per capirci

GIACOMO 1, 2-4

Fratelli, considerate come motivo di gaudio perfetto le diverse prove alle quali voi potete essere esposti, sapendo che la fede messa
alla prova produce la pazienza. E' necessario però che la pazienza compia perfettamente l'opera sua, affinché voi siate pure perfetti ed
integri, senza mancare in niente.(Giacomo 1; 2-4)

Emmanuel

giovedì 27 febbraio 2014

E' possibile vivere senza ansia?


Siete anche voi dei tipi ansiosi, persone che generalmente si preoccupano troppo per una cosa o per l'altra; persone che, sempre trepidanti, "temono il peggio" in ogni situazione fino a bloccarsi o ad eccedere in misure di protezione? Si stima che circa il 5% della popolazione soffra di disturbi generalizzati dell'ansia, che variano da forme lievi a forme patologiche che richiedono interventi specifici delle professione medica. Questi disturbi generalizzati dell’ansia assumono il carattere della paura di dover incorrere in avvenimenti lesivi per sé stessi o per i propri cari. Questi sentimenti in genere sono presenti anche quando tali incidenti non sono oggettivamente probabili e non ve ne sono nemmeno le avvisaglie, ed aumentano quando si ha notizia di altri che ne sono stati oggetto, fino ad essere intensi in periodi di forte stress.
Le ricerche condotte in questo ambito dimostrano chiaramente che le persone che si preoccupano eccessivamente hanno la tendenza a prestare maggiore attenzione a tutto ciò che sembra confermare i loro timori. Chi soffre di questo disturbo, sente spesso la necessità di esplorare minuziosamente l’ambiente in cui si trova alla ricerca del minimo segnale di pericolo. I più comuni motivi di preoccupazione, che solitamente provocano molta ansia nelle persone che tendono a preoccuparsi troppo, si trovano in diversi ambiti del vivere quotidiano. Ad esempio, nel rendimento lavorativo o scolastico (come il timore di essere licenziati o di venire respinti ad un esame); nei lavori domestici (come il timore di non riuscire a fare tutto ciò che si vorrebbe); nella propria situazione finanziaria (come il timore di perdere tutto o di non essere capaci di far fronte alle spese); nella salute personale (come la paura di contrarre una malattia); nella salute familiare (come l’ansia per le condizioni di salute dei propri cari), nelle relazioni affettive (come le preoccupazioni ingiustificate sulla fedeltà del partner). In questo possono pure incidere questioni di minore importanza (come il timore di non trovare parcheggio vicino al posto di lavoro). È soprattutto in riferimento a esperienze del passato, quando si è subìto un evento traumatico, specie se in modo del tutto imprevisto, ed allora si rischia più facilmente di andare incontro a problemi di ansia e preoccupazione cronici rispetto a chi può prevedere il verificarsi dello stesso evento stressante. In generale, poi, le preoccupazioni sono espressione di due diversi modi di pensare: sopravvalutare la possibilità che possa accadere qualcosa di spiacevole: “E se mi ammalassi gravemente?”, “E se accadesse qualcosa di male ai miei familiari?”, oppure sopravvalutare le conseguenze negative di un determinato avvenimento: “E’ un dramma se non riesco a trovare un parcheggio!”.
La fenomenologia di questi disturbi è complessa e non possiamo certo trattarla adeguatamente in questa sede. Essa era nota, però, al nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, come pure viene trattata nell’ambito dell’intera Parola di Dio. Nell’ambito del Sermone sul Monte, ai Suoi discepoli, propensi non meno di altri al disturbo d’ansia generalizzata, Gesù dice loro: “Non siate in ansia per la vostra vita”. A tale esortazione Egli fa seguire le precise Sue ragioni, accompagnandoli, con il Suo insegnamento, esempio e forza abilitante, a vivere liberi da quest’ansia patologica. Con tutti loro, anche noi abbiamo anche oggi la gioia ed il privilegio di apprenderlo.

Il testo biblico

Il testo biblico sottoposto alla nostra attenzione, ci dà l’opportunità di trattare il problema delle sollecitudini ansiose. I suoi termini sono tali da rendere alcuni piuttosto perplessi. Una ragione di più per esaminarlo con attenzione: Matteo 6:25-34. 
Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?"Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno (Matteo 6:25-34).

I beni di questo mondo e il lavoro

Quanto il Signore Gesù dice qui sul problema delle sollecitudini ansiose, si pone nell’ambito dell’insegnamento che Egli dà ai Suoi discepoli al riguardo dell’atteggiamento che essi debbono avere verso “i tesori della terra”, le risorse dei beni materiali.Nell’insegnamento biblico, i beni materiali sono, prima di tutto, frutto del lavoro umano che, agli occhi di Dio, non è (come alcuni erroneamente ritengono) una maledizione, ma un privilegio che ci associa all’opera creativa di Dio. Affaticarsi a lavorare onestamente, con le proprie mani, per provvedere alle necessità materiali nostre e della nostra famiglia, è, infatti, il mezzo che Dio ci ha ordinato per poter conseguire i mezzi della nostra sussistenza. Difatti, come ci ammonisce la Parola di Dio, “se qualcuno non vuole lavorare, neppure deve mangiare” (2 Tessalonicesi 3:10), come pure: “Se uno non provvede ai suoi, e in primo luogo a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede, ed è peggiore di un incredulo” (1 Timoteo 5:8). Dio, inoltre, prescrive che attraverso il nostro lavoro noi si dia il nostro contributo a diverse altre finalità: sostenere chi è nel bisogno e sostenere i ministri dell’Evangelo nella loro opera. Il lavoro è sicuramente pure necessario, nell’insegnamento biblico per pagare ai governanti le imposte dovute nell’amministrazione della società umana. I primi discepoli di Gesù erano stati temporaneamente sottratti alle loro professioni, non perché esse fossero inferiori alla loro “vocazione spirituale”, ma per partecipare a quello che potremmo chiamare “un periodo di formazione” grazie al generoso sostegno di altri, come ad esempio le risorse messe a disposizione a Gesù da alcune donne facoltose: "Giovanna, moglie di Cuza, l'amministratore di Erode; Susanna e molte altre che assistevano Gesù e i dodici con i loro beni" (Luca 8:3).
In questo mondo decaduto, però, lavorare diventa indubbiamente spesso cosa assai gravosa. Dio, infatti, dice ad Adamo:“...mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai” (Genesi 3:19). Dio, in ogni caso, ci chiama all’impegno e condanna sempre la pigrizia: “Il pigro non arrostisce la sua selvaggina, ma l'operosità è per l'uomo un tesoro prezioso … Il pigro non ara a causa del freddo; alla raccolta verrà a cercare, ma non ci sarà nulla ... I desideri del pigro lo uccidono, perché le sue mani rifiutano di lavorare" (Proverbi 12:27; 20:4; 21:25). E’ l’operosità della formica: “Va', pigro, alla formica; considera il suo fare e diventa saggio!” (Proverbi 6:6).

Una condizione psicologica patologica

Nell’acquisizione dei beni di questo mondo, però, può insorgere in noi una condizione psicologica che chiamiamo “sollecitudini ansiose”. Esse possono assumere due aspetti: quello dell’accumulo ossessivo e compulsivo di beni materiali come se questo fosse l’unico scopo della vita, come nella parabola dell’uomo ricco, dove egli dice: “dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti'" (Luca 12:19). Essi, così, diventano un idolo. Oppure, di fronte alle difficoltà della vita, per ragioni vere od immaginarie, l’ansia paralizzante e nociva che sorge dall’aver timore di rimanere privi delle necessarie risorse vitali. Si tratta di atteggiamenti malsani che Gesù vuole prevenire o guarire nei Suoi discepoli.
Nel Sermone sul monte, Gesù tratta della prima “distorsione”, al capitolo 6 dal versetto 19 al 24 e della seconda, le “sollecitudini ansiose” dai versetti 25 a 34, il testo che consideriamo oggi. Esaminiamolo con attenzione.
1. “Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?” (25).
L’angoscia di poter rimanere privi dei mezzi di sussistenza non è solo un sentimento moderno suscitato dallo “spettro della disoccupazione” o dalla malattia, ma, come rileva Gesù stesso, è sempre stata, in ogni tempo, caratteristica dell’atteggiamento di molte persone, anche evidentemente fra i Suoi stessi discepoli. Essa è una condizione psicologica che può essere qualcosa sia che paralizza e consuma corpo e spirito come pure qualcosa che causa una sorta di compulsiva “immersione nel lavoro” come se il lavoro fosse il tutto della vita. È l’atteggiamento di coloro che considerano la vita qualcosa di futile, una condanna a lavorare per mangiare e mangiare per lavorare. Può diventarlo, ma non è questa la sua vocazione ultima. “Mangiare” e “vestirsi”, con i mezzi a questo finalizzati, dice Gesù, non è e non può essere “il tutto” della vita. Sono cose necessarie e comandate da Dio per le quali Egli provvede, ma la vita è “più del nutrimento” e il corpo è “più del vestito”. Nutrimento e vestito sono strumenti che ci permettono di realizzare con la nostra vita, fini più alti, quelli che Dio ha stabilito per le creature umane. Si dovrebbe meglio dire: nutrimento e vestiti sono strumenti che ci permettono di realizzare quei fini più alti che Dio ha stabilito per ciascuno di noi singolarmente, nessuno escluso, e che dobbiamo scoprire proprio nella particolare situazione in cui ci troviamo, qualunque essa sia. Questo “fine della vita” è stato così definito: Il fine sommo e principale dell'uomo è glorificare Dio e fruirlo (goderlo) perfettamente in eterno, secondo quant’è scritto: "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio" (1 Corinzi 10:31). Anche il discepolo di Cristo, quindi, deve lavorare, mangiare e vestirsi, ma è sbagliato, agitarsi, affannarsi, preoccuparsi troppo per queste cose. Dovremmo semplicemente confidare ed ubbidire a Dio, proseguendo nell’adempiere la nostra vocazione ultima, quella che Dio ci rivela.
2. "Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita?" (26-27).
Le lezioni che ci impartisce la natura sono sempre importanti. L’operosità della formica, come abbiamo visto, ha molto da insegnare al pigro, ma anche, qui, molto hanno da insegnarci gli uccelli del cielo. Essi ci vengono indicati da Gesù come “privi di angosce” ed operosi nell’ambito di ciò che Dio provvede per loro. Gesù qui non dice che gli uccelli del cielo trovino tutto pronto... La loro vita non è sempre facile e sono costantemente impegnati. In questo mondo, però, secondo la rispettiva specie, Dio ha provveduto i mezzi della loro sussistenza ed essi “confidano in Dio”. Se noi costantemente ci preoccupiamo di non avere abbastanza cibo e vestiario, mostriamo di non aver appreso la lezione di base che ci insegna la natura stessa: ciascuno nel suo ordine, Dio provvede per le necessità delle Sue creature. Inoltre, Dio è il Padre celeste di coloro che ha adottato come Suoi figli in Cristo. Di conseguenza, Dio si prenderà maggior cura di loro, indicando dove e come possono conseguire quanto loro necessario. Questo non significa essi possano trascurare il lavoro, ma significa che essi possono e devono essere liberi da ogni sollecitudine ansiosa. Agitarsi e preoccuparsi troppo non potrà allungarci la vita, anzi logora e accorcia la vita, precludendoci la realizzazione del nostro potenziale.
3. “E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede?” (28-30).
I gigli della campagna erano forse i bianchi fiori primaverili che fiorivano abbondantemente in Galilea, in ogni caso, Gesù si riferisce ai fiori non coltivati. Dio è così buono da coprire la terra di bei fiori selvatici per noi privi di valore produttivo e che durano poco. Una volta seccata, l’erba diveniva combustibile per la Palestina povera di legname. La cura provvidenziale di Dio non rende pigro il discepolo di Gesù, ma lo rende fiducioso che Dio provvederà similmente per lui ed a maggior ragione. La bellezza della natura, creazione di Dio, è ancora maggiore di quella che caratterizzava i vestiti più scargianti di Salomone, re di Israele.
L’ansia per le cose essenziali della vita dimostra mancanza di fiducia in Dio, nella Sua presenza, provvidenza e fedele mantenimento delle Sue promesse. Può capitare di perdere questa costante consapevolezza, ma non dev’essere così. La preghiera del discepolo di Cristo che si trova in questa situazione dev’essere: “Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità” (Marco 9:24).
4. Questo concetto è ulteriormente ribadito da Gesù: Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose” (31-32).
Un atteggiamento di ansia e di paura, di fatto, è quello dei pagani, degli scettici e degli increduli, di quelli che non conoscono e non credono in Dio, che non sono in rapporto con Lui come ad un Padre verso i Suoi figli. Non è l’atteggiamento di coloro che hanno visto la loro vita presa in carico, per grazia di Dio, in Cristo. Conoscere Dio e far parte della Sua famiglia (o popolo) significa godere della Sua protezione e provvigione. Egli provvede ai Suoi figli quanto essi abbisognano. Dato che Dio fornisce i Suoi di quanto loro serve, non è solo insensato, ma anche pagano affannarsi per ciò che Dio promette di provvedere. Il discepolo assillato vive come un incredulo che non crede e non considera Dio. Una tale persona è incentrata su sé stessa, dedica troppa attenzione ai beni materiali e finisce per non occuparsi delle cose veramente importanti della vita. La chiave per vincere l’ansia è di rendere il Regno di Dio la priorità assoluta della propria vita, concentrare in esso la propria attenzione. È possibile che i figlioli di Dio cadano nella tentazione dell’incredulità, dimenticando chi essi sono (in rapporto con Dio) e soprattutto chi è Lui, quello che Egli ha promesso di fare, ha fatto nel passato ed ancora farà nella Sua fedeltà. E’ come “perdere i sensi”, ma devono riprenderli e tornare a focalizzarsi sull’obiettivo del cristiano. Difatti, Gesù dice:
5. “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più” (33).
Il discepolo di Cristo tiene le cose nella giusta prospettiva. Ubbidisce a Dio quando Egli gli comanda di perseguire diligentemente la sua vocazione professionale, ma vede ogni cosa nella prospettiva della promozione del Regno di Dio. Lavora “per Dio” e, così facendo, come conseguenza accessoria, ottiene quanto gli serve per vivere e molto più ancora. “Cercare il regno di Dio” implica perseguire le cose del regno per le quali Gesù aveva insegnato ai Suoi discepoli di pregare nel “Padre nostro”, vale a dire l’onore di Dio, il Suo regno, e la realizzazione della Sua volontà (9,10). “Cercare la giustizia di Dio” significa perseguire ciò che è giusto agli occhi di Dio in ubbidienza alla Sua volontà rivelata in Cristo e tutt’attraverso le Scritture. Il discepolo di Cristo, servendolo fedelmente, non pensa nemmeno alla propria salvezza eterna, ma all’affermazione di Dio e la Sua gloria: la sua salvezza la otterrà come conseguenza accessoria. La sua pietà religiosa non è egocentrica, ma teocentrica. Le sue ambizioni non sono la promozione di sé stesso, ma la promozione del Regno di Dio. Le “cose” che Dio “darà in più” sono quelle che Egli provvede con la Sua provvidenza, quelle che Gesù ha ammonito a non preoccuparsi. Qui Gesù promette di provvedere ai bisogni di coloro che si impegnano alla promozione del Suo regno e della Sua giustizia.
Qualcuno potrebbe, però, pure dire: come possiamo spiegare che vi siano cristiani che vengono privati a forza di risorse materiali e persino della loro vita? Può accadere. Il cristiano sa di vivere in un mondo decaduto dove gli effetti del peccato pervadono ogni aspetto della vita. A volte i credenti, non per colpa loro, sono coinvolti nelle conseguenze del peccato, soffrono e muoiono. Gesù non elabora qui questa dimensione della vita ma la presume come qualcosa che i Suoi uditori ben conoscevano e comprendevano. Essa non pregiudica le promesse di Dio in favore dei Suoi. Quanti martiri della fede sono morti dopo orrende persecuzioni e sofferenze, senza mai perdere la loro fede nella provvidenza di Dio. Essi sapevano che questo mondo non è tutto ciò che abbiamo e, vivendo in prospettiva dell’eternità, “guardavano oltre”. Infine, Gesù dice:
6. “Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (34).
Dato che abbiamo una tale promessa appoggiata dalla testimonianza della divina provvidenza, noi non dovremmo agitarci per il futuro. C’è già abbastanza di cui occuparsi per l’oggi. Oltretutto, i guai che temiamo per il futuro, potrebbero anche non materializzarsi. Dio ci fornisce solo grazia sufficiente per trattare la vita un giorno alla volta. Per il domani, a suo tempo, Dio provvederà. Questa è la fiducia del discepolo di Gesù. Il suo rapporto con le risorse di questo mondo è confidare in Dio ed impegnarsi totalmente a perseguire il regno e la Sua giustizia. Non acumulazione ossessiva o perseguimento della ricchezza fine a sé stessa. Dio, non Mammona, deve essere il magnete per la vita del discepolo. Il frutto di tale atteggiamento è libertà dall’ansia per i beni materiali di cui abbiamo bisogno giorno per giorno.

Conclusione

L’ansia, più o meno seria e duratura, è indubbiamente uno stato psichico complesso e serio. Dobbiamo stare molto attenti a non banalizzarla e credere che vincerla sia facile. Colpevolizzare semplicemente chi ne è affetto non giova neppure. L’ansia fa indubbiamente parte, da sempre, del vivere quotidiano in questo mondo. Essa è caratterizzata da una combinazione di emozioni negative che includono paura, apprensione e preoccupazione, quella di chi, in modo più o meno fondato “teme il peggio”. “Che farei se mi trovassi in una situazione di bisogno? A chi mi rivolgerei? Come reagirei?”. È la paura dell’ignoto o dell’incerto, di ritrovarsi senza risorse, in una situazione di bisogno che si reputa irrisolvibile. È spesso accompagnata da sensazioni fisiche come palpitazioni, dolori al petto, respiro corto, nausea, tremore interno. Ansia è trepidazione, apprensione, affanno. È un pensiero che occupa la mente determinando inquietudine. Essa assorbe ed occupa tutta l’attenzione, distraendo la mente ed impedendo altre attività. È una tensione nervosa che logora ed affatica il corpo e la mente.
Il mondo dice: “...è impossibile eliminate questo stato d’animo dalla propria esistenza, dalla propria vita, perché in fondo è una condizione che può anche presentarsi di continuo, nelle più svariate occasioni. (....) Purtroppo, in particolare in questo sciagurato momento storico del nostro Paese, l’ansia è una compagna indesiderata della nostra esistenza. Si sveglia con noi di primo mattino, ancor prima del suono della sveglia, per seguirci passo passo in quasi tutte le attività della giornata e, infine, per coricarsi con noi la sera tardi, con il sonno che tarda ad arrivare. Vivere senza ossessiva, ansia è praticamente impossibile, e non vi è nulla che la possa tenere sotto controllo se non una ferrea determinazione a non farsi condizionare dalle vicende della vita, anche le più banali”. Il mondo, però, non ci può dare questa “ferrea determinazione”. Il mondo suggerisce di avvalerci di psicofarmaci, di tecniche yoga per liberarci la mente dai pensieri, da psicoterapie... Tutto questo non la può fondamentalmente risolvere. Perché?
Perché dobbiamo dire chiaramente che l’ansia fa parte del vivere quotidiano di questo mondo decaduto che non conosce Dio né ha fatto l’esperienza della Sua presenza, provvidenza e fedeltà alle Sue promesse. Per vincere l’ansia l’unico rimedio è diventare discepoli del Signore e Salvatore Gesù Cristo che, riconciliandoci con Dio, riaggiusta tutto il nostro modo di guardare alle cose ed ai fatti della vita permettendoci di reagirvi in modo costruttivo ed inserendoci nell’ambiente solidale e provvidente del Suo popolo, la Sua chiesa. Riconciliati con Dio e per esperienza, possiamo ripetere le parole del Salmo che dicono: “In verità l'anima mia è calma e tranquilla. Come un bimbo divezzato sul seno di sua madre, così è tranquilla in me l'anima mia” (Salmo 131:2), avendo risposto all’appello che dice: "Confida in lui in ogni tempo, o popolo; apri il tuo cuore in sua presenza; Dio è il nostro rifugio" (Salmo 62:8).
E quando un cristiano è colto dall’ansia e dal circolo vizioso delle sollecitudini ansiose? Per un cristiano cadere nell’ansia significa cedere ad una tentazione, ricadere nella condizione psicologica “di prima” di essere stato raggiunto dall’Evangelo. È uno “scivolamento” indietro. Grazie a Dio, però, la Scrittura dice: “Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare” (1 Corinzi 10:13). Se non fosse per la mano di Dio che “ci riagguanta” per riportarci sul “terreno solido” della realtà, quella di Dio, saremmo senza speranza come quelli che non conoscono Dio. Per questo, se ci troviamo in questa situazione, dobbiamo immergerci nella Parola di Dio e nelle Sue promesse, distogliendo lo sguardo da noi stessi e, con i nostri fratelli e sorelle in fede, impegnandoci nell’opera del Signore. Allora “tutto il resto ci sarà dato in più”. "A colui che è fermo nei suoi sentimenti tu conservi la pace, la pace, perché in te confida" (Isaia 26:3). 

di Paolo Castellina


 

 
"Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: «Siate forti, non temete!». Ecco il vostro DIO verrà con la vendetta e la retribuzione di DIO; verrà egli stesso a salvarvi."  
(Isaia 35:4) 

http://consapevolinellaparola.blogspot.it/2014/02/e-possibile-vivere-senzansia.html

domenica 16 febbraio 2014

Il ritorno del Re


Territori occupati


La storia di ogni tempo e paese è piena di casi in cui potenze ostili ed aggressive invadono ed occupano territori e nazioni che appartengono di diritto ai loro abitanti sui quali ne avrebbero la legittima sovranità. "Territori occupati" è un termine specifico del diritto internazionale. È considerato territorio occupato un terreno che è effettivamente posto sotto l'autorità di un esercito ostile. Le popolazioni di questi territori occupati ne vengono così sfruttate ed oppresse. Benché non siano rari i casi in cui queste stesse popolazioni si adattino, loro malgrado, ai loro padroni, diventandone servi, si auspica e si saluta il giorno in cui saranno liberate e su di esse tornerà a regnare il loro legittimo sovrano.
Non desidero ora entrare nel merito o discutere casi particolari che semplifichino il concetto di “territori occupati”. Desidero usare questo come un’illustrazione di una realtà spirituale che ci riguarda tutti. Il Salmo 24 dice: “Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti” . Dio è il legittimo sovrano del mondo e di tutti noi. Egli ci ha creato e a Lui apparteniamo. Dopo che, però, l’umanità (ciascuno di noi incluso) si è ribellata alla legittima sovranità di Dio, pensando di conquistarsi la libertà, essa è diventata un “territorio occupato”di colui che la Scrittura chiama “il principe di questo mondo”, il quale guida le forze spirituali della malvagità che causano morte e distruzione.
Dio, però, ha iniziato e porta avanti una dura “lotta di liberazione” in Cristo, per restituire il mondo al suo legittimo sovrano e liberare le vittime dell’usurpatore. Ai cristiani di Efeso l’apostolo Paolo scrive: “Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l'andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli” (Efesini 2:1-2) 

Il testo biblico 

L’inizio di questa “lotta di liberazione” è narrata dal testo biblico che ci parla dell’inizio dell’attività di Gesù di Nazareth in Galilea, Colui che Giovanni il battezzatore aveva indicato come il Re messianico, il Salvatore del mondo, che viene a reclamare quel che è Suo di diritto. Ascoltiamo questo testo come lo troviamo in Matteo 4:12-23.
"Gesù, udito che Giovanni era stato messo in prigione, si ritirò in Galilea. E, lasciata Nazaret, venne ad abitare in Capernaum, città sul mare, ai confini di Zabulon e di Neftali, affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia: «Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là dal Giordano, la Galilea dei pagani, il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell'ombra della morte una luce si è levata». Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare della Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini». Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono. Passato oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratello, i quali nella barca con Zebedeo, loro padre, rassettavano le reti; e li chiamò. Essi, lasciando subito la barca e il padre loro, lo seguirono. Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il vangelo del regno, guarendo ogni malattia e ogni infermità tra il popolo”. 

Un popolo che aveva perduto la sua libertà

Israele doveva essere, in quanto nazione, espressione e testimonianza storica del Regno di Dio, vale a dire un popolo completamente consacrato ed in comunione con il Dio vero e vivente, che impostava tutta la sua vita, a livello personale e sociale, secondo la legge rivelata di Dio. Al tempo dell’Esodo, Mosè aveva loro detto: "Ecco, io vi ho insegnato leggi e prescrizioni, come il SIGNORE, il mio Dio, mi ha ordinato, perché le mettiate in pratica nel paese nel quale vi accingete a entrare per prenderne possesso. Le osserverete dunque e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: «Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!»" (Deuteronomio 4:5-6).
Altri popoli avrebbero dovuto essere attratti dalla saggezza di Israele, desiderare conoscere il Dio vero e vivente per seguire le Sue vie. Quante volte, però, era avvenuto l’opposto,  inconsapevole dei tesori a sua disposizione, Israele si sarebbe lasciato attrarre dai costumi dei pagani e, compromettendo così la sua testimonianza, identità e vocazione, avrebbe “invitato” degli stranieri a dominare su se stesso, e ne sarebbe stato sfruttato ed oppresso. Israele sarebbe così diventato “una nazione occupata” non solo politicamente, ma anche spiritualmente. Da espressione del regno di Dio, sarebbero divenuti essi stessi una “succursale” del regno iniquo degli uomini.
Questa era pure la situazione al tempo di Gesù, Israele era un territorio occupato. Dopo la scomparsa del regno davidico, infatti, la terra di Israele era stata sottoposta a successive dominazioni straniere: quella persiana, quella ellenistica e poi quella romana. Era continuato per un po’ ad esistere “Il Regno di Giuda” (chiamato abitualmente Giudea, con Gerusalemme come capitale), ma era passato gradualmente sotto il controllo romano dopo che, intorno al 130 a. C. i romani furono "invitati" dalla tribù regnante dei Maccabei. Da allora, di fatto, il regno era diventato uno stato vassallo. Diversi territori della Palestina erano pure stati frazionati ed erano passati sotto diretta amministrazione romana. Le turbolenze politiche, però, erano rimaste costanti e in gran parte dovute a motivi religiosi di conflitto tra Ebrei e Romani. La popolazione israelita, infatti, tentò di ribellarsi a più riprese al potere romano, ad esempio con Giuda il Galileo nel 6 d.C. Le tentate insurrezioni e la guerra civile avrebbero portato nel 70 d.C. alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, al massacro di molti israeliti ed alla dispersione degli altri.
L’idea del “Regno di Dio”, pur coltivata e testimoniata a livello personale su scala ridotta da un numero limitato di fedeli, era rimasta una speranza legata al futuro e trionfante avvento del Messia. A dominare sulla maggior parte dei singoli e della società, infatti, non era Dio, ma il Suo avversario ed usurpatore attraverso suoi servi, non solo pagani, ma anche quegli Israeliti che avevano compromesso e corrotto la loro fede, pregiudicandone la testimonianza. I giorni del Messia sarebbero però giunti e con Lui una nuova era. Spiritualmente le cose si sarebbero sviluppate in modo diverso dalle loro aspettative. 

L’alba di un nuovo giorno 

Gesù cresce a Nazaret in Galilea, dove i suoi genitori si erano trasferiti poco dopo la sua nascita. La Galilea, territorio a nord di Gerusalemme, era delimitata a est dal fiume Giordano, che in questo tratto forma il Lago di Genezaret, detto anche lago di Tiberiade o mare di Galilea. Al tempo di Gesù vi abitavano ancora queste antiche tribù di Israele. Erano frammiste, però, a popolazioni pagane, ed esse, agli occhi dell'ortodossia giudaica di Gerusalemme, si erano contaminate con i popoli vicini.
Giovanni il Battezzatore, aveva preannunciato l’imminenza dell’alba di un giorno nuovo, chiamando a ravvedimento l’intero Israele. Diceva: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino». Egli non aveva esitato a denunciare pure l’infedeltà, la corruzione e le ingiustizie delle autorità civili e religiose di Israele. La sua attività profetica, però, venne fatta bruscamente cessare con il suo imprigionamento e successiva esecuzione capitale. Quello che diceva, infatti, era diventato troppo “scomodo” e “i potenti” non l’avrebbero più tollerato. Gesù aveva risposto all’appello di Giovanni e, Giovanni, Suo precursore ed araldo, aveva indicato ed identificato proprio in Lui, Gesù di Nazareth, l’atteso Re messianico e l’“Agnello di Dio”. Il sole stava sorgendo e, con i suoi raggi, stava cominciando a dissipare le tenebre ed infondere speranza.
La missione di Giovanni poteva intendersi forse fallita con il suo imprigionamento? Certo che no: terminata sì, ma non fallita. Non solo molti discepoli di Giovanni cominciano a seguire Gesù, ma Gesù iniziò a manifestare con sempre maggior chiarezza la Sua identità, benché non esattamente secondo i canoni che i Suoi contemporanei si attendevano.   

Un “ritiro” consapevole

Gesù, però, dopo che Giovanni fu messo in prigione, “si ritira in Galilea”, come ci dice Matteo. Questa non è, però, per Lui, come si potrebbe supporre, la “misura prudenziale” di chi ritiene che in Giudea la Sua missione sarebbe stata “troppo pericolosa”. Non si tratta, per Lui, di una fuga, determinata dalla “paura”, né è un fatto solo “circostanziale”.Ogni cosa nella vita di Gesù corrisponde a dei precisi propositi, quelli stabiliti da Dio. Tutto ciò che Gesù fa, come pure i Suoi spostamenti, ha un senso preciso. Quello è il punto di partenza più appropriato per il Suo ministero, la Sua missione. Ecco così che Gesù trasferisce la sua residenza da Nazaret a Capernaum, “città sul mare, ai confini di Zabulon e di Neftali”, facendone, per così dire, il Suo “quartiere generale”.
La Galilea è la terra dove convivevano sia Israeliti che altre genti e la Sua luce si leva (questo fatto è di rilevanza profetica) su entrambi. Gesù, infatti, non è solo il Salvatore degli ebrei, ma anche “del mondo”, delle altre genti.Ebrei e non ebrei, infatti, vivono nelle tenebre del peccato che li domina e li opprime in diverse maniere. La loro è “una contrada” che vive “nell’ombra della morte”. Si tratta di ciò che aveva espresso anticamente in profeta Isaia in un altro contesto, ma che Matteo, l’evangelista, considera espressione appropriata di quanto stava accadendo “...affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia: "Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là dal Giordano, la Galilea dei pagani, il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell'ombra della morte una luce si è levata" (14-16).
E’ il messaggio che risuona nelle lettere dell’apostolo Paolo: "Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, ... per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. ... poiché riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge. Dio è forse soltanto il Dio dei Giudei? Non è egli anche il Dio degli altri popoli? Certo, è anche il Dio degli altri popoli, poiché c'è un solo Dio, il quale giustificherà il circonciso per fede, e l'incirconciso ugualmente per mezzo della fede." (Romani 3:21-30)

Regno e regni in concorrenza

Il messaggio di Gesù, come ce lo sintetizza l’evangelista Matteo, è identico a quello di Giovanni: “Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino»”. L’accento, però, è diverso: se con Giovanni la realtà di quel regno era prossima, ora con Gesù sarebbe stata davvero “a portata di mano”, in Lui e con Lui, sviluppandosi in maniera irresistibile.
Che cos’è “il regno dei cieli”? Il regno dei cieli, sinonimo di “regno di Dio”, non indica il cosiddetto “aldilà” oppure un luogo al di sopra delle nuvole o su qualche altro pianeta... ma dovunque e in chiunque Dio esercita incontrastato la Sua autorità. È il governo di Dio, quello che Egli esercita su singoli e comunità volentieri sottomesse a Lui come unico Signore della loro vita; singoli e comunità che sono in comunione con Lui ed ubbidiscono con fiducia alle Sue leggi. Essi conseguono così quella shalom, quella pace, che identifica una vita realizzata ed in armonia con i suoi propositi originari.
Il nostro è un mondo di ribelli alla legittima sovranità di Dio, gente che vuole essere dio e legge a sé stessa. Il nostro mondo (ed il cuore di chi lo abita) è, di fatto esso stesso, un “territorio occupato” da un usurpatore che lo domina con le proprie leggi. Queste leggi, contrapposte a quelle di Dio, non possono altro che creare ingiustizie ed abusi di ogni genere.
Il nostro mondo è un mondo, sottratto all’unico e legittimo Signore, è oppresso dalle lotte di potere di innumerevoli “signori” che vogliono prevalere gli uni sugli altri e che, così facendo, lasciano dietro di sé una scia impressionante di morti e di feriti, vittime delle loro ambizioni. Questi “signori” non sono solo chi domina le nazioni con maggiore o minore legittimità. Questi “signori” non sono solo imperi, stati ed ideologie con i loro eserciti e polizie. Questi “signori” non sono solo gruppi economici, associazioni più o meno segrete,“mafie” e capibanda. Questi “signori” non sono solo le gerarchie di false religioni e sétte che vogliono imporre il loro dominio sul mondo asservendo l’anima e il corpo. Questi “signori” sono pure tanti altri “signore e signori” che, dopo aver spodestato la legittima autorità di Dio sulla loro vita, fanno del loro egoismo, piaceri ed interessi la forza tirannica, dominante e determinante della vita loro e di quelli che stanno loro accanto. La gente di questo mondo si sottomette ed è sottomessa a molti opprimenti signori, ma chi segue il solo legittimo e giusto Signore può dire: "Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo" (1 Corinzi 8:5-6). Se, infatti, Dio e il Suo Cristo non è il Signore che guida e determina la mia vita, assumo io stesso il ruolo di signore e tiranno e divento “l’usurpatore” che non potrà che causare disastri senza fine, ingiustizie e sofferenze. È certo che, però, che dopo aver trionfato per un po’, giungerà alla fine solo a distruggere sé stesso, o travolto da altri presunti “signori” o dalle proprie contraddizioni.
Un mondo dove Dio, legittimo Re e Sovrano, non regna con le Sue sante, giuste e buoni leggi, è il mondo dove sonoscatenate le forze spirituali della malvagità. Esse sembrano retribuire generosamente chi, illudendosi, le serve. Dato che però sanno che non potranno prevalere, cercano solo di rovinare e distruggere il più possibile tutti coloro, singoli e società, sui quali riescono a mettere le mani. 

Un regno “diverso”

E’ in questo “territorio occupato” che giunge Gesù di Nazareth annunciando, così come faceva lo stesso Giovanni Battista, “Ravvedetevi perché il regno dei cieli è vicino”.
Il Regno di Dio è chiamato “Regno dei cieli” non solo secondo l’uso ebraico di usare “cielo” come sinonimo di Dio evitando di pronunciare così il Suo nome. Esso è “regno dei cieli” perché il suo carattere è molto diverso da come dominano i regni di questo mondo. Una volta Gesù disse ai Suoi discepoli: "Voi sapete che quelli che sono reputati prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i loro grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra di voi; anzi, chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti. Poiché anche il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti" (Marco 10:42-44).
Questo regno è “dei cieli”, non perché sia un’astrazione, perché sia limitato “all’aldilà” e non debba o non possa essere qualcosa da stabilire molto concretamente in questo mondo. Esso ha caratteristiche molto diverse da quelle che sono tipiche dei regni di questo mondo. Lo ribadisce Gesù di fronte al potente delegato dell’imperatore romano: "Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù gli rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?» Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?». Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui». Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce» (Giovanni 18:33-37).
Nel saggio “la signoria di Cristo e le sue implicazioni politiche”, Stephen C. Perks scrive:
“Parlare del Regno di Dio significa parlare di un ordinamento politico di Dio che si pone in netto contrasto alla politica dell’uomo. I cristiani nel mondo intero non sono semplicemente membri di varie nazioni che, nelle loro devozioni private, rendono culto allo stesso Dio. Se Cristo è veramente loro Signore e Re, essi costituiscono una nazione a pieno diritto, un popolo distinto, chiamato fuori e separato dai regni del mondo e nati dall’alto per fede in Cristo, per formare un altro regno con il proprio ordinamento. La forma di questo ordinamento è la monarchia assoluta. Indipendentemente dalle forme particolari di amministrazione rispetto alle quali la sovranità del Monarca è delegata ai Suoi ministri nelle diverse sfere della vita (ad es. famiglia, Chiesa, Stato), la nazione cristiana è governata da un Monarca assoluto la cui legge è immutabile, la cui giurisdizione è illimitata, e la cui volontà ha valore ultimo. I Suoi ministri, o vice-reggenti, che governano sotto la Sua legge nei vari aspetti istituzionali della vita della Nazione, possono o non possono essere stati scelti mediante elezione, in dipendenza dalla natura dell’istituzione. Ciò nonostante, coloro che vengono eletti, qualunque ne sia il mezzo, sono tenuti in modo assoluto a governare queste istituzioni sotto la volontà di Dio com’è rivelata nella Sua Legge. Questo si applica non solo al governo della Chiesa, ma anche alla famiglia ed allo Stato. Nessun politico cristiano, scelto non importa come, o appartenente ad un qualsiasi partito politico, ha licenza di servire altri signori. Il loro Signore e leader non può essere altri che Cristo. Nel suo servizio in quanto politico, egli deve fedeltà ed ubbidienza, assoluta ed inequivocabile, al Signore Gesù Cristo”.
L’appello al ravvedimento

Il regno di Dio si manifesta dunque in Gesù di Nazaret, il Re messianico, il Signore. Il regno di Dio si avvicina a noi in Lui e con LuiCome tale Egli non “invita” ad entrare nel Suo regno, non implora di “aprirgli la porta del cuore” ed “accettarlo” (“poverino… fagli un favore”), ma Egli comanda, come un vero Re e Signore, anzi, come il Re dei re ed il Signore dei signori. Egli comanda e dice: “Ravvedetevi perché il regno dei cieli è vicino”.
Quelli di Gesù sono imperativi, non “condizionali”. Egli non dice: “Se vuoi… se hai tempo… quando ti fa comodo… magari vieni dietro a me… non pretenderò troppo da te… sbriga pure le altre tue faccende, e poi magari vieni … ti accoglierò così come sei … non pretenderò nulla da te”! Questa è solo la pseudo-evangelizzazione che si sente spesso oggi, lo pseudo-vangelo che la nostra generazione sembra gradire più di qualsiasi altro, un falso vangelo.
Vediamo così in questo stesso testo come Gesù “Mentre camminava lungo il mare della Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini». Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono. Passato oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratello, i quali nella barca con Zebedeo, loro padre, rassettavano le reti; e li chiamò. Essi, lasciando subito la barca e il padre loro, lo seguirono” (18-24).
“Venite”, Dio in Gesù dice a coloro ai quali dall’eternità Egli ha scelto di concedere la Sua grazia, ed essi vengono, subito ed irresistibilmente. Ai Suoi Gesù dice: “Non siete voi che avete scelto me, ma son io che ho scelto voi, e v'ho costituiti perché andiate, e portiate frutto, e il vostro frutto sia permanente; affinché tutto quel che chiederete al Padre nel mio nome, Egli ve lo dia” (Giovanni 15:16). Non sarebbero andati dietro a Gesù se essi non fossero stati prima scossi dallo Spirito Santo e liberati dalla loro indolenza ed egocentrismo, dai loro comodi e peccati favoriti. Essi sono chiamati da Gesù che, per primo, impartisce loro la facoltà di rispondergli favorevolmente. Quella che Gesù impartisce è la forza abilitante che aveva fatto in modo che Lazzaro, morto, uscisse fuori dalla sua tomba e tornasse a vivere e a camminare. Gesù infatti, "gridò ad alta voce: «Lazzaro, vieni fuori!» Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti da fasce, e il viso coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare»" (Giovanni 11:43-44). Noi non siamo meno morti e “puzzolenti” (nei nostri peccati) di quel Lazzaro, ma quando Cristo chiama i Suoi eletti, essi “sentono la forza tornare loro nelle gambe”, si alzano e “camminano”, “Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono. … Essi, lasciando subito la barca e il padre loro, lo seguirono”. Non hanno fatto domande, non hanno posto condizioni a Gesù: hanno lasciato le loro cose e, con fiducia, hanno seguito Gesù. E’ il miracolo della conversione che avviene ancora oggi e che si ripete, il vero miracolo. Era successo personalmente allo stesso evangelista Matteo: "Poi Gesù, partito di là, passando, vide un uomo chiamato Matteo, che sedeva al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli, alzatosi, lo seguì" (Matteo 9:9).
Gesù “passa” (ancora oggi) e dice: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino». Abbandonate i vostri idoli e i vostri signori, e dà loro nel contempo la forza per strapparli dalle loro grinfie ed abbandonarli senza rimpianti. Ravvedetevi: li avete serviti per fin troppo tempo: che cosa veramente ne avete guadagnato? Venite dall’unico legittimo Signore del cielo e della terra che giammai vi deluderà. E’ vostro preciso dovere sottomettervi a Lui. Se non lo fate ora quando viene a voi nella Sua grazia, sarete costretti a piegarvi di fronte al Suo giudizio e la Sua ira. Che ci piaccia o no sentirlo, il ribelle allora: "...egli pure berrà il vino dell'ira di Dio versato puro nel calice della sua ira; e sarà tormentato con fuoco e zolfo davanti ai santi angeli e davanti all'Agnello" (Apocalisse 14:10).
Quali sono gli idoli ed i “signori” dai quali Gesù, che vi chiama ancora oggi, vuole e può liberarvi? Se non li abbandonate oggi, essi saranno un giorno la vostra rovina. 

Conclusione

 Ed ecco così, al termine del nostro testo, che: “Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il vangelo del regno, guarendo ogni malattia e ogni infermità tra il popolo”.
Gesù non ha smesso oggi di farlo attraverso coloro che Gli appartengono e lo servono “ripescando” i perduti attraverso l’annuncio dell’Evangelo che chiama al ravvedimento dal peccato e dalla ribellione (il “vangelo del regno”) e testimoniando con la loro vita uno stile di vita in sintonia con Colui che liberava e libera da ogni malattia ed infermità, di cui quella spirituale è la prima.
Il nostro mondo è un mondo, sottratto all’unico e legittimo Signore, è oppresso dalle lotte di potere di innumerevoli “signori” che vogliono prevalere gli uni sugli altri e che, così facendo, lasciano dietro di sé una scia impressionante di morti e di feriti, vittime delle loro ambizioni. Esso sarà restituito al suo legittimo Signore, Dio in Cristo che un giorno, come ha promesso, tornerà, per far piazza pulita da ogni residua opposizione. Il libro dell’Apocalisse dice: “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco apparire un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero; perché giudica e combatte con giustizia” (Apocalisse 19:11)
Colui che aspettiamo, fedelmente completerà l’opera che ha iniziato a fare, nel mondo ed in ciascuno di coloro che Gli appartengono.

di Paolo Castellina


  

"E dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti lo rapiscono."
 (Matteo 11:12)

http://consapevolinellaparola.blogspot.it/2014/02/il-ritorno-del-re.html

lunedì 3 febbraio 2014

Il Popolo di Dio in un mondo ostile



Grazie a Dio, ancora oggi vi sono in tutto il mondo persone di ogni condizione, cultura ed età che scoprono in Gesù di Nazareth, come autorevolmente presentato dalla Bibbia, Colui che veramente può liberarli da tutto ciò che sporca e guasta la loro vita. Essi accolgono con fiducia nel proprio cuore la Sua Persona, la Sua Parola, la Sua Opera e se ne lasciano docilmente modellare. Essi trovano così in Gesù pace, conforto, gioia, forza, una concreta speranza, un senso, una missione ed una prospettiva eterna per la loro vita.
Essi si rendono ben presto conto, però, di acquisire, con Gesù, un modo di pensare, di parlare e di agire che si contrappone radicalmente con quello che è comune in questo mondo, di diventare, in qualche modo, diversi dagli altri. Il mondo percepisce questo cambiamento e sembra che esso, da quando ci si affida a Gesù, non ci riconosca più come uno "dei suoi", "del suo giro" e diventi verso di noi derisorio e spesso ostile. Magari il mondo ci rispetta, ma è chiaro che, in qualche modo, anche se viviamo ed operiamo nel mondo, non siamo "del" mondo. La cosa da una parte potrebbe turbarci e persino spaventarci, perché è naturale voler essere accettati, integrati nella società, dall’altra però, non abbiamo più alcuna intenzione di privarci di ciò che solo Cristo ci ha potuto donare, di "tornare indietro".
Avendo così accolto con fiducia la chiamata che Cristo ci ha rivolto, ci rendiamo pian piano conto di non appartenere più al mondo, ma di essere diventati parte del popolo di Dio. Comprendiamo allora le parole che Gesù rivolse ai Suoi discepoli, quando disse: "Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: "Il servo non è più grande del suo signore". Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra" (Gv. 15:17-20).
Indubbiamente la cosa può spaventare chi solo da poco è "nella fede". Iddio, però, non ci ha lasciati privi di risorse per affrontare con successo questa situazione. 
 

Il nostro testo


L’ostilità del mondo verso coloro che hanno accolto con fede nella loro vita la Persona e l’opera di Gesù è una costante di cui l’apostolo Pietro nella sua prima lettera non solo vuole farci prendere coscienza, ma rispetto alla quale egli vuole armarci. Nel quinto capitolo egli scrive: "Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente" (1 Pi. 5:10).
Pietro sta scrivendo a gruppi di cristiani nel Asia minore, cristiani deboli ed isolati, con scarse opportunità di comunione con altri cristiani. Intorno a loro vi erano pagani a loro avversi, e forse ancor di più, ebrei a loro avversi. Essi soffrivano la persecuzione e temevano il peggio. Pietro non li conforta con pii desideri. Non li illude dicendo che in ogni caso le cose sarebbero alla fine andate bene. Il suo scopo è quello di rafforzarli.Non si aspetta che essi sfuggano alle prove che sono di fronte a loro, e neanche desidera che essi lo facciano. Egli conosce l’avversione congenita che il mondo sente per i cristiani coerenti, perché lo stesso era avvenuto con Gesù. Egli desidera che nell’ora della prova essi si comportino come dovrebbero comportarsi dei cristiani. Ancora oggi il mondo è refrattario, nemico e maldisposto verso la fede cristiana autentica, fedele e militante, e lo è sempre di più. Il messaggio di Pietro rimane così pure oggi quanto mai appropriato.
 

La situazione del cristiano


Il cristiano, colui che, raggiunto dalla chiamata personale dell’Evangelo di Gesù Cristo e che lo ha fatto proprio, può dire, secondo la Scrittura, di vivere ora in due sfere diverse. Egli è "in Cristo" e nel contempo "nel mondo". E’ il linguaggio che usa la Bibbia e che dobbiamo ben comprendere.
Egli è "in Cristo". Si tratta dell’espressione che usa il nostro stesso testo. Esso dice infatti che i cristiani sono: "chiamati alla sua gloria eterna in Cristo".
L’apostolo Paolo parla di sé stesso come di "un uomo in Cristo". La posizione del cristiano come di una persona "in Cristo" è fondamentale nel pensiero di Paolo. Il cristiano è unito per fede a Cristo in un rapporto così intimo tanto da essere simile a quello che ha il capo con il resto del corpo. Dio guarda a Cristo, e in Lui Egli vede ogni credente.
Il cristiano si sente "in Cristo" come in una "custodia protettiva" perché Egli è il Suo Salvatore. E’ protetto contro una vita futile senza senso e prospettiva, protetto contro il peccato e le sue conseguenze negative. Cristo, infatti, ha pagato al suo posto i debiti che come creatura umana peccatrice doveva a Dio. In Cristo egli si sente al sicuro e libero dalla condanna che egli da Dio meriterebbe.
Il fatto di essere in Cristo influisce sul suo carattere, colora ogni sua decisione perché Cristo è il suo Signore e determina ciò che è e fa. Paolo insiste molto su questo. Ad esempio, quando il credente si rallegra, egli si rallegra "nel Signore", quando si sposa, egli lo fa "nel Signore". Quando i figli di una famiglia cristiana vengono esortati ad ubbidire ai loro genitori essi lo devono fare "nel Signore". Quando il cristiano fa dei progetti per il futuro, egli lo fa "nel Signore", cioè, il cristiano cerca di conformare i suoi progetti alla mente di Cristo, secondo i criteri da Lui dettati.
Non è tutto. Il cristiano, unito per fede a Cristo, è figlio di Dio, e questo fatto deve essere evidente, almeno in una certa misura, dal suo carattere. Leggiamo nella Bibbia che: " Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio" (1 Gv. 3:9). Questo significa che il peccato non è compatibile con il carattere del cristiano. Purtroppo, ed è triste a dirsi, il peccato è sempre inevitabilmente presente in una certa misura nella sua vita, ma, appunto, non è compatibile con lui, è una nota stonata che non fa parte della "sinfonia" della sua vita! Pensiamo ad esempio ad una famiglia cristiana e devota che abbia un figlio disubbidiente e ribelle, è una nota stonata con il carattere che quella famiglia manifesta. Con il cuore triste quei genitori potrebbero dire: "Non si comporta come dovrebbe comportarsi nostro figlio". Possiamo dire altresì che Dio sia rattristato per il comportamento di alcuni dei Suoi figli? Certo, lo è purtroppo spesso. Non è forse vero che Paolo scrive: "Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione" (Ef. 4:30). Quanta tristezza diamo spesso per il nostro comportamento! Eppure, nonostante le nostre incoerenze, la nostra condizione di fondo davanti a Lui rimane. "Se i suoi figli abbandonano la mia legge e non camminano secondo i miei ordini, se violano i miei statuti e non osservano i miei comandamenti, io punirò il loro peccato con la verga e la loro colpa con percosse; ma non gli ritirerò la mia grazia e non verrò meno alla mia fedeltà. Non violerò il mio patto e non muterò quanto ho promesso" (Sl. 89:30-34). Dovremmo rammentarci di questa fedeltà di Dio quando siamo tentati a disperare di noi stessi. Dovremmo pure rammentarla quando siamo tentati a criticare gli altri. Chi siamo noi per giudicare? Se una persona è in Cristo veramente, Dio l’ha accettata ed è  solo Lui che può giudicarla e correggerla davvero.
Egli è nel mondo. Il fatto che un cristiano sia "in Cristo" è uno degli aspetti della condizione del cristiano, quello più importante. Il cristiano che è in Cristo, però, è allo stesso tempo nel mondo. Proprio perché si muove in queste due sfere troviamo che vi è in lui tensione, sofferenza. Vi sono naturalmente le sofferenze che sono comuni a tutta l’umanità: nemmeno il cristiano può sfuggirvi. Vi sono però sofferenze che sono peculiari per la particolare condizione esistenziale in cui il cristiano si trova.
Anche le sofferenze che condivide con il mondo, però, per il cristiano assumono un nuovo significato. Esse sono una componente delle azioni disciplinari che Dio usa per promuovere la sua santificazione. Il nostro testo dice: " dopo che avrete sofferto…".
Vi sono sofferenze che sono della natura di un castigo. Il cristiano può dover soffrire la malattia, il dolore prolungato, la perdita, la delusione, e l’afflizione. Non voglio dire necessariamente che tutto questo debba essere ricondotto ad un particolare peccato che abbia commesso. Cercare di collegare la sofferenza ed il peccato in questo modo può diventare un’ossessione morbosa. D’altro canto dovremmo cercare di accettare tutto quello che ci capita come parte delle azioni disciplinari che Dio applica alla nostra vita, forse per richiamarci al senso di responsabilità, forse per elevare i nostri pensieri dalle cose temporanee alle cose eterne, per mostrarci la follia del vivere solo in funzione di questo mondo, ma sempre per promuovere la nostra crescita nella grazia. E’ vero che alcuni devono soffrire più di altri. Giacobbe visse una vita maggiormente provata di quella di Abrahamo o di Isacco. Noi non sappiamo perché. Forse Giacobbe era fatto di materiale più intrattabile. Alla fine della sua vita, però, egli poteva parlare con gratitudine di Dio in questi termini: "Il Dio alla cui presenza camminarono i miei padri  Abrahamo e Isacco, il Dio che è stato il mio pastore da quando esisto fino a questo giorno, l'angelo che mi ha liberato da ogni male" (Ge. 48:15). Il cristiano può avere la certezza che, come disse qualcuno: "La mano di mio Padre non fa mai versare al Suo figliolo una lacrima priva di significato". L’orefice accende il forno, non perché odi l’argento, ma perché desidera renderlo il più puro possibile.
Vi è pure la sofferenza che è prodotta dalla natura stessa del conflitto. Il cristiano, infatti, è impegnato in una continua lotta. Ha nemici dentro di sé e nemici fuori di sé. Il versetto 8 del nostro testo ci conduce alla radice stessa del problema: "Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, gira come un leone ruggente cercando chi possa divorare" (1 Pi. 5:8).
Dal di fuori. Noi parliamo delle tentazioni del mondo, della carne e del diavolo, ma la fonte prima di queste è l’avversario di Dio, il diavolo. E’ il diavolo ad avvalersi del mondo contro di noi. Coloro a cui l’apostolo Pietro stava scrivendo facevano esperienza di tutto questo in modo molto acuto. Erano soggetti a persecuzioni, o almeno alla minaccia costante di persecuzioni. Oggi nel nostro paese la persecuzione è assente in queste crude forme. La difficoltà di vivere la vita cristiana in un mondo ostile, però, è sempre presente.
Pensate ad esempio, ad un giovane cristiano che voglia testimoniare la sua fede in Cristo di fronte a compagni indifferenti od ostili. Pensate al coro di protesta che il mondo eleva quando qualcuno in nome di Dio cerca di ostacolare i suoi progetti egoistici. Pensate al dileggio che incontra l’Evangelo cristiano, o persino una semplice affermazione sulla scena pubblica dei principi morali cristiani. Pensate soprattutto alle sottili influenze che raffreddano il nostro zelo, rendono muta la nostra testimonianza, o ci portano a fare compromessi.
Dal di dentro. Il diavolo sferra i suoi attacchi pure attraverso la carne, vale a dire attraverso noi stessi. Noi non ignoriamo queste sue macchinazioni. Sappiamo con quanta astuzia ed intelligenza operi. Si dà da fare quando viviamo un periodo di benedizioni, perché se ci coglie distratti, egli può derubarci di gran parte delle benedizioni che abbiamo ricevuto. Non è mai tanto pericoloso di quando sembra essere quieto. Ci compiacciamo di noi stessi dei progressi che abbiamo fatto e proprio allora Satana prepara un attacco devastante. Quando sembra sconfitto oppure scomparso dalla vista, allora ecco che escogita un altro piano per danneggiarci.
Egli sparge i semi dell’incredulità. Egli cerca di farci mettere in dubbio le verità fondamentali della fede cristiana. Ci instilla dubbi sul fatto che realmente noi si possa fare appello alla potenza di Dio, e mina così la nostra vita cristiana. Egli semina discordie tra i fratelli. Pianta semi di sospetto, sfrutta antipatie naturali, e così mette in crisi la comunione fra cristiani. Approfitta della nostra fragilità. Ci ha studiato più a fondo di uno psicanalista. Conosce i nostri punti deboli, sa quando ci sentiamo stanchi, o non in buona salute, o inclini alla trascuratezza, e sfrutta senza scrupoli queste conoscenze.
Questa è la situazione. Che speranza abbiamo di vincere tutto questo? Pietro non si aspetta un periodo di pausa nell’azione del nemico. Quello che fa è rammentarci gli attivi a vantaggio del cristiano, quello che è al suo attivo, le risorse che ha a disposizione.


Le risorse del cristiano


Che cosa possediamo noi per opporci ad un tale potente avversario? Pietro menziona due cose:
L’ispirazione di una nobile vocazione. Dio ci ha chiamati "alla sua gloria eterna in Cristo". Forse che questo significa che Dio ci ha chiamati alla felicità eterna nel cielo? Senza dubbio! Questa però è una parafrasi limitativa. La gloria è molto più che felicità. "Eterna" significa molto più che di durata eterna, e questa è una vocazione di cui, sebbene venga adempiuta in cielo, se ne può fare esperienza fin da ora. Che cos’è allora questa "gloria eterna"? Non è forse il carattere di Dio stesso? Potete voi immaginare un pensiero più salutare di quello che siamo chiamati a riflettere il Suo carattere? "Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è ancora stato manifestato ciò che saremo; sappiamo però che quando egli sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è" (1 Gv. 3:2). L’obiettivo ultimo a cui siamo chiamati è riflettere il Suo carattere, e finalizzato a quest’obiettivo è tutto ciò che Dio opera con noi e in noi. E’ verso quell’obiettivo che noi dovremmo guardare, avere gli occhi fissi su Gesù. "E noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore" (2 Co. 3:18).
Ci viene rammentato quanto ci siano disponibili risorse inesauribili. "Il Dio di ogni grazia!": ecco la risposta a"il vostro avversario, il diavolo". La parola "grazia" è una magnifica parola.
(a) Ci rammenta in primo luogo che noi non siamo persone meritevoli. I doni di Dio ci sono stati conferiti non per qualcosa di meritevole che si sia trovato in noi.
(b) Ci rammenta il prezzo che è stato necessario pagare per essi: "Voi conoscete infatti la grazia del Signor nostro Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Co. 8:9).
(c) Ci rammenta la grande generosità del dono che Dio ci ha fatto in Cristo. C’è quella grazia giustificante per la quale noi peccatori veniamo accolti come se fossimo giusti, a causa della rettitudine di Cristo a noi accreditata: la sua ubbidienza alla Legge di Dio e la soddisfazione da Lui resa sulla croce per la nostra disubbidienza, tutto questo ci viene accreditato come se noi avessimo compiuto tutto. C’è la grazia riconciliante per la quale noi, che eravamo nemici, siamo stati resi non solo amici, ma pure figli e figlie dell’onnipotente Iddio. C’è la grazia illuminante che ci guida attraverso i sentieri confusi della vita. C’è lagrazia che ci impedisce cadute irreparabili, cioè andare su una strada sbagliata. C’è la grazia che risana le nostre incoerenze per farci ritornare sul sentiero della giustizia. C’è la grazia che ci sostiene in tempo di afflizione, e in quei tempi in cui tutto sembra andare storto. C’è la grazia che ci rafforza e ci mette in grado di affrontare le tentazioni ed uscirne vittoriosi.
Quali scuse ancora potremmo tirare fuori per giustificare il nostro fallimento? La parola "non è possibile" non dovrebbe mai entrare nel nostro vocabolario cristiano. Ciò che Dio ci comanda Egli pure ci dà la grazia di realizzare. Alla fine, così, ci viene detto di credere.
Le promesse del cristiano. Le parole del nostro testo sono indubbiamente delle magnifiche promesse: "vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente"! Vorrei che consideraste molto bene queste parole. Alcune di esse sono molto interessati e devono essere state davvero preziose per Pietro.
  • "vi perfezionerà egli stesso". Questa parola significa "vi riparerà, vi restaurerà". La tradizione vuole che l’evangelista Marco abbia preso molto del materiale del suo vangelo da Pietro. Possiamo immaginare come Pietro gli avesse raccontato del giorno in cui Gesù chiamò Andrea e lui stesso dalle loro barche di pescatori, e poi Giacomo e Giovanni che riparavano le loro reti, e mentre Marco compone questo racconto, questa è esattamente la parola che usa. I pescatori devono riparare le loro reti strappate; e mentre Pietro considera la sua esperienza come "pescatore di uomini", egli si rende conto che non sono solo le reti ad aver bisogno di essere riparate. Se la pesca è buona, essa richiede lo spendere le nostre energie e risorse spirituali. Se la pesca è andata male, essa ci lascia inquieti e depressi. Sono certo che Pietro si fosse sentito a volte molto più disperato che nell’avere le reti strappate. Egli però conosceva Uno che riparava, e che rimetteva in sesto per ritornare all’opera.
  • "vi renderà fermi". Ecco ancora una parola significativa nell’esperienza di Pietro. Quando Gesù aveva predetto il rinnegamento di Pietro, Egli aggiunse: "Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai ritornato, conferma i tuoi fratelli" (Lu. 22:32). Si "conferma", "rendi stabili" i tuoi fratelli. Questa era la parola usata da Gesù. Il rinnegamento di Gesù da parte di Pietro era stata un’esperienza vergognosa, amara ed umiliante. Aveva abbattuto in Pietro la fiducia in sé stesso, ma lo aveva condotto alla fiducia in Dio. Egli non fu solo ristabilito, ma fu stabilito fermamente, tanto da diventare una roccia di perseveranza. Ora egli vuole mostrare ai suoi fratelli come pure loro possono essere resi fermi.
  • "vi fortificherà stabilmente", cioè "vi metterà su solide fondamenta", per poter essere forti in ogni battaglia che dovranno combattere, farà in modo che i vostri piedi siano ben piantati, come quell’uomo che aveva costruito la sua casa sulla roccia.

Conclusione


Il popolo di Dio in un mondo ostile, dunque: una realtà che dobbiamo affrontare come un dato ineluttabile, ma rispetto alla quale abbiamo a disposizione potenti risorse. Cristo ci ha chiamati per grazia Sua ad uscire da questo mondo sulla via della perdizione e se abbiamo compreso questo certo non vogliamo tornare a farne parte! Sarebbe una follia che solo i miopi e gli stolti potrebbero contemplare. Vogliamo aggrapparci con decisione e tenerci stretti a Cristo. Quando molti presunti discepoli di Cristo un giorno gli voltarono le spalle, pavidi e codardi, attirati di più dalle ingannevoli lusinghe di questo mondo, Gesù chiese ai dodici più stretti Suoi discepoli: "Volete andarvene anche voi?"Simon Pietro gli rispose: "Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio"" (Gv. 6:67,68). Sarebbero rimasti ed avrebbero fatto esperienza dell’annuncio che ci dice: "che dalla potenza di Dio mediante la fede siete custoditi, per la salvezza che sarà prontamente rivelata negli ultimi tempi" (1 Pi. 1:5).
di P. Castellina


 "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà l'afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?"
(Romani 8:35)

http://consapevolinellaparola.blogspot.it/2014/02/il-popolo-di-dio-in-un-mondo-ostile.html

ciao

per tutti coloro che mi vogliono bene un invito a riflettere

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