Pregare sempre, senza stancarsi. Non un obbligo, ma una necessità per vivere, come respirare. «Dammi uno che ami e capirà. Dammi uno che arda di desiderio e comprenderà» (Sant'Agostino). Pregare infatti non è «dire preghiere». Pregare è come voler bene. E, se vuoi bene a qualcuno, è «notte e giorno», un «grido continuo»; è uno stato del cuore, e non si stanca. Racconta Tommaso da Celano che «frate Francesco alla fine non pregava più, era diventato preghiera».
Per noi invece è comune esperienza che Dio stanca, che pregare stanca. Parlavo un giorno con un monaco trappista dell'abbazia d'Orval, gli chiedevo consigli per i giorni della fede difficile: «E quando ci si stanca di Dio? che cosa fare in quei momenti?» Mi rispose raccontandomi una parabola: «Mettiamoci nel corteo che accompagnava Gesù verso Gerusalemme, nel giorno delle palme. C'è chi applaude, chi stende i mantelli, chi è salito sugli alberi, chi è vicino a Gesù, chi fatica a tenere il passo. E poi c'è un asino. Che fatica più di tutti, che sente tutto il peso del corpo di Gesù e della salita, ed è proprio lui il più vicino al Signore. Quando senti fatica o stanchezza, quando senti il peso di Dio, in quel momento sei come l'asino di Gesù, il più stanco perché il più vicino al Signore. L'importante è continuare, appena dopo c'è Gerusalemme». Appena dopo. Ma tutti sappiamo che Gerusalemme è tanto lontana.
Quante volte «le nostre preghiere sono volate via come uccelli e nessuna è tornata indietro a portare una risposta» (G. Von le Fort). È l'esperienza della vedova della parabola: non ha nulla da regalare, è povera come la speranza, senza difesa come l'innocenza. Ma ha una forza vincente: fede nella giustizia nonostante tutto, fiducia nel giudice nonostante tutto. Il miracolo vero è già accaduto, è la fame di giustizia che non si è arresa all'avversario, che non ha ceduto al lungo silenzio del giudice. Questo è il modo con cui Dio «fa giustizia prontamente».
Il «pregare senza stancarsi» evoca allora ben più della stanchezza, rimanda all'abbandono delle armi da parte di un soldato durante il combattimento; dice: pregate senza deporre mai le armi, senza disertare.
Il nostro compito non è forzare il ritardo di Dio, ma rimanere nel vivo della corrente, sulla breccia, a forzare l'aurora di un mondo più giusto. Il nostro compito non è essere esauditi, ma non arrenderci ad una storia di ingiustizia, non abbandonare la rotta. E poi andare e riandare al Signore, perché amo anche il suo silenzio, e se parla è per amore, e se tace è ancora per amore. E sentire che Dio stesso ha sete della nostra sete. Dio desidera che noi abbiamo desiderio di lui (Ccc n. 2560). E alla fine, la preghiera non ha neppure più bisogno di ottenere ciò che chiede. Perché essa ottiene Dio stesso.
padre Ermes Ronchi
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per capirci
Pagine
GIACOMO 1, 2-4
Fratelli, considerate come motivo di gaudio perfetto le diverse prove alle quali voi potete essere esposti, sapendo che la fede messa
alla prova produce la pazienza. E' necessario però che la pazienza compia perfettamente l'opera sua, affinché voi siate pure perfetti ed
integri, senza mancare in niente.(Giacomo 1; 2-4)
Emmanuel
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ciao
per tutti coloro che mi vogliono bene un invito a riflettere
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