per capirci

GIACOMO 1, 2-4

Fratelli, considerate come motivo di gaudio perfetto le diverse prove alle quali voi potete essere esposti, sapendo che la fede messa
alla prova produce la pazienza. E' necessario però che la pazienza compia perfettamente l'opera sua, affinché voi siate pure perfetti ed
integri, senza mancare in niente.(Giacomo 1; 2-4)

Emmanuel

lunedì 3 novembre 2014

L'Israele di Dio

Introduzione

Identificare il popolo di Dio. Cosa s’intende per “Israele di Dio”? Soprattutto tale espressione suscita in noi alcune domande. Chi è per Dio un vero israelita? Iddio, chi considera veramente parte del popolo d’Israele?  Cosa ancora più importante, Yahvé reputa parte del popolo eletto gli israeliti secondo la carne, oppure bisogna soddisfare altre caratteristiche prima di essere definito da parte dell’Onnipotente un ebreo a tutti gli effetti?
Dalla Parola di Dio notiamo che il termine “Israele”, il quale ricorre nella prima volta nel libro della Genesi, significa: “colui che contende o persevera con Dio, oppure Dio contende”. Questo nome fu dato da Dio a Giacobbe e il perché lo possiamo vedere leggendo il brano di Genesi 32,22-32. In esso viene scritto che il patriarca lottò con un uomo che poi si rivelò essere Dio (Genesi 32,29-31) per tutta la notte e a causa di tale perseveranza, il Signore stesso lo benedisse cambiandogli il nome in Israele.
Tale nome gli fu poi confermato in seguito a Betel quando Iddio gli apparve nuovamente, secondo quanto leggiamo, sempre in Genesi: “Dio apparve un'altra volta a Giacobbe, quando tornava da Paddan-Aram, e lo benedisse. Dio gli disse: «Il tuo nome è Giacobbe. Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele sarà il tuo nome». Così lo si chiamò Israele” (Genesi 35,9-10).
Yahvé promise a Israele che da lui sarebbe nata una grande nazione.  Un popolo numeroso che avrebbe dato ai suoi discendenti il territorio corrispondente all’attuale Palestina (Genesi 35,11-12) e come sappiamo le cose andarono proprio così. Giacobbe fu quindi da quel momento in poi, chiamato spesse volte Israele.  Certo, bisogna comunque dire che in molti casi, quando nella scrittura si parla d’Israele, ci si riferisce ai posteri del patriarca, alla nazione ebraica (Esodo 5,1-2). I discendenti di Giacobbe infatti nella Parola di Dio vengono spesso chiamati “figli, casa, popolo, uomini e stato d’Israele (Genesi 32,32; Matteo 10,6; Atti 4,10; 5,35; Romani 9,4; Efesini 2,12).
Si, senza dubbio il popolo ebreo divenne veramente numeroso come la sabbia del mare. Ma bastava essere discendenti naturali di Giacobbe per diventare parte del popolo di Dio? Dei salvati? Era sufficiente appartenere ad una delle dodici tribù d’Israele per sfuggire all’ira divina ed ereditare quindi il Regno dei cieli? Questo studio affronterà proprio tali quesiti menzionati ora e all’inizio di questa introduzione.
Interrogativi da prendere in seria considerazione dato che è in gioco la salvezza stessa dell’individuo. Dopo tutto la medesima Bibbia più volte definisce Yahvé, Dio d’Israele (1Re 14,7) e gli stessi ebrei come il popolo di Yahvé (Esodo 18,1). Frasi, che tenendo conto di una semplice lettura superficiale delle stesse, sembrano sostenere che gli ebrei naturali siano stati eletti a salvezza da Dio solo per il fatto di essere nati tali. Eppure c’è altro da dire, molto altro.
Non ci resta allora che “perderci” nella Parola di Dio, scrutando a fondo e con l’aiuto divino il suo messaggio, senza mai dimenticare di tener conto dell’intera somma delle scritture ispirate perché solo così essa ci condurrà dove vuole lei e non dove vogliamo noi. Yahvé ci conduca allora per mano e passo dopo passo ci mostri la verità biblica sul soggetto “Israele”. Una questione che ha suscitato in passato tante polemiche e sono sicuro purtroppo, ne susciterà pure in futuro.
Israele e la Chiesa
Un argomento decisamente spinoso, al punto che la Chiesa da sempre ha cercato di comprendere il messaggio biblico su tale soggetto controverso. Ebbene anche noi cercheremo di dare una risposta esaustiva, evidenziando il pensiero di Dio a riguardo e incominceremo tale disamina esaminando il tipo di patto che Dio ha con il suo popolo.
Per caso le Sacre scritture ci parlando di due patti distinti, uno con il popolo d’Israele stipulato nell’antico testamento e un altro di differente tipo di patto stipulato questa volta con la Chiesa nel nuovo testamento? Due patti differenti fatti con due popoli differenti? Vi sono varie correnti i pensiero che cercano di dare una risposta esaustiva a tale domanda.
Il dispensazionalismo per esempio afferma che essendo Israele e la Chiesa due popoli distinti, il Creatore li avrebbe trattati in modo differente, promettendo cose diverse ad entrambi. Come se non bastasse, vi sono dispensazionalisti i quali addirittura arrivano a dire che Yahvé avrebbe deciso di salvare l’Israele carnale in un modo e la Chiesa in un altro.
Anche fra chi rigetta il dispensazionalismo, vi sono comunque credenti i quali non vedono Israele e la Chiesa come un popolo unico e che quindi sostengono un diverso tipo di sistema pattale stipulato con entrambi. Quello veterotestamentario in cui vi sarebbero alcune promesse che dovrebbero adempiersi sul questa terra a favore degli ebrei naturali e il patto neotestamentario il quale conterrebbe unicamente promesse divine con adempimento celeste.
Ebbene, le loro conclusioni sulla dottrina del “patto” possono essere condivisibili? Cosa ancora più importante sono suffragate dalla Parola di Dio? Assolutamente, no. Le Sacre scritture ci parlano di un solo patto stipulato da Dio con il suo popolo. Gli eletti di Dio esistono fin dagli inizi del “vecchio testamento”. Infatti si parla di essi dal libro della Genesi in cui troviamo credenti come Set, Noé, Abrahamo, Isacco, Giacobbe e l’elenco potrebbe continuare. Questo perché il popolo di Dio è uno e per una ragione molto valida. Quello che Dio considerava come vero Israele non era altro che la Chiesa la quale esisteva come abbiamo visto già dagli albori della storia dell’uomo.
A conferma di ciò, le Sacre scritture affermano che le parole viventi date da Dio ai suoi tramite Mosé durante il loro pellegrinaggio nella terra promessa, non le aveva donate unicamente a loro, ma pure ai credenti che sarebbero vissuti in seguito (Atti 7,37-38). Di conseguenza, avendo a che fare con un solo popolo è ovvio che con esso stipulò un solo patto. Esso consiste nell’osservanza di diversi suoi precetti fra cui, Il primo, il più importante di essi, riguarda la fede in Cristo, sola via di salvezza (Atti 2,38-39; 4,12). Poi vi è il secondo segno il quale invece rappresenta o simboleggia il ravvedimento e la conversione. Si, parliamo della circoncisione, poi sostituita dal battesimo. Due riti esteriori differenti, ma aventi il medesimo significato (Colossesi 2,11-12) e infine la medesima speranza condivisa da tutti gli eletti vissuti prima e dopo la nascita del Salvatore, il cielo (Ebrei 11,9-16).
Altri elementi che ci aiutano a identificare Israele e la Chiesa come un popolo unico sono i diversi appellativi   dati a entrambi. Per esempio sia Israele che la Chiesa vengono definiti da Dio un “regal sacerdozio e una nazione santa” (Esodo 19,16; 1Pietro 2,9), la vigna di Dio (Isaia 5,7; Giovanni 15,1-6), la sposa di Dio (Salmo 45,9; Apocalisse 21,9-10) e infine ad entrambi viene dato l’appellativo di “Chiesa” (Atti 7,38; Matteo 16,18).
Identificare la Chiesa e Israele come un “corpo unico” con nomi differenti, utilizzati per indicare e parlare sempre di una sola realtà, e cioè della famiglia di Dio è di fondamentale importanza per lo stesso cristiano e la ragione è molto semplice. Affermare che Israele è un qualcosa di distinto dalla Chiesa, e che ha quindi ben poco a che fare con lei, vuol dire guardare il vecchio testamento, il messaggio di Dio esposto nelle scritture ebraiche ed aramaiche come un qualcosa che quasi non lo riguardi. Ciò lo porterà a leggere quella parte della Parola di Dio con distacco, narrare gli avvenimenti esposti nella parte del consiglio di Dio accaduti prima dell’avvento del Messia con freddezza e ciò ovviamente sarebbe assurdo, dato che tutta la Bibbia è utile per il credente in Cristo (2Timoteo 3,16-17).
E’ da rigettare quindi la distinzione artificiosa che molti credenti influenzati dal sionismo, danno ad alcuni passi come Genesi 13,16 e 15,5; con lo scopo di sostenere l’esistenza di due popolo distinti, ebrei naturali e Chiesa, i quali sarebbero entrambi benedetti da Yahvé. Infatti quando Iddio promette ad Abrahamo che i suoi discendenti saranno numerosi come la sabbia del mare (Genesi 13), e le stelle del cielo (Genesi 15) non si riferisce a un Israele carnale e ad uno spirituale, ma si parla sempre del popolo ebreo secondo la carne (Genesi 22,17; Deuteronomio 1,10).
Il vero Israele
Fino ad ora abbiamo cercato di dimostrare con argomentazioni varie come Israele e la Chiesa siano una realtà unica. Vi è però altro da aggiungere. Prove, le quali dimostrano in modo ancora più schiacciante, come Israele e la Chiesa sono una medesima cosa. Incominciamo col dire come la Parola di Dio ci parla di due tipi d’Israele. Di coloro che sono giudei per nascita (Galati 2,15), ossia gli “ebrei carnali”, secondo quanto troviamo scritto in 1Corinzi: “Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano i sacrifici non hanno essi parte dell'altare?” (1Corinzi 10,18) e l’Israele di Dio (Galati 6,16). Tale popolo è formato da tutti coloro, giudei e gentili, che hanno “circonciso” il loro cuore credendo nel Cristo (Romani 2,28-29; Galati 3,29; Filippesi 3,3).
“Non tutto Israele è Israele”
Questa frase di Paolo fa veramente riflettere. Essa è una parte di un passo che troviamo proprio nella lettera ai romani e precisamente nel capitolo nove, in cui l’apostolo fa una chiara distinzione tra il falso e il vero Israele. Fra gli autentici e i falsi giudei. Leggiamo come: “Tuttavia non è che la parola di Dio sia caduta a terra, poiché non tutti quelli che sono d'Israele sono Israele. né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «É in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza” (Romani 9,6-8).
Il concetto ispirato di Paolo è chiarissimo. Non è la discendenza naturale a rendere un giudeo, un vero israelita, un figlio di Dio, bensì i figli della promessa. Ebbene qual’ è il significato di tale affermazione? Cosa ha voluto dirci “l’apostolo dei gentili” con: figli della promessa”?  Nell’epistola ai galati troviamo la risposta a tale quesito. E’ Paolo stesso che ce ne spiega il significato: “sappiate pure che coloro che sono dalla fede sono figli di Abrahamo” (Galati 3,7-9). Si, Iddio riconosce come suoi figli e figli del padre Abrahamo unicamente coloro che come lui ebbe fede nelle promesse del Creatore. Nella sua Parola benedetta (Romani 4,12).
Essi ci sono sempre stati nella nazione israelita, fin dall’inizio, anche se come ha affermato Paolo non tutti avevano fede in Lui e nel suo Messia predetto fin dall’inizio e poi manifestatosi sulla terra nella pienezza dei tempi. Dopo di che ha incominciato a trarre da questa umanità degradata, un popolo per il suo nome, soprattutto tra i gentili. Ormai già da tempo Iddio aveva decretato di rigettare Israele in quanto nazione, pur continuando ad avere un residuo eletto fra il medesimo popolo ebraico e in maniera decisamente maggiore tra i gentili in seguito (Isaia 65,15; Matteo 21,43). Questo dimostra quanto fosse fallace la pretesa dei giudei quando pretendevano di essere parte del popolo di Dio solo perché dicevano di discendere da Abrahamo, di essere discendenti naturali del patriarca (Matteo 3,9).
Qual è la vera circoncisione?
Credo che arrivati a questo punto abbiamo tutti capito come la Parola di Dio consideri gli “ebrei spirituali”. Ossia tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo. Essi sono il vero Israele. A loro vanno le promesse di Dio, e non certamente a un popolo carnale e di discendenza naturale. D'altronde Iddio può promettere le sue benedizioni unicamente ai “figli della promessa” (Romani 9,8; Galati 4,22-23) per questo motivo vengono definiti tali. Costoro, come afferma Paolo nel capitolo quarto dell’epistola ai cristiani della Galazia, sono simboleggiati da Isacco, il figlio nato dalla donna libera, Sara. Accostamento più che appropriato dato che essi essendo stati liberati dal peccato grazie all’opera del Cristo possono senza dubbio definirsi liberi. I nemici della grazia invece sono rappresentati d Ismaele, figlio della serva di Abrahamo, Agar. Costoro infatti essendo invece schiavi dei loro peccati non possono certamente definirsi liberi, ma servi del loro padrone, Satana.
Paolo parando ai cristiani di Filippi poté dire senza tema di smentita di essere loro la vera circoncisione: “veri circoncisi infatti siamo noi che serviamo Dio nello Spirito e ci gloriamo in Cristo Gesú senza confidarci nella carne” (Filippesi 3,3). La precisazione dell’apostolo a tale riguardo era senza dubbio necessaria. Infatti nella Chiesa del primo secolo alcuni ritenevano che il rito della circoncisione dovesse essere ancora praticato. Saulo di Tarso però mette in guardia i propri conservi da queste persone sostenendo giustamente che a contare fosse la circoncisione del cuore e non un rito a causa del quale si mutilava una parte del proprio corpo (Filippesi 3,2).
Certo, la circoncisione fu ordinata da Dio già ai tempi di Abrahamo (Giovanni 17,9-12). Esso come qualsiasi altro rituale aveva un significato spirituale. E’ Dio stesso ad esporcerlo proprio nel libro del Deuteronomio: “Circonciderete perciò il prepuzio del vostro cuore e non indurite piú il vostro collo” (Deuteronomio 10,16). In pratica il circoncidere il prepuzio del membro rappresentava la “circoncisione del cuore”. Si, la sua conversione (Deuteronomio 30,6). Il rendere un cuore di pietra in uno di carne, cosa che solo Iddio poteva fare mediante la rigenerazione (Ezechiele 36,26). Questo significato lo ha poi ereditato il battesimo, sacramento che ha preso il posto della circoncisione sostituendola in tutto e per tutto, tranne che nel rito esteriore (Confrontare Genesi 17,9-13; Deuteronomio 10,16; e Geremia 4,4; con Colossesi 2,11-12; Atti 2,38; 3,19; 22,16).
Avere il cuore circonciso è quindi un tratto caratteristico dei veri israeliti, i cristiani. Un popolo il quale, contrariamente a quanto afferma il dispensazionalismo, è esistito fin dagli inizi della storia umana. Una storia salvifica che ha avuto sempre il Cristo come centro, la sola via che poteva e può portare al Padre, alla vita eterna (Giovanni 14,6). Non due popoli, quindi, uno veterotestamentario (Israele) e un altro neotestamentario (la Chiesa), bensì una folla immensa la quale risale dalla notte dei tempi e il cui numero si completerà con il ritorno del Salvatore. Questa gente eletta ha un solo fondamento. Infatti, Gesù Cristo rispondendo all’apostolo Pietro, dopo la dichiarazione di fede di quest’ultimo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, affermò che su quella “pietra”, si sull’affermazione di Simone, avrebbe edificato la sua Chiesa composta da persone di ogni sorta (Matteo 16,16-18). Una promessa quella del Redentore già espressa nel primissimo libro della Genesi da Yahvé in persona. Leggiamo le sue parole: “E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo, e tu ferirai il suo calcagno” (Genesi 3,15). Quel seme è il Messia. Colui che avrebbe liberato il suo popolo dai peccati schiacciando la testa del serpente, grazie la sua opera redentrice.
A conferma di quanto sto affermando lo possiamo trovare nel termine greco “ekklesia” (Chiesa) presente in Ebrei 2,12;  il quale viene attribuito al popolo di Dio neotestamentario. Ebbene tale espressione è utilizzata anche nelle scritture ebraiche sia pur nella sua forma ebraica “qahal”, sempre con il fine di identificare i santi di Dio: “annunzierò il tuo nome ai miei fratelli; ti loderò in mezzo all'assemblea” (Salmo 22,22). Si, la Chiesa di Dio esisteva ancor prima della venuta del Messia in questo mondo.
Il Cristo non appartiene quindi solamente alla dispensazione neotestamentaria. Basta leggere quello che disse ai giudei, quando si discuteva sulla sua identità per capirlo: “Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Giovanni 8,56). Il Cristo è di tutti coloro che hanno creduto, senza distinzione di epoca. Anche Abrahamo credette nel Messia e ottenne la salvezza mediante la fede in Lui. Non solo, con la salvezza il patriarca divenne pure erede delle promesse del Salvatore, le medesime di cui sono diventati eredi tutti coloro che come lui hanno creduto.
Possiamo trovare molteplici esempi che lo confermano. Abele, Enoc, Isacco, Giacobbe, Giuseppe (Ebrei 11,4-26). Tutti costoro intrapresero lo stesso cammino di Abrahamo. Come lui credettero nel Messia ottenendo la redenzione. Si, anch’essi avevano conosciuto e posto fede nel Cristo. Di conseguenza diventarono eredi pure loro delle medesime promesse compresa quella evidenziata dallo scrittore agli ebrei, sempre nel capitolo undicesimo: “Coloro infatti che dicono tali cose dimostrano che cercano una patria.E se avessero veramente avuto in mente quella da cui erano usciti, avrebbero avuto il tempo per ritornarvi.Ma ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, perché ha preparato loro una città” (Ebrei 11,15-16).
Quella patria è la Gerusalemme celeste (Ebrei 12,22: Apocalisse 21,2). La casa futura di tutti i santi di Dio, (Salmo 89,7; 1Corinzi 1,2) e noi sappiamo come vi sia un solo modo per essere santi. Quello di essere beneficiati dell’opera del Redentore (1Corinzi 6,9-11; Ebrei 2,9-11). Un Salvatore il quale non ha mai cessato la sua opera di mediatore come chiaramente ci fa comprendere il profeta Zaccaria: “Allora l'angelo dell'Eterno prese a dire: «O Eterno degli eserciti, fino a quando continuerai a non avere compassione di Gerusalemme e delle città di Giuda, contro le quali sei stato adirato durante questi settant'anni?». Quindi all'angelo che parlava con me, l'Eterno rivolse parole buone, parole di conforto” (Zaccaria 1,12-13). L’Angelo dell’Eterno, il Figlio di Dio ha esercitato da sempre e in modo incessante la sua opera di mediatore fra Dio e il suo popolo, anche durante il periodo di Zaccaria!
Quale meraviglioso privilegio per i santi di Dio di ogni tempo, sapere di avere ricevuto tale grazia. Un intercessore il quale nel continuo intercede per loro e tutto questo perché rimanga viva quella promessa, quella speranza di cui abbiamo parlato pure in precedenza e che i credenti in Cristo di ogni tempo hanno sempre coltivato nel loro cuore. Ci riferiamo ovviamente all’eredità che l’Altissimo ha promesso di elargire ai suoi. Leggiamo cosa ha da dirci il profeta Daniele a riguardo: “Poi il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7,27). Il Regno di cui parla Daniele è lo stesso descritto dall’apostolo Giovanni nel libro di Apocalisse: “Poi il settimo angelo suonò la tromba e si fecero grandi voci nel cielo, che dicevano: «I regni del mondo sono divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli” (Apocalisse 11,15). Un regno dato per l’appunto ai santi (Salmo 85,8; 1Corinzi 14,33). Alla famiglia di Dio la quale ha sempre fondato le sue certezze sul fondamento sia degli apostoli che dei profeti. Fondamento che a sua volta poggia sul Cristo, la pietra angolare e fondamento universale dell’intera Chiesa (Efesini 2,19-22).
Non credo vi siano dubbi di sorta. La teoria dispensazionalista e la sua dottrina dei due popoli è veramente priva di fondamento biblico. Eppure a tutt’oggi si continua a trovare credenti che si ostinano a distinguere Israele dalla Chiesa. Continuano a dire che Israele è un popolo terreno mentre la Chiesa è un popolo celeste. Che le promesse di Dio riguardanti l’Israele naturale sono differenti da quelle fatte alla Chiesa. Dimostrano veramente di essere prigionieri di questa falsa dottrina. Continuano a “comprendere” la Bibbia leggendola e inquadrandola secondo l’ottica dispensazionalista, travisando in modo sistematico l’insegnamento in essa contenuto. Purtroppo fino a quando non si libereranno di questi schemi e preconcetti dottrinali, non riusciranno mai a vedere la verità. Quale?
Dio non guarda, la razza, l’aspetto, le distinzioni naturali, sociali e culturali di un qualsiasi popolo, ma come affermò Pietro: “In verità io comprendo che Dio non usa alcuna parzialità; ma in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente, gli è gradito” (Atti 10,34-35). Pietro pensava che Dio voleva salvare solo gli ebrei, che avesse un occhio di riguardo unicamente per loro. Il Signore invece fece capire come davanti a Lui non ci sono né giudei e né greci (Galati 3,28). La sola cosa che guarda Iddio è il cuore della persona (Salmo 73,1). E’ quello il “metro di misura” da Lui utilizzato per distinguere i suoi eletti dai reprobi.
La legge scritta nei propri cuori
Anticamente Yahvé quando si manifestò all’Israele naturale, fece scrivere la sua legge su tavole di pietra. Non sarebbe sempre stato così però. Infatti già tramite il profeta Geremia, Iddio rivelò agli israeliti: “Ecco, verranno i giorni», dice l'Eterno, «nei quali stabilirò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che ho stabilito con i loro padri nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese di Egitto, perché essi violarono il mio patto, benché io fossi loro Signore», dice l'Eterno. «Ma questo è il patto che stabilirò con la casa d'Israele dopo quei giorni», dice l'Eterno: «Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”. (Geremia 31,31-33).
     Quando il profeta parla di “quei giorni” si riferisce proprio agli “ultimi giorni” al periodo che va dalla prima alla seconda venuta del Messia (2Timoteo 3,1). Anticamente i regni d’Israele e di Giuda si erano separati per poi riunirsi dopo il ritorno dall’esilio babilonese. Analogamente, giudei e gentili, un tempo separati furono poi uniti in Cristo come promesso dal redentore medesimo in Giovanni 10:16: “Io ho anche delle altre pecore che non sono di quest'ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge e un solo pastore”. Prima della venuta del Salvatore, il Creatore riuniva i suoi eletti entro i “confini” dell’Israele naturale, dopo l’opera redentrice del Figlio, il Padre celeste volse poi la sua attenzione anche ai gentili (Atti capitoli 10 e 11).
      L’attenzione che Dio avrebbe posto al popolo gentile col fine di salvarlo fu profetizzata persino nelle scritture del “vecchio testamento” e precisamente nel libro del profeta Osea: “Tuttavia il numero dei figli d'Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. E avverrà che invece di essere detto loro: "Voi non siete mio popolo", sarà loro detto: "Siete figli del Dio vivente" (Osea 1,10). Costoro ai quali Iddio si riferisce definendoli non “parte del suo popolo” ossia l’Israele naturale, bensì suoi figli, sono per l’appunto i gentili.
Che questo sia il pensiero ispirato di Osea, ne abbiamo conferma proprio l’apostolo Paolo nell’epistola ai Romani:  “e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri? Così egli dice appunto in Osea: «Io chiamerò "mio popolo" quello che non era mio popolo e "amata" quella che non era amata»; e «Avverrà che nel luogo dov'era stato detto: "Voi non siete mio popolo", là saranno chiamati "figli del Dio vivente" (Romani 9,23-26).
Ebbene, tale profezia si adempì proprio quando incominciò l’annuncio del vangelo. Mediante la predicazione della “Buona notizia”. Testimoniando il Cristo giudei e gentili di ogni sorta entrarono a far parte del Regno del Salvatore, parte del suo popolo, la Chiesa. Si, ebrei e pagani convertiti al Messia, poterono realmente definirsi figliuoli di Abrahamo perché come lui credettero nell’Unto di Yahvé (Romani 4,11-12; Galati 3,26-29). Diventando quindi un popolo unico senza distinzione di razza o di altro.
Il profeta Osea però non era l’unico che per grazia di Dio rivolse la sua attenzione ai gentili. Anche il profeta Amos profetizzò a loro riguardo. Infatti nel capitolo nove del suo libro troviamo scritto: “Quel giorno io rialzerò la capanna di Davide che è caduta,ne riparerò i danni, ne rialzerò le rovine,la ricostruirò com'era nei giorni antichi,affinché possegga il resto di Edom e tutte le nazionisulle quali è invocato il mio nome»,dice il SIGNORE che farà questo” (Amos 9,11-12). In pratica quando Amos parla della “capanna” o “tabernacolo” di Davide, egli non fa altro che riferirsi alla Chiesa. Un edificio spirituale che alla pienezza dei tempi, grazie alla persona e all’opera del Cristo, sarebbe stato riedificato riedificato in modo da accogliere anche ogni sorta di persone provenienti da tutto il mondo.
Per tale motivo, l’apostolo Paolo potè testimoniare tale sacrosanta verità ai cristiani di Efeso:  “e per riconciliare ambedue con Dio in un sol corpo per mezzo della croce, avendo ucciso l'inimicizia in se stesso. Ed egli venne per annunziare la pace a voi che eravate lontani e a quelli che erano vicini, poiché per mezzo di lui abbiamo entrambi accesso al Padre in uno stesso Spirito. Voi dunque non siete più forestieri né ospiti, ma concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio, edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Gesù Cristo stesso la pietra angolare, su cui tutto l'edificio ben collegato cresce per essere un tempio santo nel Signore, nel quale anche voi siete insieme edificati per essere una dimora di Dio nello Spirito” (Efesini 2,16-22).
Grazie al Cristo, non solo gli ebrei convertiti, ma anche i gentili rigenerati hanno libero accesso al Padre per mezzo del Signore Gesù e mediante lo Spirito di Dio. Infatti entrambi i gruppi diventati per la potenza di Dio un popolo unico hanno in comune un unico fondamento, Gesù Cristo il giusto.

                                                                    “Tutto Israele sarà salvato”
     Vi è un brano presente nell’epistola ai romani, il quale è stato spesso oggetto di discussione fra teologi e semplici credenti. Esso si trova nel capitolo undicesimo e precisamente nel verso ventiseiesimo. Leggiamolo insieme: “Perché non voglio, fratelli, che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi in voi stessi, che ad Israele è avvenuto un indurimento parziale finché sarà entrata la pienezza dei gentili, e così tutto Israele sarà salvato” (Romani 11,25-26).
Saulo di Tarso, scrivendo ai cristiani di Roma, rivela loro che Iddio ha parzialmente indurito il cuore degli israeliti naturali e che esso continuerà fino a quando il numero degli eletti presenti nel popolo gentile raggiungerà la pienezza. Solo allora Yahvé salverà tutto Israele dopo aver ovviamente cessato di indurire parzialmente il loro cuore.
Ebbene, cosa ha voluto dire l’apostolo quando ha scritto che sarebbe stato salvato “tutto Israele”? Come affermato sopra vi sono diverse tesi a riguardo. Cercheremo di elencarle tutte.
Una parte di cristiani applicano tale avvenimento, la salvezza dell’intero popolo israelita, come un qualcosa che deve accadere in futuro. Non solo, costoro affermano che si tratta unicamente di giudei naturali, i quali successivamente si convertiranno al Signore. Una seconda serie di credenti invece afferma che la salvezza di “tutto Israele” è un qualcosa che sta avvenendo già al presente, così come si sta realizzando fin dal passato e si completerà in futuro. Essi pensano che l’espressione presente in Romani 11,26; si riferisca non solo ai giudei naturali ma anche ai gentili.
Certo, Paolo quando parla di tutto Israele non si riferisce certamente ad ogni ebreo senza eccezione alcuna, dato che vi sono stati e ci sono tutt’ora purtroppo, israeliti naturali che non si convertono al Cristo. D’altronde lo stesso apostolo sempre nell’epistola ai romani ci tiene a precisare come non tutto l’Israele naturale è il vero Israele (Romani 9,6).  Oltretutto già in precedenza ho affermato abbondantemente quale sia per Dio il vero Israele e come fare per diventarlo e cioè credere in Gesù Cristo.
Di conseguenza, non dobbiamo certo aspettarci la salvezza d’Israele in quanto nazione dato che davanti a Dio, come sappiamo, non vi sono ne giudei e ne gentili e che il suo progetto è semplicemente quello di formare un popolo composto da persone di ogni sorta (Apocalisse 7,9-14). Un popolo che si sta formando fin dagli arbori del genere umano e che continuerà fino a quando, come dice Paolo, “tutto Israele sarà salvato”. Tutto ciò non si riferisce quindi unicamente a un adempimento futuro, bensì riguarda anche il passato e presente.

Ebbene, quale sarebbe allora la giusta interpretazione da dare al passo di Romani 11,26? A mio avviso l’apostolo Paolo in quel caso si riferisce sia ai gentili che ai giudei. A persone di tutte le nazioni le quali, secondo il decreto eterno di Dio, entreranno a far parte del numero degli eletti. La scrittura stessa secondo me, porta a tale conclusione, l’abbiamo visto abbondantemente. Cristo e unicamente Lui è il metro di misura per riconoscere un vero israelita. Chi appartiene al Figlio di Dio fa parte d’Israele, altrimenti non viene riconosciuto da Dio come tale. 
di Gaetano Rizzo

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