Grazie a Dio, ancora oggi vi sono in tutto il mondo persone di ogni condizione, cultura ed età che scoprono in Gesù di Nazareth, come autorevolmente presentato dalla Bibbia, Colui che veramente può liberarli da tutto ciò che sporca e guasta la loro vita. Essi accolgono con fiducia nel proprio cuore la Sua Persona, la Sua Parola, la Sua Opera e se ne lasciano docilmente modellare. Essi trovano così in Gesù pace, conforto, gioia, forza, una concreta speranza, un senso, una missione ed una prospettiva eterna per la loro vita.
Essi si rendono ben presto conto, però, di acquisire, con Gesù, un modo di pensare, di parlare e di agire che si contrappone radicalmente con quello che è comune in questo mondo, di diventare, in qualche modo, diversi dagli altri. Il mondo percepisce questo cambiamento e sembra che esso, da quando ci si affida a Gesù, non ci riconosca più come uno "dei suoi", "del suo giro" e diventi verso di noi derisorio e spesso ostile. Magari il mondo ci rispetta, ma è chiaro che, in qualche modo, anche se viviamo ed operiamo nel mondo, non siamo "del" mondo. La cosa da una parte potrebbe turbarci e persino spaventarci, perché è naturale voler essere accettati, integrati nella società, dall’altra però, non abbiamo più alcuna intenzione di privarci di ciò che solo Cristo ci ha potuto donare, di "tornare indietro".
Avendo così accolto con fiducia la chiamata che Cristo ci ha rivolto, ci rendiamo pian piano conto di non appartenere più al mondo, ma di essere diventati parte del popolo di Dio. Comprendiamo allora le parole che Gesù rivolse ai Suoi discepoli, quando disse: "Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: "Il servo non è più grande del suo signore". Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra" (Gv. 15:17-20).
Indubbiamente la cosa può spaventare chi solo da poco è "nella fede". Iddio, però, non ci ha lasciati privi di risorse per affrontare con successo questa situazione.
Il nostro testo
L’ostilità del mondo verso coloro che hanno accolto con fede nella loro vita la Persona e l’opera di Gesù è una costante di cui l’apostolo Pietro nella sua prima lettera non solo vuole farci prendere coscienza, ma rispetto alla quale egli vuole armarci. Nel quinto capitolo egli scrive: "Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente" (1 Pi. 5:10).
Pietro sta scrivendo a gruppi di cristiani nel Asia minore, cristiani deboli ed isolati, con scarse opportunità di comunione con altri cristiani. Intorno a loro vi erano pagani a loro avversi, e forse ancor di più, ebrei a loro avversi. Essi soffrivano la persecuzione e temevano il peggio. Pietro non li conforta con pii desideri. Non li illude dicendo che in ogni caso le cose sarebbero alla fine andate bene. Il suo scopo è quello di rafforzarli.Non si aspetta che essi sfuggano alle prove che sono di fronte a loro, e neanche desidera che essi lo facciano. Egli conosce l’avversione congenita che il mondo sente per i cristiani coerenti, perché lo stesso era avvenuto con Gesù. Egli desidera che nell’ora della prova essi si comportino come dovrebbero comportarsi dei cristiani. Ancora oggi il mondo è refrattario, nemico e maldisposto verso la fede cristiana autentica, fedele e militante, e lo è sempre di più. Il messaggio di Pietro rimane così pure oggi quanto mai appropriato.
La situazione del cristiano
Il cristiano, colui che, raggiunto dalla chiamata personale dell’Evangelo di Gesù Cristo e che lo ha fatto proprio, può dire, secondo la Scrittura, di vivere ora in due sfere diverse. Egli è "in Cristo" e nel contempo "nel mondo". E’ il linguaggio che usa la Bibbia e che dobbiamo ben comprendere.
Egli è "in Cristo". Si tratta dell’espressione che usa il nostro stesso testo. Esso dice infatti che i cristiani sono: "chiamati alla sua gloria eterna in Cristo".
L’apostolo Paolo parla di sé stesso come di "un uomo in Cristo". La posizione del cristiano come di una persona "in Cristo" è fondamentale nel pensiero di Paolo. Il cristiano è unito per fede a Cristo in un rapporto così intimo tanto da essere simile a quello che ha il capo con il resto del corpo. Dio guarda a Cristo, e in Lui Egli vede ogni credente.
Il cristiano si sente "in Cristo" come in una "custodia protettiva" perché Egli è il Suo Salvatore. E’ protetto contro una vita futile senza senso e prospettiva, protetto contro il peccato e le sue conseguenze negative. Cristo, infatti, ha pagato al suo posto i debiti che come creatura umana peccatrice doveva a Dio. In Cristo egli si sente al sicuro e libero dalla condanna che egli da Dio meriterebbe.
Il fatto di essere in Cristo influisce sul suo carattere, colora ogni sua decisione perché Cristo è il suo Signore e determina ciò che è e fa. Paolo insiste molto su questo. Ad esempio, quando il credente si rallegra, egli si rallegra "nel Signore", quando si sposa, egli lo fa "nel Signore". Quando i figli di una famiglia cristiana vengono esortati ad ubbidire ai loro genitori essi lo devono fare "nel Signore". Quando il cristiano fa dei progetti per il futuro, egli lo fa "nel Signore", cioè, il cristiano cerca di conformare i suoi progetti alla mente di Cristo, secondo i criteri da Lui dettati.
Non è tutto. Il cristiano, unito per fede a Cristo, è figlio di Dio, e questo fatto deve essere evidente, almeno in una certa misura, dal suo carattere. Leggiamo nella Bibbia che: " Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio" (1 Gv. 3:9). Questo significa che il peccato non è compatibile con il carattere del cristiano. Purtroppo, ed è triste a dirsi, il peccato è sempre inevitabilmente presente in una certa misura nella sua vita, ma, appunto, non è compatibile con lui, è una nota stonata che non fa parte della "sinfonia" della sua vita! Pensiamo ad esempio ad una famiglia cristiana e devota che abbia un figlio disubbidiente e ribelle, è una nota stonata con il carattere che quella famiglia manifesta. Con il cuore triste quei genitori potrebbero dire: "Non si comporta come dovrebbe comportarsi nostro figlio". Possiamo dire altresì che Dio sia rattristato per il comportamento di alcuni dei Suoi figli? Certo, lo è purtroppo spesso. Non è forse vero che Paolo scrive: "Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione" (Ef. 4:30). Quanta tristezza diamo spesso per il nostro comportamento! Eppure, nonostante le nostre incoerenze, la nostra condizione di fondo davanti a Lui rimane. "Se i suoi figli abbandonano la mia legge e non camminano secondo i miei ordini, se violano i miei statuti e non osservano i miei comandamenti, io punirò il loro peccato con la verga e la loro colpa con percosse; ma non gli ritirerò la mia grazia e non verrò meno alla mia fedeltà. Non violerò il mio patto e non muterò quanto ho promesso" (Sl. 89:30-34). Dovremmo rammentarci di questa fedeltà di Dio quando siamo tentati a disperare di noi stessi. Dovremmo pure rammentarla quando siamo tentati a criticare gli altri. Chi siamo noi per giudicare? Se una persona è in Cristo veramente, Dio l’ha accettata ed è solo Lui che può giudicarla e correggerla davvero.
Egli è nel mondo. Il fatto che un cristiano sia "in Cristo" è uno degli aspetti della condizione del cristiano, quello più importante. Il cristiano che è in Cristo, però, è allo stesso tempo nel mondo. Proprio perché si muove in queste due sfere troviamo che vi è in lui tensione, sofferenza. Vi sono naturalmente le sofferenze che sono comuni a tutta l’umanità: nemmeno il cristiano può sfuggirvi. Vi sono però sofferenze che sono peculiari per la particolare condizione esistenziale in cui il cristiano si trova.
Anche le sofferenze che condivide con il mondo, però, per il cristiano assumono un nuovo significato. Esse sono una componente delle azioni disciplinari che Dio usa per promuovere la sua santificazione. Il nostro testo dice: " dopo che avrete sofferto…".
Vi sono sofferenze che sono della natura di un castigo. Il cristiano può dover soffrire la malattia, il dolore prolungato, la perdita, la delusione, e l’afflizione. Non voglio dire necessariamente che tutto questo debba essere ricondotto ad un particolare peccato che abbia commesso. Cercare di collegare la sofferenza ed il peccato in questo modo può diventare un’ossessione morbosa. D’altro canto dovremmo cercare di accettare tutto quello che ci capita come parte delle azioni disciplinari che Dio applica alla nostra vita, forse per richiamarci al senso di responsabilità, forse per elevare i nostri pensieri dalle cose temporanee alle cose eterne, per mostrarci la follia del vivere solo in funzione di questo mondo, ma sempre per promuovere la nostra crescita nella grazia. E’ vero che alcuni devono soffrire più di altri. Giacobbe visse una vita maggiormente provata di quella di Abrahamo o di Isacco. Noi non sappiamo perché. Forse Giacobbe era fatto di materiale più intrattabile. Alla fine della sua vita, però, egli poteva parlare con gratitudine di Dio in questi termini: "Il Dio alla cui presenza camminarono i miei padri Abrahamo e Isacco, il Dio che è stato il mio pastore da quando esisto fino a questo giorno, l'angelo che mi ha liberato da ogni male" (Ge. 48:15). Il cristiano può avere la certezza che, come disse qualcuno: "La mano di mio Padre non fa mai versare al Suo figliolo una lacrima priva di significato". L’orefice accende il forno, non perché odi l’argento, ma perché desidera renderlo il più puro possibile.
Vi è pure la sofferenza che è prodotta dalla natura stessa del conflitto. Il cristiano, infatti, è impegnato in una continua lotta. Ha nemici dentro di sé e nemici fuori di sé. Il versetto 8 del nostro testo ci conduce alla radice stessa del problema: "Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, gira come un leone ruggente cercando chi possa divorare" (1 Pi. 5:8).
Dal di fuori. Noi parliamo delle tentazioni del mondo, della carne e del diavolo, ma la fonte prima di queste è l’avversario di Dio, il diavolo. E’ il diavolo ad avvalersi del mondo contro di noi. Coloro a cui l’apostolo Pietro stava scrivendo facevano esperienza di tutto questo in modo molto acuto. Erano soggetti a persecuzioni, o almeno alla minaccia costante di persecuzioni. Oggi nel nostro paese la persecuzione è assente in queste crude forme. La difficoltà di vivere la vita cristiana in un mondo ostile, però, è sempre presente.
Pensate ad esempio, ad un giovane cristiano che voglia testimoniare la sua fede in Cristo di fronte a compagni indifferenti od ostili. Pensate al coro di protesta che il mondo eleva quando qualcuno in nome di Dio cerca di ostacolare i suoi progetti egoistici. Pensate al dileggio che incontra l’Evangelo cristiano, o persino una semplice affermazione sulla scena pubblica dei principi morali cristiani. Pensate soprattutto alle sottili influenze che raffreddano il nostro zelo, rendono muta la nostra testimonianza, o ci portano a fare compromessi.
Dal di dentro. Il diavolo sferra i suoi attacchi pure attraverso la carne, vale a dire attraverso noi stessi. Noi non ignoriamo queste sue macchinazioni. Sappiamo con quanta astuzia ed intelligenza operi. Si dà da fare quando viviamo un periodo di benedizioni, perché se ci coglie distratti, egli può derubarci di gran parte delle benedizioni che abbiamo ricevuto. Non è mai tanto pericoloso di quando sembra essere quieto. Ci compiacciamo di noi stessi dei progressi che abbiamo fatto e proprio allora Satana prepara un attacco devastante. Quando sembra sconfitto oppure scomparso dalla vista, allora ecco che escogita un altro piano per danneggiarci.
Egli sparge i semi dell’incredulità. Egli cerca di farci mettere in dubbio le verità fondamentali della fede cristiana. Ci instilla dubbi sul fatto che realmente noi si possa fare appello alla potenza di Dio, e mina così la nostra vita cristiana. Egli semina discordie tra i fratelli. Pianta semi di sospetto, sfrutta antipatie naturali, e così mette in crisi la comunione fra cristiani. Approfitta della nostra fragilità. Ci ha studiato più a fondo di uno psicanalista. Conosce i nostri punti deboli, sa quando ci sentiamo stanchi, o non in buona salute, o inclini alla trascuratezza, e sfrutta senza scrupoli queste conoscenze.
Questa è la situazione. Che speranza abbiamo di vincere tutto questo? Pietro non si aspetta un periodo di pausa nell’azione del nemico. Quello che fa è rammentarci gli attivi a vantaggio del cristiano, quello che è al suo attivo, le risorse che ha a disposizione.
Le risorse del cristiano
Che cosa possediamo noi per opporci ad un tale potente avversario? Pietro menziona due cose:
L’ispirazione di una nobile vocazione. Dio ci ha chiamati "alla sua gloria eterna in Cristo". Forse che questo significa che Dio ci ha chiamati alla felicità eterna nel cielo? Senza dubbio! Questa però è una parafrasi limitativa. La gloria è molto più che felicità. "Eterna" significa molto più che di durata eterna, e questa è una vocazione di cui, sebbene venga adempiuta in cielo, se ne può fare esperienza fin da ora. Che cos’è allora questa "gloria eterna"? Non è forse il carattere di Dio stesso? Potete voi immaginare un pensiero più salutare di quello che siamo chiamati a riflettere il Suo carattere? "Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è ancora stato manifestato ciò che saremo; sappiamo però che quando egli sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è" (1 Gv. 3:2). L’obiettivo ultimo a cui siamo chiamati è riflettere il Suo carattere, e finalizzato a quest’obiettivo è tutto ciò che Dio opera con noi e in noi. E’ verso quell’obiettivo che noi dovremmo guardare, avere gli occhi fissi su Gesù. "E noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore" (2 Co. 3:18).
Ci viene rammentato quanto ci siano disponibili risorse inesauribili. "Il Dio di ogni grazia!": ecco la risposta a"il vostro avversario, il diavolo". La parola "grazia" è una magnifica parola.
(a) Ci rammenta in primo luogo che noi non siamo persone meritevoli. I doni di Dio ci sono stati conferiti non per qualcosa di meritevole che si sia trovato in noi.
(b) Ci rammenta il prezzo che è stato necessario pagare per essi: "Voi conoscete infatti la grazia del Signor nostro Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Co. 8:9).
(c) Ci rammenta la grande generosità del dono che Dio ci ha fatto in Cristo. C’è quella grazia giustificante per la quale noi peccatori veniamo accolti come se fossimo giusti, a causa della rettitudine di Cristo a noi accreditata: la sua ubbidienza alla Legge di Dio e la soddisfazione da Lui resa sulla croce per la nostra disubbidienza, tutto questo ci viene accreditato come se noi avessimo compiuto tutto. C’è la grazia riconciliante per la quale noi, che eravamo nemici, siamo stati resi non solo amici, ma pure figli e figlie dell’onnipotente Iddio. C’è la grazia illuminante che ci guida attraverso i sentieri confusi della vita. C’è lagrazia che ci impedisce cadute irreparabili, cioè andare su una strada sbagliata. C’è la grazia che risana le nostre incoerenze per farci ritornare sul sentiero della giustizia. C’è la grazia che ci sostiene in tempo di afflizione, e in quei tempi in cui tutto sembra andare storto. C’è la grazia che ci rafforza e ci mette in grado di affrontare le tentazioni ed uscirne vittoriosi.
Quali scuse ancora potremmo tirare fuori per giustificare il nostro fallimento? La parola "non è possibile" non dovrebbe mai entrare nel nostro vocabolario cristiano. Ciò che Dio ci comanda Egli pure ci dà la grazia di realizzare. Alla fine, così, ci viene detto di credere.
Le promesse del cristiano. Le parole del nostro testo sono indubbiamente delle magnifiche promesse: "vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente"! Vorrei che consideraste molto bene queste parole. Alcune di esse sono molto interessati e devono essere state davvero preziose per Pietro.
- "vi perfezionerà egli stesso". Questa parola significa "vi riparerà, vi restaurerà". La tradizione vuole che l’evangelista Marco abbia preso molto del materiale del suo vangelo da Pietro. Possiamo immaginare come Pietro gli avesse raccontato del giorno in cui Gesù chiamò Andrea e lui stesso dalle loro barche di pescatori, e poi Giacomo e Giovanni che riparavano le loro reti, e mentre Marco compone questo racconto, questa è esattamente la parola che usa. I pescatori devono riparare le loro reti strappate; e mentre Pietro considera la sua esperienza come "pescatore di uomini", egli si rende conto che non sono solo le reti ad aver bisogno di essere riparate. Se la pesca è buona, essa richiede lo spendere le nostre energie e risorse spirituali. Se la pesca è andata male, essa ci lascia inquieti e depressi. Sono certo che Pietro si fosse sentito a volte molto più disperato che nell’avere le reti strappate. Egli però conosceva Uno che riparava, e che rimetteva in sesto per ritornare all’opera.
- "vi renderà fermi". Ecco ancora una parola significativa nell’esperienza di Pietro. Quando Gesù aveva predetto il rinnegamento di Pietro, Egli aggiunse: "Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai ritornato, conferma i tuoi fratelli" (Lu. 22:32). Si "conferma", "rendi stabili" i tuoi fratelli. Questa era la parola usata da Gesù. Il rinnegamento di Gesù da parte di Pietro era stata un’esperienza vergognosa, amara ed umiliante. Aveva abbattuto in Pietro la fiducia in sé stesso, ma lo aveva condotto alla fiducia in Dio. Egli non fu solo ristabilito, ma fu stabilito fermamente, tanto da diventare una roccia di perseveranza. Ora egli vuole mostrare ai suoi fratelli come pure loro possono essere resi fermi.
- "vi fortificherà stabilmente", cioè "vi metterà su solide fondamenta", per poter essere forti in ogni battaglia che dovranno combattere, farà in modo che i vostri piedi siano ben piantati, come quell’uomo che aveva costruito la sua casa sulla roccia.
Conclusione
Il popolo di Dio in un mondo ostile, dunque: una realtà che dobbiamo affrontare come un dato ineluttabile, ma rispetto alla quale abbiamo a disposizione potenti risorse. Cristo ci ha chiamati per grazia Sua ad uscire da questo mondo sulla via della perdizione e se abbiamo compreso questo certo non vogliamo tornare a farne parte! Sarebbe una follia che solo i miopi e gli stolti potrebbero contemplare. Vogliamo aggrapparci con decisione e tenerci stretti a Cristo. Quando molti presunti discepoli di Cristo un giorno gli voltarono le spalle, pavidi e codardi, attirati di più dalle ingannevoli lusinghe di questo mondo, Gesù chiese ai dodici più stretti Suoi discepoli: "Volete andarvene anche voi?", Simon Pietro gli rispose: "Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio"" (Gv. 6:67,68). Sarebbero rimasti ed avrebbero fatto esperienza dell’annuncio che ci dice: "che dalla potenza di Dio mediante la fede siete custoditi, per la salvezza che sarà prontamente rivelata negli ultimi tempi" (1 Pi. 1:5).
di P. Castellina
"Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà l'afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?"
"Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà l'afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?"
(Romani 8:35)
http://consapevolinellaparola.blogspot.it/2014/02/il-popolo-di-dio-in-un-mondo-ostile.html
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