Introduzione
Gesù disse un giorno ai Suoi discepoli: "Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli" o, come dice la versione in lingua corrente: "Siate lieti e contenti, perché Dio vi ha preparato una grande ricompensa" (Mt. 5:12).
Un’aspirazione universale. Il desiderio di essere felici è un’aspirazione congenita del cuore umano. Potremmo meglio ancora dire che si tratti di un desiderio che Dio stesso ha impiantato in noi. In ogni caso questa è la perenne ricerca del cuore umano: ciò che io e voi cerchiamo, la felicità. Ho investigato questo tema e vorrei condividerne con voi i risultati. Per i peanuts "La felicità è un cucciolo caldo", per un altro: "La felicità è una fetta di vita spalmata di marmellata" (Bernstein). In modo meno romantico un altro ha detto: "Siamo su questa terra per cercare la felicità, non per trovarla" (Colette): è vero questo?
Possiamo affermare con certezza una cosa: secondo quanto Iddio ci ha rivelato attraverso la Bibbia, la felicità è la realizzazione ultima dei propositi di salvezza che Egli ha disposto per la creatura umana, perché la maggiore realizzazione, lo scopo ultimo, della vita umana è godere eternamente della comunione con Dio.
Contrariamente a quanto generalmente si crede, la fede cristiana non è cosa che voglia privare la vita di ogni piacere e gioia. Si tratta di una concezione falsata, promossa dalle menzogne di Satana. Certamente la Bibbia denuncia le gioie illusorie ed ingannevoli che provengono dal peccato, ma ciò che essa insegna non è nemico della gioia, non c’è nulla di aspro ed ascetico nella religione biblica.
Pensiamo all’antica festa della Pasqua ebraica. La cena pasquale comprendeva erbe amare. La loro presenza doveva inculcare al popolo di Dio il sapore amaro che ha il peccato in tutte le sue conseguenze. La fede cristiana prevede che noi si porti la nostra propria croce e si segua Cristo, però, le erbe amare non è il tutto della cena. L’agnello arrosto della Pasqua è il piatto forte della festa. Le celebrazioni pasquali sono una cena, e non un digiuno... L’Evangelo di Gesù Cristo è buona notizia, non tristi notizie. Un salmo dice: "Tu m'insegni la via della vita; vi son gioie a sazietà in tua presenza; alla tua destra vi son delizie in eterno" (Sl. 16:11). La felicità, o beatitudine (parole queste del tutto intercambiabili) è l’essenza stessa della vita cristiana. L’apostolo Paolo scrive: "Rallegratevi del continuo nel Signore lo ripeto ancora: Rallegratevi" (Fl. 4:4).
La felicità è una conseguenza
Una cosa però è chiara: la felicità è un frutto accessorio, una conseguenza, della vita. Lo conferma la sapienza umana:"La felicità è come il carbone coke, che si ottiene come sottoprodotto mentre si fabbrica qualche altra cosa" (A. Huxley). Se la rendiamo l’obiettivo principale della nostra vita, troveremo che essa ci sfuggirà sempre, in modo elusivo, come succedeva a quel ragazzo che andava alla ricerca della leggendaria pentola piena d’oro e che sapeva trovarsi alla base di un arcobaleno. Possiamo trovare la base di un arcobaleno? Allo stesso modo, sebbene una delle principali conseguenze della fede cristiana autentica sia la felicità, essa non è che il sottoprodotto del nostro dovere compiuto e del servizio, della giustizia e della santità. Coloro che la cercano indipendentemente dall’adempimento del proprio dovere davanti a Dio e del servizio verso di Lui, alla fine non troveranno altro che disillusione e scontentezza. Come il volto luminoso di Mosè era conseguenza della sua intima comunione con Dio sul monte, la felicità è il premio spesso inatteso dato alla fede ed al servizio. Non a caso il noto scrittore cristiano C. S. Lewis, volle intitolare la sua autobiografia: "Sorpreso dalla gioia".
Vi sono varie ricette per ottenere felicità. Esse possono essere graduate a seconda dell’età. Un bambino trova la felicitàquando si sente amato ed accettato, quando (almeno per breve tempo) i suoi desideri sono soddisfatti, nei suoi giocattoli, nei suoi giochi con gli amici, nei dolci. La gioventù la trova nel divertimento e nell’eccitazione, la cerca nel sesso o ballando su una pista da ballo o in discoteca. L’uomo in un lavoro sicuro e ben pagato, in una casa, nei suoi hobby. L’anziano, con limitazioni sempre più pronunciate di carattere fisico e spesso anche mentale, non trova molto davanti a sé che possa dargli gioia, se limita le sue prospettive a questo mondo. Quando il re Davide volle onorare l’anziano Barzillai per l’aiuto e l’appoggio che gli aveva dato, gli disse: "Vieni con me oltre il fiume; io provvederò al tuo sostentamento a casa mia, a Gerusalemme". Barzillai, però, saggiamente rispose: "Troppo pochi sono gli anni che mi restano da vivere perché io salga con il re a Gerusalemme. Adesso ho ottant'anni. Non posso discernere ciò che è buono da ciò che è cattivo. Non posso più assaporare ciò che mangio o ciò che bevo. Non posso più udire la voce dei cantanti e delle cantanti. Perché dunque il tuo servo sarebbe di peso al re mio signore?" (2 Sa. 19:34,35).
Dobbiamo ovviamente rivolgere altrove il nostro sguardo per trovare gli ingredienti di una felicità autentica e durevole. A queste ricette per la felicità manca un ingrediente, o piuttosto, hanno ingredienti sbagliati. Questi tipi di gioia possono dare soddisfazioni temporanee, possono svagarci un poco, ma non possono veramente soddisfare. Ci manca un ingrediente, l’ingrediente spirituale. Se si lascia Dio fuori dal conto non si potrà mai trovare vera felicità.
La divina ricetta
La Bibbia ci dà indicazioni preziose ed uniche a questo riguardo. La felicità, o beatitudine, comincia sempre con Dio. Si cita spesso, a questo riguardo, una frase del grande teologo del IV secolo, S. Agostino, nella prima pagina delle sue "Confessioni", frase che non dovremmo stancarci di ripetere per la profonda verità che contiene: "Tu sei che lo chiami in maniera che goda nel lodarti, perché ci hai creati per te e inquieto è il cuor nostro, finché non si riposa in te". Un commento dice così: "Nulla soddisfa a pieno il cuore umano; solo Dio appaga e riempie l’anima. Questo è il segno che una scintilla divina brilla in noi; infatti è insopprimibile l’esigenza dello spirito che tende sempre a riunire la misera creatura al Creatore, l’uomo a Dio… è il grido del mondo: mentre troppi uomini vivono nell’irrequietezza, stanchi della vita perché lontani da Dio". Nessun uomo, donna, o bambino è felice, veramente felice, se lascia fuori Dio, che non abbia spazio per Cristo nella casa della sua anima.
L’antico Israele veniva proclamato beato perché Dio era nel loro mezzo e faceva esperienza dei Suoi doni di grazia: "Te beato, Israele! Chi è pari a te, popolo salvato dal SIGNORE? Egli è lo scudo che ti protegge, e la spada che ti fa trionfare" (De. 33:29).
La felicità si fonda sulla riconciliazione con Dio
Per l’essere umano che senta, come dovrebbe, tutto il peso del peccato che lo separa da Dio, uno degli ingredienti principali della felicità è il perdono. Nessuno può essere felice se non è in pace con Dio. Un uomo onesto che sfortunatamente sia caduto in molti debiti non avrà pace fintanto che quel debito non è saldato. Noi non possiamo essere felici ed al tempo stesso in debito verso la Legge di Dio, non avremo mai pace fintanto che verso Dio tutto non sia a posto. Quanti sensi di colpa ci tormenteranno fintanto che non lo faremo! Per questo il Salmista scrive: "Beato colui la cui trasgressione è perdonata, il cui peccato è coperto! Beato l'uomo a cui l'Eterno non imputa l'iniquità, e nel cui spirito non c'è inganno" (Sl. 32:1,2).
Lo scrittore John Bunyan, nel suo libro allegorico "Il pellegrinaggio del cristiano" rappresenta la condizione umana come quella di un uomo aggravato dal senso di colpa, il quale trova sollievo solo quando depone il suo fardello ai piedi della croce di Cristo. Ascoltate:
"Giunse così ad una salita. Li stava una Croce ed un po’ più in giù un sepolcro. Vidi allora che appena Cristiano giunse alla Croce, il fardello cadde dalle sue spalle e cominciò a rotolare giù fin dentro il sepolcro, e poi non lo vide più. Cristiano, allora, tutto felice e contento, disse: ‘M’ha dato riposo mediante il Suo dolore e la vita mediante la Sua morte’. Si fermò un poco, ancora sorpreso per quanto era avvenuto; infatti ancora non riusciva a capire come mai la sola vista della Croce avesse potuto liberarlo dal suo peso… Nel frattempo si fecero avanti tre esseri splendenti che lo salutarono dicendo: ‘Pace a te!’. Il primo gli disse: ‘I tuoi peccati sono stati perdonati’. Il secondo gli tolse gli stracci di dosso e lo rivestì di un abito nuovo. Il terzo gli fece un segno sulla fronte… Allora Cristiano cantò così: ‘Qui sono infine giunto, sotto il peso del mio peccato, capace nessun fin ora è stato, di liberarmi. Che luogo è dunque questo? Forse della felicità l’inizio? Libero sono del fardello e delle corde! Benedetta Croce! Sepolcro benedetto! Ma benedetto ancor più sia Colui che per me patì vergogna!".
Per il peccatore la felicità comincia con il perdono, e non solo perdono, ma giustificazione. L’uomo perdonato vede il suo debito cancellato, ma rimane povero. Non ha un solo centesimo a nome suo. Il peccatore giustificato, attraverso l’opera meritoria di Cristo che gli viene accreditata, è diventato milionario! Sul suo conto sono state depositate le indicibili ricchezze di giustizia di Cristo. Non sarà mai più povero.
Lo stesso John Bunyan parlando della personale sua esperienza, disse: "E’ stata per me una scoperta meravigliosa comprendere la ricchezza della grazia che Dio aveva in serbo per me. Noi andiamo in giro con pochi spiccioli nel borsellino e ci vantiamo come se fossero gran cosa, mentre a casa c’è un baule pieno d’oro che noi del tutto ignoriamo! In Cristo, il mio Signore e Salvatore ho trovato tutto: la mia sapienza, la mia giustizia, la mia soddisfazione e la mia redenzione". Scoprire tutto questo è fonte di grandissima gioia.
La felicità è connessa con la mancanza di egoismo
Un altro ingrediente indispensabile nella vera felicità è la mancanza di egoismo nel nostro comportamento. Certo è un modo negativo di esprimere questo, ma noi pure viviamo in un mondo piuttosto negativo. La virtù positiva, naturalmente, è l’amore. Nessun uomo che sia privo di amore potrebbe mai sperare di essere veramente felice. L’uomo egoista ha un insaziabile appetito a cui provvedere. Come dice la Scrittura: "La sanguisuga ha due figlie che dicono: "Dammi, dammi!" Ci sono tre cose che non saziano mai, anzi quattro, che non dicono mai: "Basta!". Il soggiorno dei morti, il grembo sterile, la terra che non si sazia d'acqua, e il fuoco che non dice mai: "Basta!"’ (Pr. 30:15,16). L’egoismo divora la felicità, consuma sé stesso in un orribile modo cannibalistico! L’amore, però, non pensa a sé stesso, pensa agli altri, serve gli altri, soffre per gli altri …e la felicità giunge come un vantaggio accessorio. Il nostro esempio in questo, come per molte altre cose, è Gesù stesso. Uomo di dolori, si, ma paradossalmente non poteva certo dirsi un uomo infelice. Era la Sua gioia fare la volontà di Dio Padre e di salvare il Suo popolo secondo quella Sua volontà. Egli amava Dio Padre. Egli amava i Suoi che erano nel mondo e sapeva che cosa fosse la felicità. Possiamo seguire così le sue orme e adempiere al Suo nuovo comandamento di amarci l’un l’altro. "La felicità è una merce meravigliosa: più se ne dà, più se ne ha" (Pascal).
La felicità dipende da una vita cristiana coerente
La felicità, poi, è connessa ad una vita cristiana coerente. Il primo Salmo lo mette in chiara evidenza: "Beato l'uomo che non cammina nel consiglio degli empi, non si ferma nella via dei peccatori e non si siede in compagnia degli schernitori, ma il cui diletto è nella legge dell'Eterno, e sulla sua legge medita giorno e notte" (Sl. 1:1,2). E’ vero che noi non possiamo guadagnarci la salvezza osservando la Legge di Dio, ma certamente siamo salvati per poter osservare la Legge di Dio. Per chi cercava salvezza presso Dio cercando di osservare in modo sempre più zelante la legge di Dio, e non riuscendo mai completamente a farlo, è un grande sollievo quando l’Evangelo ci dice che siamo salvati per la grazia di Dio in Gesù Cristo mediante la fede.. Il credente però, salvato per grazia, troverà essere fonte di gioia seguire ciò che Dio ci ha comandato. "Fammi camminare nella via dei tuoi comandamenti, perché in essa trovo il mio diletto… la tua legge è il mio diletto… Se la tua legge non fosse stata il mio diletto, sarei già perito nella mia afflizione… Angoscia e affanno mi hanno colto, ma i tuoi comandamenti sono la mia gioia" (Sl. 119:35,77,92,143).
La fedeltà alla via indicata da Dio, per quanto difficile possa essere, è sempre quella che alla fine ci procura felicità ultima. Nel "Pellegrinaggio del Cristiano" troviamo ad un certo punto il nostro eroe con il suo compagno di strada che cominciano a sentirsi stanchi e scoraggiati. "Avrebbero voluto che la via fosse migliore". Ecco però che vedono al lato dell’aspro sentiero un bellissimo prato con un cammino più facile. Sembra costeggiare la strada maestra, e Cristiano viene persuaso a prendere quella che pare una scorciatoia. Vengono però ben presto portati lontano dalla giusta direzione e finiscono nel Castello del Dubbio del Gigante disperazione. E’ solo per grazia di Dio che riusciranno a fuggirne, solo dopo molte sofferenze. Dobbiamo poter dire con il Salmista: " I miei passi sono rimasti fermi nei tuoi sentieri e i miei piedi non hanno vacillato" (Sl. 17:5).
La felicità e la croce della salvezza
Gli ultimi ingredienti della felicità autentica che desidero menzionare, a prima vista potrebbero apparire del tutto paradossali. Le caratteristiche dell’uomo felice o beato vengono presentate dal Signore nell’apertura del grande sermone che Egli rivolge ai Suoi discepoli: il Sermone sul Monte. Gesù dichiara beati, o felici, i poveri in spirito, coloro che fanno cordoglio, i mansueti, coloro che sono affamati ed assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, coloro che si adoperano per la pace, coloro che sono perseguitati a causa della giustizia, insultati e perseguitati. E’ strano perché tutto questo sembra militare oggettivamente contro la gioia e la felicità, infatti proprio questo cerchiamo di evitare con tutto noi stessi.
Secondo il Signore e Salvatore Gesù Cristo, però, non è così. E’ questo a dare sapore al pasto, come il sale e l’aceto. E’ vero, sale ed aceto solamente non costituiscono un pranzo, come le erbe amare da sole non sono la Cena pasquale. Gesù però dice: "Beati i poveri… beati coloro che fanno cordoglio… beati i mansueti… Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli" (Mt. 5:12). Tutto questo ci può sembrare strano, assurdo. Ascoltate però questo:
Se sembra che i poveri in spirito non siano beati, provate a chiedervi se siano invece beati gli arroganti nello spirito. Dite che coloro che fanno cordoglio non siano beati? Beh, chiedetevi se sia davvero felice quell’uomo che non conosca nessuna delle afflizioni di questo mondo. E’ forse l’uomo la cui vita non sa e non vuole sapere nulla delle sofferenze dei bambini e dei poveri di questo mondo? Dite che non suona bene dichiarare che i mansueti sono felici. Forse che lo sono gli orgogliosi? E’ forse felice colui che vuol sempre e solo difendere i suoi diritti, cercando di imporre la sua volontà contro tutto e tutti? Dite forse che l’uomo privo di passione per la giustizia sia felice? Si? E’ felice l’uomo che non si preoccupa affatto della giustizia? I misericordiosi non sarebbero felici? Felice è forse l’avaro chiuso in sé stesso nella sua sufficiente grettezza? Felice è forse chi è privo di compassione, pieno di amarezza?!".
Beati i perseguitati? Eppure questo era stato esemplificato dai primi cristiani, perseguitati a causa dell’Evangelo. Degli apostoli, oltraggiati e perseguitati, la Scrittura afferma: "Così essi si allontanarono dal sinedrio, rallegrandosi di essere stati ritenuti degni di essere vituperati per il nome di Gesù" (At. 5:41). Paolo e Sila non solo pregavano, ma cantavano quando sedevano in quella prigione con la schiena dolente e sanguinante per le frustate ricevute e con i piedi nei cappi (At. 16:25). Altri prigionieri li udivano meravigliati, ma essi ripetevano semplicemente l’esperienza dell’"uomo di dolori" stesso (sebbene non in modo penale ed espiatorio), il quale pure è l’uomo della gioia! E’ così che il credente cristiano impara a "gloriarsi delle sue debolezze" (2 Co. 12:9), a "vantarsi anche delle afflizioni" (Ro. 5:3). Egli conosce il segreto della gioia proprio nel mezzo delle afflizioni, non dopo che esse sono terminate. Se però il credente conosce il segreto della gioia nel mezzo delle afflizioni, quanto maggiore sarà la sua gioia dopo che esse saranno terminate!
Conclusione
La felicità? Non è un’impossibilità nemmeno in un mondo dove molti pure dicono insieme con Giobbe: "l'uomo nasce per soffrire, come la favilla per volare in alto" (Gb. 5:7). Essa diventa una realtà per coloro che sono in Cristo riconciliati con Dio mediante il Suo sangue, sono conservati dalla Sua grazia, per tutti coloro che vivono nella fede in Cristo Gesù e sono ubbidienti alla visione celeste! Un giorno, preannunciando la Sua prossima partenza, i discepoli si erano rattristati, ma Lui aveva loro detto: "Così anche voi ora siete nel dolore, ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno vi toglierà la vostra gioia "(Gv. 16:22). Che voi possiate essere fra questi!I discepoli di Gesù trovano in Lui la loro gioia.
di J. W. Fraser
Nessun commento:
Posta un commento