Un breve riepilogo:
Nel capitolo 31 del libro della Genesi Giacobbe abbandona furtivamente la terra di Labano, suo suocero, e s'incammina, secondo il consiglio di Dio (Ved. Es. 31:3 e 31: 13), verso la sua terra natale Canaan. Superato il fiume Eufrate, Giacobbe si dirige verso il monte di Galaad ai piedi del quale scorre il torrente Iabbok. Proprio presso questo monte Giacobbe viene raggiunto da Labano, da questi rimproverato per la strana fuga, senza commiato, che non gli aveva consentito di abbracciare le sue figliole ed accusato, anche, del furto degli dei domestici che gli appartenevano. Giacobbe si scusa (palesando, ancora una volta, la sua indole paurosa) dicendo che temeva di non poter portare con sé le sue mogli (Lea e Rebecca, figlie di Labano) ed infine, dopo aver chiarito molte cose, concluse il colloquio con un patto di riappacificazione ed un sacrificio all'Eterno.
Nel capitolo 32 dello stesso libro Giacobbe continua il suo cammino verso Canaan portando con sé l'ansia e la paura dell'incontro imminente con suo fratello Esaù. Egli immaginava quale odio ed ira potessero risiedere nel cuore di suo fratello le cui ultime espressioni nei suoi riguardi erano state minacce di morte. Esaù, infatti, così si era espresso
"I giorni del lutto di mio padre si avvicinano; allora ucciderò il mio fratello Giacobbe" (Gen. 27:41).Giacobbe sapeva bene ciò che aveva fatto a suo fratello, come, con la complicità di sua madre, lo aveva soppiantato nella primogenitura (secondo il suo nome, Giacobbe infatti significa "soppiantatore") travestendosi in modo che a suo padre Isacco sembrasse Esaù e mentendo spudoratamente quando gli chiese chi fosse! (ved. Gen. 27:16-19)
Per placare l'ira di suo fratello, Giacobbe gli aveva mandato dei messi con la notizia delle sue molte ricchezze, a voler dire che non solo non aveva in alcun modo bisogno dei suoi beni ma che egli stesso poteva offrirgliene, ma i messi tornarono a riferirgli:
"Siamo andati dal tuo fratello Esaù, ed eccolo che ti viene incontro con quattrocento uomini" (Es. 32:6)Tremenda notizia! Era evidente che Esaù non aveva aperto bocca davanti al messaggio di suo fratello e, soprattutto, il cuore. La Scrittura dice:
"Allora Giacobbe fu preso da gran paura ed angosciato;" (Gen. 32:7).Come al solito prese subito le misure del caso (poiché egli sapeva curare benissimo i propri interessi!)," divise in due schiere la gente ch'era con lui, i greggi, gli armenti, i cammelli, e disse:
(Gen.32:7) "Se Esaù viene contro una delle schiere e la batte, la schiera che rimane potrà salvarsi" (Gen.32:8).Tutte le sue astuzie e le sue strategie non bastavano a placare l'ansia che c'era nel suo cuore, aveva bisogno di un potente aiuto. Poi Giacobbe disse:
"O Dio d'Abrahamo mio padre, Dio di mio padre Isacco! O Eterno, che mi dicesti: Torna al tuo paese e al tuo parentado e ti farò del bene, io son troppo piccolo per esser degno di tutte le benignità che hai usate e di tutta la fedeltà che hai dimostrata al tuo servo; poiché io passai questo Giordano col mio bastone, e ora son divenuto due schiere. Liberami, ti prego, dalle mani di mio fratello, dalle mani di Esaù; perché io ho paura di lui e temo che venga e mi dia addosso, non risparmiando né madre né bambini. E tu dicesti: Certo, io ti farò del bene, e farò diventare la tua progenie come la rena del mare, la quale non si può contare da tanta che ce n'è" (Gen. 32:9-12).Giacobbe vedeva il pericolo che incombeva su di lui, sulle sue mogli, sui suoi figli, sulle persone al suo seguito, sulle greggi, gli armenti, le mandrie di cammelli e su tutti i beni materiali che gli appartenevano conquistati con venti anni di duro lavoro. Tutto rischiava di essere azzerato. A niente era valsa la sua astuzia, il suo saper fare per conquistarsi ciò che possedeva! Pure, ancora una volta prepara una sua strategia, invia un grosso dono a suo fratello suddiviso in più parti in modo che "gradatamente" intacchi e plachi la furia di suo fratello. Giacobbe pensava:
"Io lo placherò col dono che mi precede, e, dopo, vedrò la sua faccia; forse, mi farà buona accoglienza" (Gen. 32:20).La Scrittura dice ancora:
Così il dono andò innanzi a lui, ed egli passò la notte nell'accampamento (Ge. 32:21).Era notte in quel momento ed era notte nel cuore di Giacobbe!
DOPO QUESTO RIEPILOGO CONSIDERIAMO ORA IN PARTICOLARE LA SEGUENTE SCRITTURA.
Dal libro Genesi.
32:22 E (Giacobbe) si levò, quella notte, prese le sue due mogli, le sue due serve, i suoi undici figliuoli, e passò il guado di Iabbok. 32:23 Li prese, fece loro passare il torrente, e lo fece passare a tutto quello che possedeva. 32:24 Giacobbe rimase solo, e un uomo lottò con lui fino all'apparir dell'alba. 32:25 E quando quest'uomo vide che non lo poteva vincere, gli toccò la commessura dell'anca; e la commessura dell'anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui. 32:26 E l'uomo disse: "Lasciami andare, ché spunta l'alba". E Giacobbe: "Non ti lascerò andare prima che tu m'abbia benedetto!" 32:27 E l'altro gli disse: Qual è il tuo nome?" Ed egli rispose: "Giacobbe". 32:28 E quello disse: "Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini, ed hai vinto". 32:29 E Giacobbe gli chiese: "Deh, palesami il tuo nome". E quello rispose: "Perché mi chiedi il mio nome?" 32:30 E lo benedisse quivi. E Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, "perché", disse, "ho veduto Iddio a faccia a faccia, e la mia vita è stata risparmiata". 32:31 Il sole si levava com'egli ebbe passato Peniel; e Giacobbe zoppicava dell'anca. 32:32 Per questo, fino al dì d'oggi, gl'Israeliti non mangiano il nervo della coscia che passa per la commessura dell'anca, perché quell'uomo avea toccato la commessura dell'anca di Giacobbe, al punto del nervo della coscia.Questo passo della Scrittura viene spesso definito come "la lotta di Giacobbe".
PREMESSA
Giacobbe in quella notte lotta con un uomo (il testo ebraico dice "una persona" e non un uomo) che appare dal nulla, non faceva parte della sua gente, non era un uomo di Labano rimasto nascosto nel suo accampamento, non era un abitante del monte Galaad poiché quel monte era disabitato. La Scrittura ci dice per bocca di Giacobbe che quella "persona" che lottò con lui era Dio (ved. versetto 30) ma non ci spiega il motivo di quella lotta. Noi, ora, con l'aiuto di Dio mediteremo su questa "strana" lotta e cercheremo di capirne il significato spirituale.
COMMENTO
Partiamo dallo stato d'animo di Giacobbe in quella notte quando, come è scritto nei primi versetti della Scrittura su citata, Giacobbe:
"... si levò, quella notte, prese le sue due mogli, le sue due serve, i suoi undici figliuoli, e passò il guado di Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente, e lo fece passare a tutto quello che possedeva. Giacobbe rimase solo..." (Gen.32:22-24)In questa solitudine il suo animo pieno di paura e sconforto raggiunge la sua agonia!
Se pensiamo ad un'altra notte, molto più recente, quella che Gesù trascorse nel Getsemani, quando pieno di angoscia e di paura egli lottò con le sue preghiere per vincere se stesso e fare a pieno la volontà del Padre, allora comprendiamo il termine "agonia".
L'evangelista Luca ci dice:
"Ed essendo in agonia, egli pregava vie più intensamente; e il suo sudore divenne come grosse gocce di sangue che cadevano in terra." (Luc. 22:44)Ed è questa "agonia" la "lotta di Giacobbe", il voler morire a se stesso per vivere in Dio nelle Sue promesse!
Questo termine "agonia" deriva dalla parola greca "sunagonisasthai" che significa "combattere".
Paolo nella sua lettera ai Romani si esprime con il verbo "combattere" riferendolo alle preghiere:
"Ora, fratelli, io v'esorto per il Signor nostro Gesù Cristo e per la carità dello Spirito, a combatter meco nelle vostre preghiere a Dio per me," (Rom. 15:30)- Textus Receptus:
"parakalo de umas adelphoi dia tou kuriou emon Jesou Christou kai dia tes agapes tou pneumatos sunagonisasthai moi en tais proseuchais uper emou pros ton theon" (Rom. 15:30).
Giacobbe combatteva con Dio con le sue preghiere.
Il profeta Osea ci dice in proposito:
"... lottò con l'angelo, e restò vincitore; egli pianse e lo supplicò." (Osea 12:5)Altre versioni dicono meglio:
"in quella notte Giacobbe ha domandato grazia, ha pregato"La preghiera che Dio gradisce non è quella che esce dalla bocca, ripetitiva e fredda, ma quella che scaturisce da un cuore che, in lotta con se stesso contro la propria fredda ragione e contro le evidenze della vita terrena, cerca la faccia di Dio e la Sua benedizione mettendo tutta la propria fiducia nelle promesse divine.
Quando noi lottiamo così per conquistare la benedizione di Dio, Egli lotta con noi affinché il nostro uomo vecchio corrotto si arrenda e muoia e nasca quello nuovo che va rinnovandosi ad Sua immagine.
La determinazione nella lotta di Giacobbe ci rivela la sua fede.
"e quando quest'uomo (meglio, come già detto, questa persona, Iddio) vide che non lo poteva vincere, gli toccò la commessura dell'anca; e la commessura dell'anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui."Giacobbe non si arrendeva, continuava nella lotta con le sue preghiere, egli sapeva che, alla fine, Iddio lo avrebbe benedetto e così fu.
Nella sua lotta con Dio Giacobbe uscì vincitore non perché sottomise Iddio a sé ma, al contrario, perché sottomise il proprio "Io" a Dio.
La resa di Giacobbe è contenuta nella dichiarazione del proprio nome a Dio.
E l'altro gli disse:
Qual è il tuo nome?" Ed egli rispose: "Giacobbe". (Gen.32:27)Giacobbe nel dichiarare il suo nome ammette la resa (come la cultura dell’epoca ci insegna, confessare all’altro il proprio nome significava consegnarsi, mettersi nelle sue mani), si confessa a Dio e dice in sostanza: "Sono il soppiantatore, colui che ha ingannato suo padre ed ha rubato la benedizione della primogenitura a suo fratello".
Ma, come sempre, quando uno si arrende a Dio non trova una punizione bensì una benedizione.
Giacobbe nella sua lotta e nella sua confessione morì e nacque Israele, Dio infatti gli disse:
"Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini, ed hai vinto" (Gen 32:28)Israele (termine che significa "contendere con Dio" o "il principe che prevale con Dio") era nato, un uomo ma anche un popolo chiamato con tale nome aveva avuto origine da quella lotta.
Giacobbe provò a domandare il nome a Colui che sapeva essere divino e soprannaturale ma la risposta che ebbe fu: "Perché mi chiedi il mio nome?"(Vers. 29), Dio rimane nel mistero, totalmente incomprensibile agli uomini.
La lotta è finita, Dio (come ci dice il versetto 30)
"... lo benedisse quivi. E Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, "perché", disse, "ho veduto Iddio a faccia a faccia, e la mia vita è stata risparmiata".Peniel (da Peni-El che significa "faccia di Dio" o "davanti a Dio").
Poi ci appare un nuovo, bellissimo scenario, tutto racchiuso nel versetto seguente:
Il sole si levava com'egli ebbe passato Peniel; e Giacobbe zoppicava dell'anca. (Gen.32:31)Consideriamolo dal punto di vista spirituale.
È l'alba di un nuovo giorno.
Il sole si è levato sulla nuova vita di Israele, la notte buia, la vecchia vita angosciosa, piena di paura e di preoccupazioni che la rendeva indegna di essere vissuta dall'uomo Giacobbe è passata. Israele inizia, così, il suo nuovo cammino zoppicando, si, ma camminando con precauzione, scegliendo bene dove mettere i piedi nel cammino di questo mondo. Egli non camminava più spedito, disinvolto e spregiudicato, come prima, nella sua vita, cercando solo il proprio interesse ingannando gli altri (Esaù e suo padre Isacco) e ricorrendo ad espedienti per arricchirsi (come aveva fatto per determinare a suo favore le nascite degli agnelli presso Labano). Chi viene in una lotta simile con Dio non ne esce indenne, viene toccato e... cambia in meglio, non rimane come prima!
Ma ora, alla fine di questa meravigliosa storia, con profondi insegnamenti spirituali per noi, vogliamo considerare un fatto molto importante, quello, cioè, che ha reso possibile tutto questo (la lotta e la vittoria di Giacobbe): il guado del torrente Iabbok delle persone, animali e cose di Giacobbe (come descritto nei versetti 22 e 23 sopra riportati).
Il torrente Iabbok (o Jabbok).
Il nome Iabbok significa "che svuota".
Nasce nel deserto arabico ad Est del Giordano. È il terzo affluente del fiume Giordano (da Sud) nel quale sfocia a circa 40 Km a Nord dell'ansa settentrionale del Mar Morto. Per la gran parte del suo corso è perenne. Oggi si chiama Zerka, cioè "azzurro" ma quando si pensa allo Iabbok non bisogna immaginarlo come un pittoresco alveo in cui scorrono pacifiche acque. Il torrente scorre impetuoso e rapido e le sue acque sono molto pericolose quando è in piena.
Giacobbe, provenendo dalla Mesopotamia, iniziò certamente a seguirlo sin dalla sua origine nel deserto arabico fino al guado che lo portò sulle rive del Giordano. Proprio presso il guado dello Iabbok, Giacobbe ebbe la lotta con Dio. Come abbiamo già detto analizzando lo stato d'animo di Giacobbe, quest’ultimo, prima di lottare con Dio, fece una cosa la cui importanza non deve sfuggirci, perché è proprio quell'azione che gli consentì di trovarsi alla presenza di Dio ed iniziare la sua lotta per la vittoria, ripetiamo i versetti biblici:
"... si levò, quella notte, prese le sue due mogli, le sue due serve, i suoi undici figliuoli, e passò il guado di Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente, e lo fece passare a tutto quello che possedeva. Giacobbe rimase solo..." (Gen.32:22-24).Ora, per considerare bene spiritualmente ciò, ricerchiamo il significato spirituale del torrente Iabbok.
Noi tutti siamo stati, siamo o saremo nelle condizioni di Giacobbe presso il guado dello Iabbok. Siamo presso quel guado quando sentiamo la responsabilità delle cose che ci appartengono e/o ci interessano: moglie (o marito), figli, nipoti, parenti o altre persone delle quali cerchiamo di prenderci cura con tutte le nostra forze. Allora avvertiamo che il corso della nostra vita terrena è così insicuro e le nostre forze così deboli che ci sembra di avere davanti a noi un torrente impetuoso, da attraversare, che può mettere in pericolo o far perire ogni cosa. Davanti a quel torrente impetuoso della nostra incerta vita terrena i nostri pensieri ci tormentano con dubbi, ansie ed incertezze sul destino futuro di tutto ciò che ci appartiene ed interessa. Il corso della vita dell'uomo che conta sulle proprie forze non somiglia al torrente Iabbok? E, come dice il suo nome (Iabbok = che svuota), non ci sentiamo svuotati dentro e privi di ogni forza?
Quando nella vita di un uomo non ci sono le acque chete delle certezze ci sono quelle turbinose del dubbio angoscioso. L'unico modo di far attraversare quelle acque a ciò che ti preme è riporlo al sicuro nelle mani di Dio, fidandoti del Suo aiuto e delle Sue promesse. Solo se avrai questa fede in Lui e nel Suo Amore potrai dire di aver fatto guadare ai tuoi cari ed alle tue cose lo Iabbok dei dubbi e delle incertezze. Se ti preoccupi non è perché conti sulle tue forze? Se non hai fatto attraversare quelle acque a tutto ciò che vive con te, non potrai che vivere nel timore per tutto quello che di spiacevole potrebbe presentarsi per loro. Se tutti i tuoi interessi per le cose terrene si trovano ancora nella tua mente davanti quelle acque turbinose del dubbio non puoi concentrare tutte le tue forze nella conquista della benedizione di Dio. Fin tanto che i tuoi pensieri per tutto ciò che ti appartiene saranno rivolti al futuro incerto non puoi iniziare la lotta (preghiera), il dubbio e la paura sono il contrario della fede.
Vuoi fare, allora, come Giacobbe?
Fai, per fede, guadare quelle acque turbinose a tutto ciò che ti appartiene e, solo allora, pregando con tutto il tuo cuore, ti troverai alla presenza di Dio che, se a Lui ti arrenderai e confesserai le tue debolezze, vuole conquistarti, farti del bene e darti un nuovo nome, una nuova vita.
Iddio ti benedica e ti aiuti a maturare una decisione per il bene della tua vita.
A. Strigari
http://www.sdcg.altervista.org/sc/esrt/giacobbe.html
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