sua ira, ma voi non morrete.

Ricordate, voi non morrete mai. Voi non morrete mai! 
L'eternità è per sempre!



"Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che ho annunziata sarà quella che lo giudicherà nell'ultimo giorno." (Giovanni 12:48) 

http://consapevolinellaparola.blogspot.it/2013/02/inferno-condanna-Dio-ira-peccato-punizioneeterna.html

lunedì 11 febbraio 2013

L'ira di Dio



Vorrei attirare la vostra attenzione su tre parole e sul loro significato, come viene dato da un semplice vocabolario. Le parole sono: ira, collera, e indignazione. Ed eccone il significato nelle loro diverse accezioni.

Ira: (l'antico vocabolo inglese "wrath") nel mio dizionario è spiegato così: collera, indignazione profonda e intensa. Improvvisa accensione d'animo contro qualcuno.

Collera: giusto sdegno e furore. Moto di sdegnato malcontento e forte ostilità, originato da un senso di offesa o d'insulto.

Indignazione:
 giusta collera causata da ingiustizia e viltà. Condizione spirituale caratterizzata da vibrante sentimento verso cosa che si ritiene riprovevole.

Ecco cos'è l'ira. 
E l'ira, ci dice la Bibbia, è un attributo di Dio.

I. Un argomento impopolare

Quando vediamo che la Bibbia parla di "ira di Dio",  oggi siamo stati abituati  a "spiegarla" o a ignorarla come qualcosa di imbarazzante che non riusciamo a inquadrare nell'immagine che ci siamo fatti di Dio. 
Coloro che ancora credono nell'ira di Dio (non tutti ci credono) ne dicono poco e forse neanche ci pensano tanto. In un'epoca che si è venduta spudoratamente agli dèi dell'ingordigia, dell'orgoglio, del sesso e della caparbietà, la Chiesa va biascicando sulla bontà di Dio, ma non dice praticamente nulla in merito al Suo giudizio. Quante predicheavete sentito negli ultimi anni sull'ira di Dio? All'interno di tutta la Chiesa cristiana si tende oggi a minimizzare questo argomento. Quante volte, l'anno scorso, hai ascoltato o, se sei un pastore, hai predicato, un sermone sull'ira di Dio? Da quanto tempo, mi chiedo, non avviene che un cristiano parli chiaramente su questo tema per radio, o alla televisione, o in quei brevi articoletti di mezza colonna che appaiono su alcuni quotidiani e periodici? (E se qualcuno l'avesse fatto, quanto tempo passerebbe prima che gli chiedano di parlare o scrivere di nuovo?) Il fatto è che, nella società moderna, il tema dell'ira divina è diventato tabù, e i cristiani, generalmente parlando, hanno accettato questo tabù e si sono autocondizionati a non sollevare più la questione. Potremmo chiederci se sia giusto che le cose vadano in questo modo; in effetti, la Bibbia si comporta in maniera molto diversa.

La Bibbia, infatti, non si vergogna di parlarne: forse non è stato mai troppo popolare parlare dell'ira di Dio, ma gli scrittori biblici lo fanno costantemente. Una delle cose più impressionanti dell'intera Bibbia è infatti il vigore con il quale entrambi i Testamenti mettono in rilievo la realtà della temibile ira di Dio. Disse un teologo: "Basta uno studio nella Concordanza biblica per mostrare come nella Scrittura vi siano più riferimenti alla rabbia, alla furia, ed all'ira di Dio, di quanto ve ne siano sul Suo amore e sulla Sua tenerezza".

La Bibbia spiega chiaramente che proprio come Dio è buono verso coloro che confidano in Lui, tanto Egli è terribile verso coloro che non lo fanno"L'Eterno è un Dio geloso e vendicatore; l'Eterno è vendicatore e pieno di furore. L'Eterno si vendica dei suoi avversari e conserva l'ira per i suoi nemici. L'Eterno è lento all'ira e grande in potenza, ma non lascia affatto impunito il malvagio... Chi può resistere davanti alla sua indignazione e chi può sopportare l'ardore della sua ira? Il suo furore è riversato come fuoco, e le rocce sono da lui frantumate. L'eterno è buono, una fortezza nel giorno dell'avversità; egli conosce quelli che si rifugiano in lui. Ma ...i suoi nemici saranno inseguiti dalle tenebre"(Nahum 1:2-8).

E' questo forse solo il linguaggio dell'Antico Testamento? No, l'attesa di Paolo, che il Signore Gesù appaia un giorno"in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù. Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi" (2 Ts. 1:8ss.), basta da sola a ricordarci che l'enfasi di Nahum non è una caratteristica del solo Antico Testamento. In effetti, in tutto il Nuovo Testamento "l'ira di Dio", "l' ira", o semplicemente "ira", sono praticamente termini tecnici per descrivere la sortita di Dio per un'azione punitiva, con qualsiasi mezzo, nei confronti di coloro che Lo hanno sfidato (vedi Romani 1:18; 2:5; 5:9; 12:19; 13:4sg.; I Tessalonicesi 1:10; 2:16; 5:9; Apocalisse 6:16sg.; 16:19; Luca 21:22-24; ecc.), basta per rilevare come l'ira di Dio faccia anche parte del messaggio del Nuovo Testamento.

La Bibbia, inoltre, non ci fa conoscere l'ira di Dio solo in termini generali come quelli appena citati. La storia biblica, proclama chiaramente sia la severità come la bontà di Dio, tanto che possiamo dire che, a seconda dalla prospettiva in cui la guardiamo, la Bibbia è tanto un libro che parla dell'amore di Dio, come un libro che parla dell'ira di Dio.

Evidentemente, il tema dell'ira di Dio è uno di quelli di fronte ai quali gli scrittori biblici non provano nessuna inibizione. Perché allora dovremmo averne noi? Perché mai, se la Bibbia stessa ne parla, dovremmo sentirci noi in dovere di tacere? Cos'è che ci rende imbarazzati e impacciati quando salta fuori questo argomento, e cos'è che ci spinge a metterlo in sordina e a eluderlo, quando siamo interrogati in proposito? Che cosa c'è alla base delle nostre esitazioni e difficoltà?  Pensiamo piuttosto ai molti che si considerano "dentro", che hanno salde convinzioni sull'amore e sulla pietà di Dio, sull'opera redentrice del Signore Gesù Cristo, e che seguono la Scrittura con fermezza per altre questioni, mentre su questo punto si dimostrano molto esitanti ad attenervisi con altrettanta fermezza.? Non abbiamo in mente ora che, per quelli il rifiuto del concetto dell'ira divina, indichi soltanto che non sono disposti a prendere sul serio nessun punto della fede biblica?

II. Il perché di un imbarazzo


1. Indegna di Dio?


La causa prima del fatto che non ci piaccia di sentir parlare dell'ira di Dio sorge in primo luogo dalla nostra sensazione che in qualche modo l'ira sia indegna di Dio. Alcuni infatti considerano l'ira nelle prime accezioni date dal nostro vocabolario, cioè un'improvvisa accensione d'animo contro qualcuno che si manifesta con grida, strepiti, atti violenti, improperi, minacce, offese o, quanto meno, con parole o gesti inconsulti. Come quando si dice "vederci rosso", una reazione in parte o completamente irrazionale. Per altri 'ira' suggerisce l'idea di consapevole impotenza, orgoglio ferito, o semplicemente di un 'brutto carattere'. Come si fa dunque a riferire questo a Dio?

Lo sarebbe certamente, ribatto io, ma la Bibbia non ci chiede di farlo. Sembra emergere qui un'incomprensione del linguaggio "antropomorfico" della Scrittura, cioè, la consuetudine biblica di descrivere gli atteggiamenti e i sentimenti di Dio in termini solitamente usati per parlare dell'uomo. Alla base di questa consuetudine c'è il fatto che Dio ha creato l'uomo a Sua propria immagine, di modo che la personalità e il carattere dell'essere umano sono più simili all'essere di Dio di qualsiasi altra cosa che conosciamo. Ma quando la Scrittura parla di Dio in maniera antropomorfica, non intende che le limitazioni e le imperfezioni, proprie delle caratteristiche personali di creature peccatrici come noi, appartengano anche alle corrispondenti qualità proprie del nostro santo Creatore; anzi, dà per scontato il contrario.

Il termine 'ira' è solo illustrativo della realtà, e deve essere compreso in confronto all'intero complesso della divina rivelazione, e non a totale somiglianza con i fenomeni che avvengono nel nostro mondo umano decaduto.

Anche per l'uomo vi può essere una collera giustificata, un giusto sdegno e furore. Forse il termine "indignazione" rende meglio l'idea, un'indignazione nei confronti del male che lo spinge a prendere senza ritardo dei provvedimenti.

Perciò, l'amore di Dio, com'è inteso nella Bibbia, non Lo induce mai a compiere azioni folli, impulsive, immorali, come invece la controparte umana di questo amore fa spesso con noi. Dio non è un essere umano e non dobbiamo attribuirGli le debolezze umane. Analogamente, l'ira di Dio nella Bibbia non è mai capricciosa, indulgente con sé stessa, irritabile, moralmente ignobile, com'è invece molto spesso la collera umana. Dio manifesta la Sua ira solo quando è giusto e necessario, quando cioè si tratta di una necessaria e giusta reazione ad un male oggettivo e morale. Dio si adira soltanto quando è necessario adirarsi. Perfino tra gli uomini esiste una cosiddetta giusta indignazione, benché sia forse rara da trovare. Ma l'indignazione di Dio è sempre giusta. Un Dio che si compiacesse tanto del male quanto del bene, sarebbe un buon Dio? Un Dio che non reagisse al male nel Suo mondo, sarebbe un Dio moralmente perfetto? Sicuramente no. Ma è proprio questa reazione contraria al male, la quale è una componente necessaria della perfezione morale, che la Bibbia ha in vista quando parla dell'ira di Dio. L'ira di Dio è una necessaria componente della Sua perfezione morale.

2. Crudele? 


Ad altri, poi, il pensiero dell'" ira" divina richiama alla mente la crudeltà. Forse pensano a quanto hanno sentito dire sul famoso sermone evangelistico di Jonathan Edwards, Sinners in the Hands of an Angry God [Peccatori nelle mani di un Dio in collera], di cui Dio si servì per operare un risveglio spirituale nella città di Enfield, nel New England, nel 1741. In questo sermone Edwards, ampliando il tema dice: "Gli uomini naturali sono tenuti sospesi nella mano di Dio sull'abisso dell'inferno", fece uso di alcune vivissime immagini di fornaci ardenti, per far sentire alla congregazione l'orrore della propria condizione e dar forza così alla sua conclusione: "Perciò, che ognuno di quelli che sono lontani da Cristo si risvegli ora e fugga dall'ira a venire!". Ciò, tuttavia, non risponde interamente al punto di vista rilevato dai critici di Edwards, secondo cui un Dio in grado d'infliggere punizioni che necessitano di espressioni di questo genere per essere descritte dev'essere senz'altro un mostro feroce e crudele. È proprio questo che ne consegue?

L'ira di Dio, poi, sarebbe qualcosa di crudele? No di certo. In primo luogo, l'ira di Dio, nella Bibbia, è sempre quella del Giudice che amministra la giustizia. Quando si accende l'ira di Dio su qualcuno, potete stare certi che è quello che si merita.  "Il giorno dell'ira", dice Paolo, è anche il giorno "della rivelazione del giusto giudizio di Dio. Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere" (Romani 2:5,6). Gesù stesso, che in realtà su questo argomento ebbe da dire ben più di qualsiasi altra figura neotestamentaria, precisò che la retribuzione sarebbe stata proporzionata al merito di ciascuno. "Quel servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; ma colui che non l'ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne riceverà poche. A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà" (Luca 12:47ss.).

Dio farà sì, dice Edwards, nel sermone sopra citato, "che non soffriate al di là di quanto richiede una giustizia rigorosa", ma è proprio "quanto richiede una giustizia rigorosa", egli insiste, che sarà veramente doloroso per coloro che muoiono da increduli. Alla domanda: "Può davvero la disobbedienza al nostro Creatore meritare un castigo grande e penoso?", chiunque sia mai stato convinto di peccato sa, senza ombra di dubbio, che la risposta è affermativa. Nessuno soffrirà a causa dell'ira di Dio, più di quanto meriti oggettivamente secondo i criteri della giusta legge di Dio.

In secondo luogo, l'ira di Dio nella Bibbia è qualcosa che gli uomini si scelgono da soli. Prima ancora di essere un'esperienza inflitta da Dio, l'inferno è una condizione per la quale è l'uomo stesso a optare, rifuggendo dalla luce che Dio fa brillare nel suo cuore per condurlo a Sé. Quando Giovanni scrive: "Chi non crede [in Gesù] è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio", prosegue poi spiegandosi così:"Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (Giovanni 3:18-19). Con questo, egli intende dire proprio che l'atto decisivo di giudizio sui perduti è il giudizio che essi pronunciano nei confronti di sé stessi, rifiutando la luce che giunge fino a loro in e attraverso Gesù Cristo. In ultima analisi, tutto ciò che Dio fa susseguentemente in maniera giudiziale verso il non credente, che sia in questa vita o nell'altra, è di mostrargli, e di condurlo a vedere, l'intera portata della scelta fatta.

Dio è nostro Creatore e sovrano legittimo, e noi siamo Sue creature. Nostro preciso dovere è sottometterci a Lui con fiducia. Se non lo facciamo, se rifiutiamo la Sua legittima sovranità, che pretendiamo? In Lui c'è ogni bene, fuori da Lui non potremo che trovare altro che male. Se decidiamo di vivere senza di Lui, vivremo, e eternamente, senza di Lui, privi di ogni bene. Non ci sono alternative a questo. L'essenza dell'azione di Dio nella Sua ira è di darci quello che scegliamo, con tutto ciò che questo implica, nulla di meno e nulla di più. Che Dio rispetti queste nostre scelte può parere sconcertante ed anche terrificante, ma tutto questo è assolutamente secondo giustizia. Non c'è crudeltà in questo.La scelta fondamentale era, ed è, semplice, si tratta di rispondere oppure no all'invito: "Venite a me ... Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me" (Matteo 11:28); si tratta di "salvare" la propria vita, tenendola lontana dalla riprensione di Gesù e facendo resistenza alla Sua richiesta di metterla nelle Sue mani, oppure di "perderla", rinunciando a sé stessi, prendendo in spalla la propria croce, diventando discepoli e accettando le dirompenti direttive di Gesù. Nel primo caso, ci dice Gesù, possiamo conquistare il mondo, ma non ne ricaveremo nessun beneficio, perché perderemo la nostra anima; nel secondo caso, invece, perdendo la nostra vita per amor Suo, la troveremo.

Il primo atto d'ira di Dio verso l'uomo fu la cacciata di Adamo dal paradiso terrestre. Crudele? No. Adamo aveva già scelto di nascondersi da Dio e fare a meno della Sua presenza, molto prima che ne fosse cacciato via. Lo stesso principio vale in tutta la Bibbia. Dio sembra dire: "Vuoi fare a meno di me? Allora vai, e arrangiati, con tutte le conseguenze del caso. E' chiaro però che oltre ad un certo limite non potrai più tornare indietro!".

III. I dati biblici


L'esposizione più classica dell'ira di Dio nel Nuovo Testamento si trova nella lettera ai Romani, e che ne contiene le espressioni principali.

1. Il significato dell'ira di Dio


Nella lettera ai Romani l'ira di Dio denota l'inappellabile determinazione di Dio di punire il peccato. Essa è tanto espressione dell'atteggiamento personale ed emotivo del Dio Trino quanto lo è il Suo amore verso i peccatori. E' l'attiva manifestazione del Suo odio verso l'empietà e il male morale. L'espressione "l'ira" può riferirsi in modo specifico alla futura manifestazione finale del suo odio "nel giorno dell'ira", ma può riferirsi anche anche agli attuali provvedimenti in cui si può riconoscere retribuzione per il peccato. In questo modo il magistrato che pronuncia la sua sentenza sul criminale è "poiché egli è ministro di Dio, un vendicatore con ira contro colui che fa il male" (13:4). L'ira di Dio è la Sua reazione contro il nostro peccato, "perché la legge produce ira" (4:15), perché la legge stimola il peccato latente in noi e fa abbondare la trasgressione, cioè, il comportamento che provoca l'ira (5:20; 7:7-13). Come reazione al peccato, l'ira di Dio è un'espressione della Sua giustizia, e Paolo respinge con indignazione qualsiasi suggerimento che "Dio è ingiusto quando dà corso alla sua ira" (3:5). Quelli che sono"preparati per la perdizione" vengono qui descritti come "vasi d'ira"(9:22), cioè oggetto della Sua ira, allo stesso modo in cui egli chiama i servitori del mondo, della carne, e del diavolo "figli d'ira"(Efesini 2:3). Tali persone, essendo semplicemente quel che sono, attirano su di sé l'ira di Dio.

2. La rivelazione dell'ira di Dio 


"L'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l'ingiustizia" (1:18). Questo "si rivela" implica una rivelazione costante, permanente, universale, che raggiunge tutti coloro che l'Evangelo non ha ancora raggiunto. Come si realizza questa rivelazione? E' impressa direttamente sulla coscienza di ogni uomo; coloro che Dio ha abbandonato "ad una mente perversa" (1:28) per fare il male senza ritegno, conoscono tuttavia "il decreto di Dio secondo cui quelli che fanno tali cose sono degni di morte" (1:32). Non c'è nessuno che non abbia una qualche coscienza del giudizio a venire. Questa rivelazione è poi confermata dalla parola rivelata dell'Evangelo, che ci prepara alla buona notizia con la cattiva notizia che vi sarà "un giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio" (2:5). quelli che il Signore ha abbandonati a una "mente perversa" (1:28), per fare il male senza inibizioni, sanno ancora che "secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte" (1:32). Nessuno è completamente privo di indizi sul giudizio futuro. E questa rivelazione immediata è confermata dalla parola rivelata dell'Evangelo, che ci prepara per la sua "buona novella" annunciandoci la "cattiva novella" di un futuro "giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio" (2:5).E non è tutto. Per quelli che hanno occhi per vedere, segni dell'ira divina in atto appaiono già qui e ora, nella presente condizione dell'umanità. Il cristiano può osservare dovunque un modello di degenerazione in costante sviluppo dalla mancanza di conoscenza di Dio all'adorazione di ciò che non è Dio, e dall' idolatria all'immoralità di tipo sempre più osceno, così che ogni singola generazione coltiva una nuova produzione di"empietà e ingiustizia degli uomini". In questo declino, dobbiamo riconoscere l'azione attuale dell'ira divina, in una progressione d'indurimento giudiziale e di revoca di restrizioni, per cui gli uomini sono abbandonati alle proprie scelte corrotte e finiscono per attuare le concupiscenze dei loro cuori peccaminosi in modo sempre più disinibito. Paolo descrive questa evoluzione, come la conosceva dalla Bibbia e dal mondo del suo tempo, in Romani 1:19-31, un brano le cui frasi-chiave sono: "Dio li ha abbandonati all'impurità ... Dio li ha abbandonati a passioni infami ... Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa" (vv. 24, 26, 28).

Paolo sembra dire: "Se vuoi avere prova che l'ira di Dio, rivelata come un fatto dalla tua coscienza, già opera come forza attiva nel mondo, basta che guardi alla vita intorno a te, per vedere ciò in cui Dio ha abbandonato l'uomo". E chi oggi, 20 secoli dopo, potrebbe smentire la sua tesi?

3. La liberazione dall'ira di Dio 


Nei primi tre capitoli della Lettera ai Romani, Paolo si preoccupa di presentarci con insistenza questo interrogativo: Se "l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini", e se verrà un "giorno dell'ira" in cui Dio "renderà a ciascuno secondo le sue opere", chi di noi potrà sfuggire al disastro? La domanda è pressante perché siamo tutti "sottomessi al peccato", "non c'è nessun giusto, neppure uno" e "tutto il mondo ... [è] colpevole di fronte a Dio" (3:9,10,19). La legge non può salvarci, perché il suo unico effetto è quello d'incoraggiare il peccato e di mostrarci quanto siamo venuti meno alla giustizia. Neppure le forme esteriori della religione possono salvarci, come la sola circoncisione non può salvare l'ebreo. C'è dunque una qualche via di scampo dall'ira a venire?

C'è, e Paolo la conosce. "Essendo ora giustificati per il suo sangue", Paolo proclama, "saremo per mezzo di lui salvati dall'ira [di Dio]" (5:9). Per il sangue di chi? Il sangue di Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato. E che cosa significa essere "giustificati"? Significa essere perdonati, accettati come giusti. E come possiamo pervenire alla giustificazione? Attraverso la fede — cioè, quella fiducia completa nella persona e nell'opera di Gesù. E come può il sangue di Gesù — ovvero, la Sua morte espiatoria — costituire una base per la nostra giustificazione? Paolo lo spiega in Romani 3:24ss., laddove parla della "redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue". Che cos'è un "sacrificio propiziatorio"? È un sacrificio che allontana l'ira tramite l'espiazione del peccato e la cancellazione della colpa.

Questo è il vero "cuore" dell'Evangelo, come vedremo poi in modo più approfondito: che Gesù Cristo, in virtù della Sua morte sulla croce come nostro sostituto e portatore di peccato "è l'espiazione per i nostri peccati" (1 Gv. 2:2). Fra noi peccatori e le nubi temporalesche dell'ira divina c'è la croce del Signore Gesù. Se siamo di Cristo, per la fede, siamo allora giustificati mediante la Sua croce, e l'ira non cadrà mai su di noi, né qui né nell'aldilà. Gesù "ci libera dall'ira imminente" (I Tessalonicesi 1:10).

IV. Conclusione

Una solenne realtà


Non c'è dubbio che in passato si siano fatti errori nel parlare dell'ira di Dio, parlandone tanto per speculare, in modo irriverente e spesso malevolo. Senza dubbio vi sono stati coloro che hanno parlato dell'ira di Dio con gli occhi privi di lacrime e senza alcun dolore nel loro cuore. Senza dubbio molti sono stati disgustati alla vista di alcune sétte che con gioia vorrebbero consegnare il mondo intero, ad eccezione di sé stessi, all'inferno. Tuttavia, se vogliamo conoscere Dio, è d'importanza vitale affrontare la verità che concerne la Sua ira, per quanto fuori moda possa essere, e per quanto estremamente avversi possano essere i nostri pregiudizi iniziali. In caso contrario, non capiremo l'Evangelo della salvezza dall'ira né l'opera propiziatoria della croce né la meraviglia dell'amore salvifico di Dio. Non capiremo neppure l'azione della mano di Dio nella storia né i Suoi attuali rapporti con la nostra gente; non riusciremo nemmeno a raccapezzarci nel libro dell'Apocalisse, e la nostra evangelizzazione non avrà quell'urgenza raccomandata da Giuda: "Salvateli, strappandoli dal fuoco" (Giuda 23). E la nostra conoscenza di Dio e il nostro servizio per Lui non saranno in armonia con la Sua Parola.

Scrisse A.W. Pink:
 "L'ira di Dio è una perfezione del carattere divino su cui dobbiamo frequentemente meditare. Primo, perché il nostro cuore sia doverosamente colpito dall'odio che Dio prova per il peccato. Siamo sempre propensi a considerare il peccato con leggerezza, a mascherare la sua odiosità, a trovare scusanti. Ma più meditiamo sull'avversione di Dio per il peccato e sulla Sua tremenda vendetta, più facilmente ci rendiamo conto della sua nefandezza. Secondo, perché susciti un vero timore di Dio nell'anima nostra. L'ira di Dio è una perfezione del carattere divino sulla quale dovremmo meditare di frequente. Noi non possiamo servirLo in modo "accettevole" fintanto che non mostreremo debita "riverenza" per la Sua terrificante Maestà, come pure un santo "timore" della Sua giusta ira; e tutto ciò può essere promosso nel modo migliore meditando frequentemente sul fatto che: "Siamo riconoscenti, e offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore. Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante" (Ebrei 12:28,29).Terzo,perché induca l'anima nostra a lodare con fervore [il Signore Gesù Cristo] per averci liberati dall'"ira imminente" (I Tessalonicesi 1:10). La nostra prontezza o la nostra riluttanza a meditare sull'ira di Dio diventa una prova sicura di quanto il nostro cuore sia veramente disposto verso di Lui."

Pink ha ragione. Se vogliamo davvero conoscere Dio, ed essere conosciuti da Lui, dovremmo chiederGli di insegnarci a fare i conti qui ed ora con la realtà della Sua ira.

(adattamento di Consapevoli nella Parola di: "Wrath of God", J.I.Packer, Knowing God)
 

"Con la grandezza della tua maestà, tu rovesci quelli che si levano contro di te; tu mandi fuori la tua ira, essa li consuma come stoppia."
(Esodo 15:7)

http://consapevolinellaparola.blogspot.it/2013/02/ira-Dio-giustizia-peccato.html

venerdì 8 febbraio 2013

Il carnevale


 

Caratterizzato da colori e schiamazzi, il carnevale è considerata la festa dell'allegria per eccellenza. Uomini di ogni ceto sociale si recano a balli in maschera e sfilate variopinte, cercando di liberare la fantasia e di catturare un po' di felicità. Lo scherzo "vale" ed il commercio che vi è connesso raggiunge il suo apice; vengono acquistati vestiti da indossare solo per qualche giorno, poi, come ogni anno, rimangono soltanto piazze e strade da ripulire. Oltrepassando pragmatiche e superficiali considerazioni, pro o contro il carnevale, occorre chiedersi da dove esso provenga e di quali concetti religiosi o valori morali sia portatore.

Le origini del carnevale
Certamente non è facile indagare sulle origini di una festa come il carnevale, le cui tracce storiche nessuno ha potuto o voluto realmente conservare. Non è possibile nemmeno fare luce sui diversi aspetti che ne caratterizzano i festeggiamenti, in quanto, nel corso dei secoli e in realtà geografiche diverse, il carnevale si è arricchito di sfumature sempre nuove.
L'etimologia del termine "carnevale" risale, con ogni probabilità, al latino carnem levare, espressione con cui nel Medioevo si indicava la prescrizione ecclesiastica di astenersi dal mangiare carne a partire dal primo giorno di Quaresima, vale a dire dal giorno successivo alla fine del carnevale, sino al "giovedì santo" prima della Pasqua. Il carnevale infatti, nel calendario liturgico cattolico-romano si colloca necessariamente tra l'Epifania (6 gennaio) e la Quaresima. Le prime testimonianze documentarie del carnevale risalgono ad epoca medievale (sin dall'VIII sec. ca.) e parlano di una festa caratterizzata da uno sregolato godimento di cibi, bevande e piaceri sensuali. Per tutto il periodo si sovvertiva l'ordine sociale vigente e si scambiavano i ruoli soliti, nascondendo la vecchia identità dietro delle maschere.
I festeggiamenti culminavano solitamente con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio, che rappresentava allo stesso tempo sia il sovrano di un auspicato e mai pago mondo di "cuccagna", sia il capro espiatorio dei mali dell'anno passato. La fine violenta del fantoccio poneva termine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e costituiva un augurio per il nuovo anno in corso. Nelle varie manifestazioni carnevalesche è possibile individuare un denominatore comune: la propiziazione e il rinnovamento della fecondità, in particolare della terra, attraverso l'esorcismo della morte. Il periodo carnevalesco coincide più o meno con l'inizio dell'anno agricolo, un chiaro indizio che permette di collegare direttamente il carnevale alle feste greche di impronta dionisiaca (le feste in onore di Dionisio, dio greco del vino, caratterizzate dal raggiungimento di uno stato di ebbrezza ed esaltazione entusiastica, che sfociavano in vere e proprie orge), e a quelle romane dei Saturnali (solenne festa religiosa, che si celebrava in onore del dio Saturno e durante la quale si tenevano cerimonie religiose di carattere sfrenato e orgiastico, che prevedevano tra l'altro la temporanea sospensione del rapporto servo-padrone). Lo stretto rapporto esistente tra queste feste e alcuni costumi del carnevale è evidente, anche se ignorato dai più. In tempi recenti gli storici hanno insistito maggiormente sull'origine agraria e sociale del carnevale. Esso è irrisione dell'ordine stabilito e capovolgimento autorizzato, limitato e controllato nel tempo e nello spazio dall'autorità costituita. In altre parole la festa del carnevale era vista dalle classi sociali più agiate come un'ottima valvola di sfogo concessa ai meno abbienti allo scopo di garantirsi il protrarsi dei propri privilegi. Non meno interessante è l'origine e la valenza demoniaca di alcune tra le maschere carnevalesche più famose e antiche, come quella nera sul volto di Arlecchino o quella bipartita (bianca e nera) di Pulcinella. Studi sul significato psicologico della volontà di indossare una maschera hanno mostrato che l'irresistibile attrazione esercitata dal carnevale sta proprio nella possibilità di smettere di essere se stessi per assumere le sembianze e il comportamento della maschera. Questa scelta, quando non è condizionata da fattori economici, rivela interessanti, e talvolta inaspettati, aspetti psicologici di una persona. Queste brevi note storiche, lungi dall'esaurire l'argomento, vogliono far riflettere il lettore sulla reale origine del carnevale e sull'impossibilità per ogni cristiano, separato dalle usanze del mondo e consacrato a Dio, di lasciarsi coinvolgere sia pure dal minore di questi aspetti.

Il Carnevale visto come manifestazione sociale
Il Carnevale è la celebrazione del travestimento: di quella promiscuità ribelle che sovverte l'ordine naturale e morale stabilito da Dio: "La donna non si vestirà da uomo, e l'uomo non si vestirà da donna poiché il Signore, il tuo Dio, detesta chiunque fa queste cose" (De.22:5). La condanna è estesa ad ogni licenza dalla propria identità spirituale e dalle responsabilità etiche (So.1:89).
Il Carnevale è il riconoscimento di quella ambiguità che, confondendo realtà e apparenza, verità e finzione, mira ad offuscare quella lucidità e giusta inibizione necessarie ad onorare Dio (Is.5:20,22; Ro.13:12-14). Per diversi credenti basta un disincantato: "non c'è nulla di male..." per rendere implicita l'approvazione di Dio in faccende che non Lo riguarderebbero. Il Carnevale è espressione di una allegrezza abbinata alla volgarità, in contrasto con la gioia cristiana (Ro.14:17, Ef.5:3,4), di una satira dissacratoria completamente in contrasto con la Parola di Dio, che non insegna lo scherno delle autorità, bensì a pregare per esse (I Ti.2:12). Il Carnevale è l'esaltazione sfrenata del godimento fine a sé stesso; tale festa costituisce, tuttavia, più che un'innocente divertimento, uno dei tanti "diversivi" che, con la scusa di fugare noia, tristezza e desideri repressi, allontana le coscienze dalla sana preoccupazione per la condizione dell'anima dinanzi al Giudizio divino (Is.30:9-11; Lu.16:19,25; I Pi.4:3,7).

Il Carnevale visto quale evento religioso
Il Carnevale ha perduto nel tempo certe punte di pura stregoneria, ma sotto il manto della baldoria "scaccia pensieri", la sostanza dell'esorcismo "scaccia spiriti" non è scomparsa; esso è comunque una ricorrenza pagana, con tutto il suo fardello di contraddizioni inconciliabili con lo spirito e l'opera di Cristo (II Co.6:14-16). Il "carnevale religioso" rivisita un rituale che disonora l'unica propiziazione riconosciuta da Dio (I Gv.2:12). La simbologia cattolica delle ceneri ripropone una prescrizione mosaica superata dall'efficacia purificatoria del sacrificio di Gesù Cristo (Eb.9:11-14). Il Carnevale insegna un falso riscatto spirituale, promuovendo il peccato volontario in prospettiva di un "pentimento programmato".

Conclusione
Come cristiani desiderosi di vivere secondo la volontà di Dio, non vogliamo vivere secondo il sistema che vige nel mondo: "E non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà" (Ro.12:2, I Pi.1:14).
Come genitori siamo inoltre chiamati ad istruire i nostri figli nella volontà di Dio, anche se veniamo considerati delle persone che non sanno rimanere al passo con i tempi, poiché la nostra preoccupazione non è quella di rimanere indietro con la società, ma di seguire Gesù Cristo il Signore in ogni cosa.

(si ringrazia P. Tarantino per il testo dell'articolo) Dio ci benedica pace in Cristo Gesu' dal vostro fratello Daniele

http://vocechegrida.ning.com/profiles/blogs/il-carnevale

ciao

per tutti coloro che mi vogliono bene un invito a riflettere

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