Introduzione
Identificare
il popolo di Dio. Cosa s’intende per “Israele di Dio”? Soprattutto tale
espressione suscita in noi alcune domande. Chi è per Dio un vero israelita?
Iddio, chi considera veramente parte del popolo d’Israele? Cosa ancora più
importante, Yahvé reputa parte del popolo eletto gli israeliti secondo la carne,
oppure bisogna soddisfare altre caratteristiche prima di essere definito da
parte dell’Onnipotente un ebreo a tutti gli effetti?
Dalla
Parola di Dio notiamo che il termine “Israele”, il quale ricorre nella prima
volta nel libro della Genesi, significa: “colui che contende o persevera con
Dio, oppure Dio contende”. Questo nome fu dato da Dio a Giacobbe e il perché lo
possiamo vedere leggendo il brano di Genesi 32,22-32. In esso viene scritto che
il patriarca lottò con un uomo che poi si rivelò essere Dio (Genesi 32,29-31)
per tutta la notte e a causa di tale perseveranza, il Signore stesso lo
benedisse cambiandogli il nome in Israele.
Tale
nome gli fu poi confermato in seguito a Betel quando Iddio gli apparve
nuovamente, secondo quanto leggiamo, sempre in Genesi: “Dio apparve un'altra
volta a Giacobbe, quando tornava da Paddan-Aram, e lo benedisse. Dio gli disse:
«Il tuo nome è Giacobbe. Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele sarà il tuo
nome». Così lo si chiamò Israele” (Genesi 35,9-10).
Yahvé
promise a Israele che da lui sarebbe nata una grande nazione. Un popolo
numeroso che avrebbe dato ai suoi discendenti il territorio corrispondente
all’attuale Palestina (Genesi 35,11-12) e come sappiamo le cose andarono proprio
così. Giacobbe fu quindi da quel momento in poi, chiamato spesse volte Israele.
Certo, bisogna comunque dire che in molti casi, quando nella scrittura si parla
d’Israele, ci si riferisce ai posteri del patriarca, alla nazione ebraica (Esodo
5,1-2). I discendenti di Giacobbe infatti nella Parola di Dio vengono spesso
chiamati “figli, casa, popolo, uomini e stato d’Israele (Genesi 32,32; Matteo
10,6; Atti 4,10; 5,35; Romani 9,4; Efesini 2,12).
Si,
senza dubbio il popolo ebreo divenne veramente numeroso come la sabbia del mare.
Ma bastava essere discendenti naturali di Giacobbe per diventare parte del
popolo di Dio? Dei salvati? Era sufficiente appartenere ad una delle dodici
tribù d’Israele per sfuggire all’ira divina ed ereditare quindi il Regno dei
cieli? Questo studio affronterà proprio tali quesiti menzionati ora e all’inizio
di questa introduzione.
Interrogativi
da prendere in seria considerazione dato che è in gioco la salvezza stessa
dell’individuo. Dopo tutto la medesima Bibbia più volte definisce Yahvé, Dio
d’Israele (1Re 14,7) e gli stessi ebrei come il popolo di Yahvé (Esodo 18,1).
Frasi, che tenendo conto di una semplice lettura superficiale delle stesse,
sembrano sostenere che gli ebrei naturali siano stati eletti a salvezza da Dio
solo per il fatto di essere nati tali. Eppure c’è altro da dire, molto
altro.
Non
ci resta allora che “perderci” nella Parola di Dio, scrutando a fondo e con
l’aiuto divino il suo messaggio, senza mai dimenticare di tener conto
dell’intera somma delle scritture ispirate perché solo così essa ci condurrà
dove vuole lei e non dove vogliamo noi. Yahvé ci conduca allora per mano e passo
dopo passo ci mostri la verità biblica sul soggetto “Israele”. Una questione che
ha suscitato in passato tante polemiche e sono sicuro purtroppo, ne susciterà
pure in futuro.
Israele
e la Chiesa
Un
argomento decisamente spinoso, al punto che la Chiesa da sempre ha cercato di
comprendere il messaggio biblico su tale soggetto controverso. Ebbene anche noi
cercheremo di dare una risposta esaustiva, evidenziando il pensiero di Dio a
riguardo e incominceremo tale disamina esaminando il tipo di patto che Dio ha
con il suo popolo.
Per
caso le Sacre scritture ci parlando di due patti distinti, uno con il popolo
d’Israele stipulato nell’antico testamento e un altro di differente tipo di
patto stipulato questa volta con la Chiesa nel nuovo testamento? Due patti
differenti fatti con due popoli differenti? Vi sono varie correnti i pensiero
che cercano di dare una risposta esaustiva a tale domanda.
Il
dispensazionalismo per esempio afferma che essendo Israele e la Chiesa due
popoli distinti, il Creatore li avrebbe trattati in modo differente, promettendo
cose diverse ad entrambi. Come se non bastasse, vi sono dispensazionalisti i
quali addirittura arrivano a dire che Yahvé avrebbe deciso di salvare l’Israele
carnale in un modo e la Chiesa in un altro.
Anche
fra chi rigetta il dispensazionalismo, vi sono comunque credenti i quali non
vedono Israele e la Chiesa come un popolo unico e che quindi sostengono un
diverso tipo di sistema pattale stipulato con entrambi. Quello
veterotestamentario in cui vi sarebbero alcune promesse che dovrebbero
adempiersi sul questa terra a favore degli ebrei naturali e il patto
neotestamentario il quale conterrebbe unicamente promesse divine con adempimento
celeste.
Ebbene,
le loro conclusioni sulla dottrina del “patto” possono essere condivisibili?
Cosa ancora più importante sono suffragate dalla Parola di Dio? Assolutamente,
no. Le Sacre scritture ci parlano di un solo patto stipulato da Dio con il suo
popolo. Gli eletti di Dio esistono fin dagli inizi del “vecchio testamento”.
Infatti si parla di essi dal libro della Genesi in cui troviamo credenti come
Set, Noé, Abrahamo, Isacco, Giacobbe e l’elenco potrebbe continuare. Questo
perché il popolo di Dio è uno e per una ragione molto valida. Quello che Dio
considerava come vero Israele non era altro che la Chiesa la quale esisteva come
abbiamo visto già dagli albori della storia dell’uomo.
A
conferma di ciò, le Sacre scritture affermano che le parole viventi date da Dio
ai suoi tramite Mosé durante il loro pellegrinaggio nella terra promessa, non le
aveva donate unicamente a loro, ma pure ai credenti che sarebbero vissuti in
seguito (Atti 7,37-38). Di conseguenza, avendo a che fare con un solo popolo è
ovvio che con esso stipulò un solo patto. Esso consiste nell’osservanza di
diversi suoi precetti fra cui, Il primo, il più importante di essi, riguarda la
fede in Cristo, sola via di salvezza (Atti 2,38-39; 4,12). Poi vi è il secondo
segno il quale invece rappresenta o simboleggia il ravvedimento e la
conversione. Si, parliamo della circoncisione, poi sostituita dal battesimo. Due
riti esteriori differenti, ma aventi il medesimo significato (Colossesi 2,11-12)
e infine la medesima speranza condivisa da tutti gli eletti vissuti prima e dopo
la nascita del Salvatore, il cielo (Ebrei 11,9-16).
Altri
elementi che ci aiutano a identificare Israele e la Chiesa come un popolo unico
sono i diversi appellativi dati a entrambi. Per esempio sia Israele che la
Chiesa vengono definiti da Dio un “regal sacerdozio e una nazione santa” (Esodo
19,16; 1Pietro 2,9), la vigna di Dio (Isaia 5,7; Giovanni 15,1-6), la sposa di
Dio (Salmo 45,9; Apocalisse 21,9-10) e infine ad entrambi viene dato
l’appellativo di “Chiesa” (Atti 7,38; Matteo 16,18).
Identificare
la Chiesa e Israele come un “corpo unico” con nomi differenti, utilizzati per
indicare e parlare sempre di una sola realtà, e cioè della famiglia di Dio è di
fondamentale importanza per lo stesso cristiano e la ragione è molto semplice.
Affermare che Israele è un qualcosa di distinto dalla Chiesa, e che ha quindi
ben poco a che fare con lei, vuol dire guardare il vecchio testamento, il
messaggio di Dio esposto nelle scritture ebraiche ed aramaiche come un qualcosa
che quasi non lo riguardi. Ciò lo porterà a leggere quella parte della Parola di
Dio con distacco, narrare gli avvenimenti esposti nella parte del consiglio di
Dio accaduti prima dell’avvento del Messia con freddezza e ciò ovviamente
sarebbe assurdo, dato che tutta la Bibbia è utile per il credente in Cristo
(2Timoteo 3,16-17).
E’
da rigettare quindi la distinzione artificiosa che molti credenti influenzati
dal sionismo, danno ad alcuni passi come Genesi 13,16 e 15,5; con lo scopo di
sostenere l’esistenza di due popolo distinti, ebrei naturali e Chiesa, i quali
sarebbero entrambi benedetti da Yahvé. Infatti quando Iddio promette ad Abrahamo
che i suoi discendenti saranno numerosi come la sabbia del mare (Genesi 13), e
le stelle del cielo (Genesi 15) non si riferisce a un Israele carnale e ad uno
spirituale, ma si parla sempre del popolo ebreo secondo la carne (Genesi 22,17;
Deuteronomio 1,10).
Il
vero Israele
Fino
ad ora abbiamo cercato di dimostrare con argomentazioni varie come Israele e la
Chiesa siano una realtà unica. Vi è però altro da aggiungere. Prove, le quali
dimostrano in modo ancora più schiacciante, come Israele e la Chiesa sono una
medesima cosa. Incominciamo col dire come la Parola di Dio ci parla di due tipi
d’Israele. Di coloro che sono giudei per nascita (Galati 2,15), ossia gli “ebrei
carnali”, secondo quanto troviamo scritto in 1Corinzi: “Guardate Israele secondo
la carne: quelli che mangiano i sacrifici non hanno essi parte dell'altare?”
(1Corinzi 10,18) e l’Israele di Dio (Galati 6,16). Tale popolo è formato da
tutti coloro, giudei e gentili, che hanno “circonciso” il loro cuore credendo
nel Cristo (Romani 2,28-29; Galati 3,29; Filippesi 3,3).
“Non
tutto Israele è Israele”
Questa
frase di Paolo fa veramente riflettere. Essa è una parte di un passo che
troviamo proprio nella lettera ai romani e precisamente nel capitolo nove, in
cui l’apostolo fa una chiara distinzione tra il falso e il vero Israele. Fra gli
autentici e i falsi giudei. Leggiamo come: “Tuttavia non è che la parola di
Dio sia caduta a terra, poiché non tutti quelli che sono d'Israele sono Israele.
né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «É
in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». Cioè, non i figli della
carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come
discendenza” (Romani 9,6-8).
Il
concetto ispirato di Paolo è chiarissimo. Non è la discendenza naturale a
rendere un giudeo, un vero israelita, un figlio di Dio, bensì i figli della
promessa. Ebbene qual’ è il significato di tale affermazione? Cosa ha voluto
dirci “l’apostolo dei gentili” con: figli della promessa”? Nell’epistola ai
galati troviamo la risposta a tale quesito. E’ Paolo stesso che ce ne spiega il
significato: “sappiate pure che coloro che sono dalla fede sono figli di
Abrahamo” (Galati 3,7-9). Si, Iddio riconosce come suoi figli e figli del padre
Abrahamo unicamente coloro che come lui ebbe fede nelle promesse del Creatore.
Nella sua Parola benedetta (Romani 4,12).
Essi
ci sono sempre stati nella nazione israelita, fin dall’inizio, anche se come ha
affermato Paolo non tutti avevano fede in Lui e nel suo Messia predetto fin
dall’inizio e poi manifestatosi sulla terra nella pienezza dei tempi. Dopo di
che ha incominciato a trarre da questa umanità degradata, un popolo per il suo
nome, soprattutto tra i gentili. Ormai già da tempo Iddio aveva decretato di
rigettare Israele in quanto nazione, pur continuando ad avere un residuo eletto
fra il medesimo popolo ebraico e in maniera decisamente maggiore tra i gentili
in seguito (Isaia 65,15; Matteo 21,43). Questo dimostra quanto fosse fallace la
pretesa dei giudei quando pretendevano di essere parte del popolo di Dio solo
perché dicevano di discendere da Abrahamo, di essere discendenti naturali del
patriarca (Matteo 3,9).
Qual
è la vera circoncisione?
Credo
che arrivati a questo punto abbiamo tutti capito come la Parola di Dio consideri
gli “ebrei spirituali”. Ossia tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo.
Essi sono il vero Israele. A loro vanno le promesse di Dio, e non certamente a
un popolo carnale e di discendenza naturale. D'altronde Iddio può promettere le
sue benedizioni unicamente ai “figli della promessa” (Romani 9,8; Galati
4,22-23) per questo motivo vengono definiti tali. Costoro, come afferma Paolo
nel capitolo quarto dell’epistola ai cristiani della Galazia, sono simboleggiati
da Isacco, il figlio nato dalla donna libera, Sara. Accostamento più che
appropriato dato che essi essendo stati liberati dal peccato grazie all’opera
del Cristo possono senza dubbio definirsi liberi. I nemici della grazia invece
sono rappresentati d Ismaele, figlio della serva di Abrahamo, Agar. Costoro
infatti essendo invece schiavi dei loro peccati non possono certamente definirsi
liberi, ma servi del loro padrone, Satana.
Paolo
parando ai cristiani di Filippi poté dire senza tema di smentita di essere loro
la vera circoncisione: “veri circoncisi infatti siamo noi che
serviamo Dio nello Spirito e ci gloriamo in Cristo Gesú senza confidarci nella
carne” (Filippesi 3,3). La precisazione dell’apostolo a tale riguardo era
senza dubbio necessaria. Infatti nella Chiesa del primo secolo alcuni ritenevano
che il rito della circoncisione dovesse essere ancora praticato. Saulo di Tarso
però mette in guardia i propri conservi da queste persone sostenendo giustamente
che a contare fosse la circoncisione del cuore e non un rito a causa del quale
si mutilava una parte del proprio corpo (Filippesi 3,2).
Certo,
la circoncisione fu ordinata da Dio già ai tempi di Abrahamo (Giovanni 17,9-12).
Esso come qualsiasi altro rituale aveva un significato spirituale. E’ Dio stesso
ad esporcerlo proprio nel libro del Deuteronomio: “Circonciderete perciò il
prepuzio del vostro cuore e non indurite piú il vostro collo” (Deuteronomio
10,16). In pratica il circoncidere il prepuzio del membro rappresentava la
“circoncisione del cuore”. Si, la sua conversione (Deuteronomio 30,6). Il
rendere un cuore di pietra in uno di carne, cosa che solo Iddio poteva fare
mediante la rigenerazione (Ezechiele 36,26). Questo significato lo ha poi
ereditato il battesimo, sacramento che ha preso il posto della circoncisione
sostituendola in tutto e per tutto, tranne che nel rito esteriore (Confrontare
Genesi 17,9-13; Deuteronomio 10,16; e Geremia 4,4; con Colossesi 2,11-12; Atti
2,38; 3,19; 22,16).
Avere
il cuore circonciso è quindi un tratto caratteristico dei veri israeliti, i
cristiani. Un popolo il quale, contrariamente a quanto afferma il
dispensazionalismo, è esistito fin dagli inizi della storia umana. Una storia
salvifica che ha avuto sempre il Cristo come centro, la sola via che poteva e
può portare al Padre, alla vita eterna (Giovanni 14,6). Non due popoli, quindi,
uno veterotestamentario (Israele) e un altro neotestamentario (la Chiesa), bensì
una folla immensa la quale risale dalla notte dei tempi e il cui numero si
completerà con il ritorno del Salvatore. Questa gente eletta ha un solo
fondamento. Infatti, Gesù Cristo rispondendo all’apostolo Pietro, dopo la
dichiarazione di fede di quest’ultimo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente”, affermò che su quella “pietra”, si sull’affermazione di Simone,
avrebbe edificato la sua Chiesa composta da persone di ogni sorta (Matteo
16,16-18). Una promessa quella del Redentore già espressa nel primissimo libro
della Genesi da Yahvé in persona. Leggiamo le sue parole: “E io porrò
inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti
schiaccerà il capo, e tu ferirai il suo calcagno” (Genesi 3,15). Quel seme
è il Messia. Colui che avrebbe liberato il suo popolo dai peccati schiacciando
la testa del serpente, grazie la sua opera redentrice.
A
conferma di quanto sto affermando lo possiamo trovare nel termine greco
“ekklesia” (Chiesa) presente in Ebrei 2,12; il quale viene attribuito al popolo
di Dio neotestamentario. Ebbene tale espressione è utilizzata anche nelle
scritture ebraiche sia pur nella sua forma ebraica “qahal”, sempre con il fine
di identificare i santi di Dio: “annunzierò il tuo nome ai miei fratelli; ti
loderò in mezzo all'assemblea” (Salmo 22,22). Si, la Chiesa di Dio esisteva
ancor prima della venuta del Messia in questo mondo.
Il
Cristo non appartiene quindi solamente alla dispensazione neotestamentaria.
Basta leggere quello che disse ai giudei, quando si discuteva sulla sua identità
per capirlo: “Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il
mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Giovanni 8,56). Il Cristo è di tutti
coloro che hanno creduto, senza distinzione di epoca. Anche Abrahamo credette
nel Messia e ottenne la salvezza mediante la fede in Lui. Non solo, con la
salvezza il patriarca divenne pure erede delle promesse del Salvatore, le
medesime di cui sono diventati eredi tutti coloro che come lui hanno
creduto.
Possiamo
trovare molteplici esempi che lo confermano. Abele, Enoc, Isacco, Giacobbe,
Giuseppe (Ebrei 11,4-26). Tutti costoro intrapresero lo stesso cammino di
Abrahamo. Come lui credettero nel Messia ottenendo la redenzione. Si, anch’essi
avevano conosciuto e posto fede nel Cristo. Di conseguenza diventarono eredi
pure loro delle medesime promesse compresa quella evidenziata dallo scrittore
agli ebrei, sempre nel capitolo undicesimo: “Coloro infatti che dicono tali
cose dimostrano che cercano una patria.E se avessero veramente avuto in mente
quella da cui erano usciti, avrebbero avuto il tempo per ritornarvi.Ma ora ne
desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di
essere chiamato il loro Dio, perché ha preparato loro una città” (Ebrei
11,15-16).
Quella
patria è la Gerusalemme celeste (Ebrei 12,22: Apocalisse 21,2). La casa futura
di tutti i santi di Dio, (Salmo 89,7; 1Corinzi 1,2) e noi sappiamo come vi sia
un solo modo per essere santi. Quello di essere beneficiati dell’opera del
Redentore (1Corinzi 6,9-11; Ebrei 2,9-11). Un Salvatore il quale non ha mai
cessato la sua opera di mediatore come chiaramente ci fa comprendere il profeta
Zaccaria: “Allora l'angelo dell'Eterno prese a dire: «O Eterno degli
eserciti, fino a quando continuerai a non avere compassione di Gerusalemme e
delle città di Giuda, contro le quali sei stato adirato durante questi
settant'anni?». Quindi all'angelo che parlava con me, l'Eterno rivolse parole
buone, parole di conforto” (Zaccaria 1,12-13). L’Angelo dell’Eterno, il
Figlio di Dio ha esercitato da sempre e in modo incessante la sua opera di
mediatore fra Dio e il suo popolo, anche durante il periodo di Zaccaria!
Quale
meraviglioso privilegio per i santi di Dio di ogni tempo, sapere di avere
ricevuto tale grazia. Un intercessore il quale nel continuo intercede per loro e
tutto questo perché rimanga viva quella promessa, quella speranza di cui abbiamo
parlato pure in precedenza e che i credenti in Cristo di ogni tempo hanno sempre
coltivato nel loro cuore. Ci riferiamo ovviamente all’eredità che l’Altissimo ha
promesso di elargire ai suoi. Leggiamo cosa ha da dirci il profeta Daniele a
riguardo: “Poi il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i
cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo; il suo regno è un regno
eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7,27).
Il Regno di cui parla Daniele è lo stesso descritto dall’apostolo Giovanni nel
libro di Apocalisse: “Poi il settimo angelo suonò la tromba e si fecero
grandi voci nel cielo, che dicevano: «I regni del mondo sono
divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli
regnerà nei secoli dei secoli” (Apocalisse 11,15). Un regno dato per
l’appunto ai santi (Salmo 85,8; 1Corinzi 14,33). Alla famiglia di Dio la quale
ha sempre fondato le sue certezze sul fondamento sia degli apostoli che dei
profeti. Fondamento che a sua volta poggia sul Cristo, la pietra angolare e
fondamento universale dell’intera Chiesa (Efesini 2,19-22).
Non
credo vi siano dubbi di sorta. La teoria dispensazionalista e la sua dottrina
dei due popoli è veramente priva di fondamento biblico. Eppure a tutt’oggi si
continua a trovare credenti che si ostinano a distinguere Israele dalla Chiesa.
Continuano a dire che Israele è un popolo terreno mentre la Chiesa è un popolo
celeste. Che le promesse di Dio riguardanti l’Israele naturale sono differenti
da quelle fatte alla Chiesa. Dimostrano veramente di essere prigionieri di
questa falsa dottrina. Continuano a “comprendere” la Bibbia leggendola e
inquadrandola secondo l’ottica dispensazionalista, travisando in modo
sistematico l’insegnamento in essa contenuto. Purtroppo fino a quando non si
libereranno di questi schemi e preconcetti dottrinali, non riusciranno mai a
vedere la verità. Quale?
Dio
non guarda, la razza, l’aspetto, le distinzioni naturali, sociali e culturali di
un qualsiasi popolo, ma come affermò Pietro: “In verità io comprendo che Dio
non usa alcuna parzialità; ma in qualunque nazione chi lo teme e opera
giustamente, gli è gradito” (Atti 10,34-35). Pietro pensava che Dio voleva
salvare solo gli ebrei, che avesse un occhio di riguardo unicamente per loro. Il
Signore invece fece capire come davanti a Lui non ci sono né giudei e né greci
(Galati 3,28). La sola cosa che guarda Iddio è il cuore della persona (Salmo
73,1). E’ quello il “metro di misura” da Lui utilizzato per distinguere i suoi
eletti dai reprobi.
La
legge scritta nei propri cuori
Anticamente
Yahvé quando si manifestò all’Israele naturale, fece scrivere la sua legge su
tavole di pietra. Non sarebbe sempre stato così però. Infatti già tramite il
profeta Geremia, Iddio rivelò agli israeliti: “Ecco, verranno i giorni»,
dice l'Eterno, «nei quali stabilirò un nuovo patto con la casa d'Israele e con
la casa di Giuda; non come il patto che ho stabilito con i loro padri nel giorno
in cui li presi per mano per farli uscire dal paese di Egitto, perché essi
violarono il mio patto, benché io fossi loro Signore», dice l'Eterno. «Ma questo
è il patto che stabilirò con la casa d'Israele dopo quei giorni», dice l'Eterno:
«Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò
il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”. (Geremia 31,31-33).
Quando il profeta parla di “quei giorni” si riferisce proprio agli “ultimi
giorni” al periodo che va dalla prima alla seconda venuta del Messia (2Timoteo
3,1). Anticamente i regni d’Israele e di Giuda si erano separati per poi
riunirsi dopo il ritorno dall’esilio babilonese. Analogamente, giudei e gentili,
un tempo separati furono poi uniti in Cristo come promesso dal redentore
medesimo in Giovanni 10:16: “Io ho anche delle altre pecore che non sono di
quest'ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce,
e vi sarà un solo gregge e un solo pastore”. Prima della venuta del Salvatore,
il Creatore riuniva i suoi eletti entro i “confini” dell’Israele naturale, dopo
l’opera redentrice del Figlio, il Padre celeste volse poi la sua attenzione
anche ai gentili (Atti capitoli 10 e 11).
L’attenzione che Dio avrebbe posto al popolo gentile col fine di salvarlo fu
profetizzata persino nelle scritture del “vecchio testamento” e precisamente nel
libro del profeta Osea: “Tuttavia il numero dei figli d'Israele sarà
come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. E
avverrà che invece di essere detto loro: "Voi
non siete mio popolo", sarà loro detto: "Siete figli del Dio
vivente" (Osea 1,10). Costoro ai quali Iddio si riferisce definendoli non
“parte del suo popolo” ossia l’Israele naturale, bensì suoi figli, sono per
l’appunto i gentili.
Che
questo sia il pensiero ispirato di Osea, ne abbiamo conferma proprio l’apostolo
Paolo nell’epistola ai Romani: “e ciò per far conoscere la ricchezza della
sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la
gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i
Giudei ma anche fra gli stranieri? Così egli dice appunto in Osea: «Io
chiamerò "mio popolo" quello che non era mio popolo e "amata" quella che non era
amata»; e «Avverrà che nel luogo dov'era stato detto: "Voi non siete
mio popolo", là saranno chiamati "figli del Dio vivente" (Romani
9,23-26).
Ebbene,
tale profezia si adempì proprio quando incominciò l’annuncio del vangelo.
Mediante la predicazione della “Buona notizia”. Testimoniando il Cristo giudei e
gentili di ogni sorta entrarono a far parte del Regno del Salvatore, parte del
suo popolo, la Chiesa. Si, ebrei e pagani convertiti al Messia, poterono
realmente definirsi figliuoli di Abrahamo perché come lui credettero nell’Unto
di Yahvé (Romani 4,11-12; Galati 3,26-29). Diventando quindi un popolo unico
senza distinzione di razza o di altro.
Il
profeta Osea però non era l’unico che per grazia di Dio rivolse la sua
attenzione ai gentili. Anche il profeta Amos profetizzò a loro riguardo. Infatti
nel capitolo nove del suo libro troviamo scritto: “Quel giorno io rialzerò
la capanna di Davide che è caduta,ne riparerò i danni, ne rialzerò le rovine,la
ricostruirò com'era nei giorni antichi,affinché possegga il resto di Edom e
tutte le nazionisulle quali è invocato il mio nome»,dice il SIGNORE che farà
questo” (Amos 9,11-12). In pratica quando Amos parla della “capanna” o
“tabernacolo” di Davide, egli non fa altro che riferirsi alla Chiesa. Un
edificio spirituale che alla pienezza dei tempi, grazie alla persona e all’opera
del Cristo, sarebbe stato riedificato riedificato in modo da accogliere anche
ogni sorta di persone provenienti da tutto il mondo.
Per
tale motivo, l’apostolo Paolo potè testimoniare tale sacrosanta verità ai
cristiani di Efeso: “e per riconciliare ambedue con Dio in un sol corpo per
mezzo della croce, avendo ucciso l'inimicizia in se stesso. Ed egli venne per
annunziare la pace a voi che eravate lontani e a quelli che
erano vicini, poiché per mezzo di lui abbiamo entrambi accesso al Padre in uno
stesso Spirito. Voi dunque non siete più forestieri né ospiti, ma concittadini
dei santi e membri della famiglia di Dio, edificati sul fondamento degli
apostoli e dei profeti, essendo Gesù Cristo stesso la pietra angolare, su cui
tutto l'edificio ben collegato cresce per essere un tempio santo nel
Signore, nel quale anche voi siete insieme edificati per essere una dimora di
Dio nello Spirito” (Efesini 2,16-22).
Grazie
al Cristo, non solo gli ebrei convertiti, ma anche i gentili rigenerati hanno
libero accesso al Padre per mezzo del Signore Gesù e mediante lo Spirito di Dio.
Infatti entrambi i gruppi diventati per la potenza di Dio un popolo unico hanno
in comune un unico fondamento, Gesù Cristo il giusto.
“Tutto Israele sarà salvato”
Vi è un brano presente nell’epistola ai romani, il quale è
stato spesso oggetto di discussione fra teologi e semplici credenti. Esso si
trova nel capitolo undicesimo e precisamente nel verso ventiseiesimo. Leggiamolo
insieme: “Perché non voglio, fratelli, che ignoriate questo mistero,
affinché non siate presuntuosi in voi stessi, che ad Israele è
avvenuto un indurimento parziale finché sarà entrata la pienezza dei gentili, e
così tutto Israele sarà salvato” (Romani 11,25-26).
Saulo
di Tarso, scrivendo ai cristiani di Roma, rivela loro che Iddio ha parzialmente
indurito il cuore degli israeliti naturali e che esso continuerà fino a quando
il numero degli eletti presenti nel popolo gentile raggiungerà la pienezza. Solo
allora Yahvé salverà tutto Israele dopo aver ovviamente cessato di indurire
parzialmente il loro cuore.
Ebbene,
cosa ha voluto dire l’apostolo quando ha scritto che sarebbe stato salvato
“tutto Israele”? Come affermato sopra vi sono diverse tesi a riguardo.
Cercheremo di elencarle tutte.
Una
parte di cristiani applicano tale avvenimento, la salvezza dell’intero popolo
israelita, come un qualcosa che deve accadere in futuro. Non solo, costoro
affermano che si tratta unicamente di giudei naturali, i quali successivamente
si convertiranno al Signore. Una seconda serie di credenti invece afferma che la
salvezza di “tutto Israele” è un qualcosa che sta avvenendo già al presente,
così come si sta realizzando fin dal passato e si completerà in futuro. Essi
pensano che l’espressione presente in Romani 11,26; si riferisca non solo ai
giudei naturali ma anche ai gentili.
Certo,
Paolo quando parla di tutto Israele non si riferisce certamente ad ogni ebreo
senza eccezione alcuna, dato che vi sono stati e ci sono tutt’ora purtroppo,
israeliti naturali che non si convertono al Cristo. D’altronde lo stesso
apostolo sempre nell’epistola ai romani ci tiene a precisare come non tutto
l’Israele naturale è il vero Israele (Romani 9,6). Oltretutto già in precedenza
ho affermato abbondantemente quale sia per Dio il vero Israele e come fare per
diventarlo e cioè credere in Gesù Cristo.
Di
conseguenza, non dobbiamo certo aspettarci la salvezza d’Israele in quanto
nazione dato che davanti a Dio, come sappiamo, non vi sono ne giudei e ne
gentili e che il suo progetto è semplicemente quello di formare un popolo
composto da persone di ogni sorta (Apocalisse 7,9-14). Un popolo che si sta
formando fin dagli arbori del genere umano e che continuerà fino a quando, come
dice Paolo, “tutto Israele sarà salvato”. Tutto ciò non si riferisce quindi
unicamente a un adempimento futuro, bensì riguarda anche il passato e
presente.
Ebbene,
quale sarebbe allora la giusta interpretazione da dare al passo di Romani 11,26?
A mio avviso l’apostolo Paolo in quel caso si riferisce sia ai gentili che ai
giudei. A persone di tutte le nazioni le quali, secondo il decreto eterno di
Dio, entreranno a far parte del numero degli eletti. La scrittura stessa secondo
me, porta a tale conclusione, l’abbiamo visto abbondantemente. Cristo e
unicamente Lui è il metro di misura per riconoscere un vero israelita. Chi
appartiene al Figlio di Dio fa parte d’Israele, altrimenti non viene
riconosciuto da Dio come tale.
di Gaetano Rizzo
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